Archivio | aprile 2014

Dopo il temporale

Nuvole vaporose

ombreggiano le viride dune

mentre garruli voli di rondine

increspano la distesa serena.

Filari di pioppi odorosi

spargono candide lacrime

nel tramonto

che rosseggia all’orizzonte.

Laggiù nella valle

tra immoti cespugli villosi

il tuono ha rinfoderato la sua spada

e la pioggia s’avanza 

di petali e di rose.

Giunta è infine l’ora

per la fata della luce

di attraversare il ponte iridato

e in un pertugio incantato

andarsi  a coricare.

Quindi tutto tace. 

Come leggere Jane Eyre

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Come leggere Jane Eyre

Il prof. Francesco Marroni, docente di Letteratura inglese all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti e Pescara, ha appena pubblicato con l’editore Solfanelli, questo saggio attraverso il quale permette di assistere, ad un ciclo di Sue lezioni su Charlotte Bronte e il di lei mondo di cui Jane Eyre è la vetta. Molti vi si sono avventurati, hanno cercato di scalarla inerpicandosi su di essa, difficilmente si è raggiunta una nitidezza di sguardo e di sentire come in questo illustre caso. Lo studioso offre al lettore curioso interessanti affacci sulle innumerevoli implicazioni e collegamenti intertestuali del romanzo ma anche scorci vertiginosi sulla sua vasta e profonda cultura, sapientemente dosata.

Non è solo il romanzo più famoso di Charlotte Bronte ad essere scandagliato ma la stessa vita della scrittrice, quella dei suoi familiari, la sua poetica, la tecnica narrativa. Tutti aspetti che concorrono a creare il cosiddetto mito brontiano. Se la biografia commissionata dal padre alla scrittrice amica Elizabeth Gaskell consegna ai posteri l’immagine di una ragazza che affronta le difficoltà e le sofferenze con pia sopportazione e una solida religiosità -in perfetto stile vittoriano-, la Charlotte che presta la propria voce alle eroine dei suoi romanzi non manca di affermare la propria volontà, di mettere in discussione i dogmi, di sovvertire i maschilismi e smascherare le ipocrisie.

Donna tenace e risoluta non si faceva scrupolo di ribattere ai suoi detrattori (come G. Lewes, compagno della scrittrice George Eliot, convinto sostenitore del misurato stile di Miss. Austen) o all’editore (R. Southey) appena contattato per essere pubblicata (con le prime poesie) che la invita a non occuparsi di letteratura. Anche Charlotte Bronte ebbe le sue porte sbattute in faccia, si sentì rispondere da Southey che “La letteratura non è e non dovrebbe essere un’occupazione femminile”; ciò nonostante non si scoraggiò e non si lasciò convincere a demordere.

Jane Eyre rappresenta il culmine di una formazione letteraria iniziata in famiglia, favorita dal padre e coltivata insieme al fratello e alle altre due sorelle rimaste (la –forse- più famosa Emily di Cime Tempestose e Anne di Agnes Grey): tutto iniziò con un regalo del padre. Patrick Bronte fece dono al figlio Branwell una scatola con dodici soldatini di legno che vennero ribattezzati i Dodici intorno ai quali sbocciarono le storie di Galss Town, Angria, Gondal, articolate in vere e proprie saghe.

Per Charlotte la vocazione letteraria non era una ipotesi da verificare in futuro” scrive Marroni, ma qualcosa di reale e concreto, aggiungerei. Jane Eyre arriva dopo anni di lavoro, frutto di maturazione e padronanza tecnica: impone un radicale mutamento di prospettiva e di mentalità nel rapporto maschio/femmina affermando che mente e corpo di quest’ultima non sono più proprietà dell’uomo. La sua grandezza sta nella inesauribile capacità di disseminare possibilità interpretative e nel suo straordinario potere evocativo e affascinante.

Romanzo autobiografico, di formazione, psicologico, religioso, gotico-romantico, ma non solo. Le tante definizioni che ad esso sono state applicate non bastano a comprenderlo in una sola e stigmatizzata categoria, incapace di contenere gli infiniti spunti che la lettura assistita dal prof. Marroni consente di cogliere e ricollegare a riferimenti e nessi precisi.

 

Beatrice: un’antenata di Elizabeth Bennet?

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Jocelyn Harris (in Jane Austen’s Art of Memory del 1989) sostiene che “Shakespeare was part of Jane Austen’s mental forniture” ed effettivamente si può riscontrare che le analogie della struttura sono talmente tante tra Much Ado about nothing e Orgoglio e pregiudizio da rivelare un rapporto di filiazione tra le due opere.

Shakespeare scrisse questa pièce teatrale (1598-1599) ispirandosi peraltro a una novella italiana del Bandello trasposta in francese da Francois de Belleforest, le Histoire tragiques (1582), e intrecciando poi la vicenda con una reminiscenza dell’episodio ariostesco di Ginevra e Ariodante (l’equivoco generato da una cameriera che indossa gli abiti della padrona e per quella viene scambiata).

In Jane Austen si possono ritrovare le strategie narrative usate dal famoso drammaturgo: ciascuna coppia ha la sua copia speculare: Benedetto-Beatrice, Claudio-Ero; Elizabeth-Darcy, Jane–Bingley; il registro basso è rappresentato da personaggi minori, popolari, ciarlieri; la complicazione della trama è dovuta ad una duplice congiura: quella ad opera del personaggio malvagio (cfr. don Juan e Wickham) e quella a fin di bene ordita dai personaggi positivi (don Pedro e Claudio che vogliono far dichiarare Benedetto e Beatrice parlando all’uno dell’innamoramento dell’altra; Darcy distoglie Bingley da Jane perché pensa che lei non sia abbastanza coinvolta). Quanto alla struttura della trama (come osservato da Marilena Saracino, in “Dalla parte di Jane Austen” saggio curato da Francesco Marroni) le tappe sono pressoché identiche: entrambe le opere si aprono con l’arrivo di qualcuno che sembra destinato ad essere l’eroe (Don Pedro e Bingley), mentre in ritardo entrano i veri protagonisti sia maschili che femminili.

Quando l’attenzione si focalizza sui due protagonisti, essi ingaggiano un duello verbale che li presenta in magnetica contrapposizione: c’è una specie di allegra guerra tra Beatrice e Benedetto, lui la apostrofa “Oh la mia cara signora Sdegnosità” e lei risponde piccata: “E’ possibile che muoia la sdegnosità quando a nutrirla trova un cibo come il signor Benedetto?” (Atto I, Scena I). Tra Elizabeth e Darcy la scintilla si accende altrettanto fulmineamente: lui la snobba al primo incontro e quando poi ripensandoci vorrebbe invitarla a ballare, è lei a ritrarsi: “E prendendole la mano, l’avrebbe offerta a Mr. Darcy, che, sebbene estremamente sorpreso, non era restio ad accettarla, quando lei indietreggiò improvvisamente e, con una certa agitazione, disse a Sir William, “A dire il vero, signore, non ho la minima intenzione di ballare. Vi prego di non pensare che sia venuta in questa direzione allo scopo di mendicare un cavaliere.” (cap. 6, trad. G. Ierolli, jausten.it).

Beatrice: un'antenata di Elizabeth Bennet?

Ad un ballo –occasione pubblica di incontro- si compiono i primi fraintendimenti: don Pedro velato da una maschera si dichiara ad Ero in nome di Claudio, che don Juan prova a far ingelosire mentre Benedetto celata la sua identità, riporta a Beatrice i poco lusinghieri giudizi che sul suo nome va spargendo il signor Benedetto. George Wickham arriva di stanza a Meryton e si insinua in pregiudizi già formati con la propria versione diffamatoria su Mr Darcy e al ballo Lizzie arriva quasi alla contestazione diretta mentre balla con lui del tutto fuorviata dal primo che trama nell’ombra come don Juan.

L’espediente usato per allontanare la coppia coprotagonista, Ero-Claudio e Jane-Bingley è lo stesso: l’equivoco, anche se nel primo caso si arriva a far credere morta Ero per poterne preservare e ripristinare l’onorabilità; nel secondo caso il malinteso tra Bingley e Jane consiste nel non aver compreso i reciproci sentimenti, con conseguenze non meno dolorose per entrambi comunque. Anche in Orgoglio e pregiudizio si parla di onorabilità che Lydia con la sua fuga passionale e sconsiderata con Wickham rischia di far perdere a se stessa e a tutta la sua famiglia. E come qui è Darcy, per amore di Elizabeth, a rintracciare la coppia e convincere Wickham a sposare la ragazza disonorata, là è Benedetto che vedendo la disperazione di Beatrice per non poter fare giustizia alla cugina, giura di sfidare il suo stesso amico Claudio che l’ha calunniata e offesa. L’offerta d’aiuto è accorata in Benedetto: “Basta così. Mi impegno a sfidarlo. Vi bacio la mano e vi lascio. E sulla vostra mano giuro che Claudio me la pagherà cara” (Atto IV, sc. II); silenziosa quella di Darcy che vuole agire nell’anonimato; ma lo scopo è lo stesso alleviare l’amata dalla sofferenza.

L’orgoglio e l’erroneo convincimento insaporiscono i dialoghi e le scene in entrambe le opere: Benedetto disdegna Beatrice invitandola a conservare il suo parere di non sposarsi “così qualche gentiluomo scamperà al destino di aver la faccia graffiata” (Atto I, scena I), Darcy definisce Lizzie tra le signorine di Meryton appena “passabile”: “Di chi stai parlando?” e girandosi, guardò per un istante Elizabeth, finché, avendone incrociato lo sguardo, distolse il suo e disse freddamente: “È passabile, ma non bella abbastanza da tentarmi; e al momento non sono dell’umore giusto per occuparmi di signorine trascurate dagli altri uomini. Faresti meglio a tornare dalla tua dama e a goderti i suoi sorrisi, perché con me stai perdendo tempo.” (cap. 3, trad. G. Ierolli, jausten.it).

Le connotazioni caratteriali di alcuni personaggi sono simili: l’arrendevolezza di Bingley e Claudio, la forza persuasiva di Darcy e don Pedro, la rassegnazione di Ero e di Jane. Ma la somiglianza si fa più stringente tra le due eroine: Beatrice ed Elizabeth.

Beatrice è la prima donna che con la sua intelligenza, il buonumore, l’ironia e le battute sagaci tiene testa agli uomini.

Shakespeare ha caratterizzato questo personaggio femminile indomito, per nulla docile e remissivo, romantico o svenevole, ma ardito e sfrontato nell’affrontare l’uomo, nel sostenere con lui un confronto dialettico e polemico.

Non teme Beatrice di sbeffeggiare Benedetto, di sminuirne anche le doti militari e virili e accompagnandosi sempre con un’allegra risata lo liquida con leggerezza e senza volgarità. Non è una popolana dalla lingua sciolta ma una nobile autosufficiente che ha la padronanza delle sue parole “madonna Lingua” che “parla pugnali” (dice Benedetto).

Anche Lizzie adora ridere e si diverte a lanciare pungenti frecciatine, senza farsi intimidire dalle diecimila sterline di rendita di Mr Darcy, non perde occasione di commentare sardonicamente le affermazioni del signore di Permberley: il fuoco di fila delle tirate di Beatrice verso Benedetto segue lo stesso climax serrato di quello di Elizabeth verso Darcy .

Il tutto dura finché rimangono libere e autonome, scevre da mire matrimoniali, anzi entrambe sono completamente disinteressate a una prospettiva nuziale, a contrarre un legame coniugale. Beatrice risponde senza mezzi termini allo zio che le augura di maritarsi un giorno: “No, finché Dio non farà gli uomini d’altra pasta che d’argilla. Non è penoso per una donna farsi sopraffare da un pezzo di polvere prepotente, dover rendere conto della sua vita a una zolla di creta testarda? No, zio, non ne voglio sapere: i figli di Adamo sono miei fratelli e sarebbe peccato grave sposarsi fra parenti” (Atto II, scena I). Elizabeth respinge prima la proposta di Mr Collins e poi quella di Mr Darcy, anche se bisogna riconoscere che nessuna delle due era formulata in maniera propriamente accattivante.

A poco a poco però entrambe perdono smalto e brillantezza, ambedue si fanno cogliere nella rete dell’equivoco, del misunderstanding, e cadono nelle braccia di Amore. Come Beatrice si lascia vincere da quello che crede essere l’innamoramento di Benedetto, così Elizabeth dopo la prima dichiarazione di Mr Darcy guarda dentro di sé e riconsidera i suoi sentimenti e le sue sensazioni. La resa è abbastanza veloce.

Non giungono subito ad una piena consapevolezza, devono ancora ammettere a loro stesse di amare; nel frattempo si immalinconiscono, perdono il sorriso, e parallelamente l’intreccio si complica, intervengono circostanze esterne a ritardare il lieto fine. La conclusione a cui tutte e due giungono è la stessa: colui che credevano antipatico e odioso non è poi così loro indifferente.

Intanto il gentiluomo, che è stato sdegnosamente ignorato (nel caso di Beatrice) e rifiutato (nel caso di Elizabeth), si prodiga per risolvere i guai in cui è incappata l’amata, per sollevarla dalla sofferenza che la tocca da vicino: l’accusa ignominiosa a Ero e la fuga di Lidya turbano tantissimo nel primo caso la cugina e nell’altro, la sorella.

Sia Benedetto che Darcy non sopportano di vedere Beatrice ed Elizabeth in lacrime e passano prontamente all’azione guadagnandosi la loro sicura gratitudine. L’equivoco è risolto, e dopo una serie di chiarimenti e disvelamenti la verità viene a galla. Il congiungersi delle due coppie e il loro matrimonio concludono entrambe le storie.

Se Beatrice era un personaggio rivoluzionario per il Seicento, una femminista ante-litteram, la protagonista di Orgoglio e Pregiudizio, scritto due secoli più tardi, lo è ancora per i suoi tempi. Entrambe eroine,  come possono esserlo due donne ribelli e indomite, irriducibili al silenzio e al capo chino ma erette e fiere della loro bellezza intelligente.

 Romina Angelici

Shakespeare e Jane Austen

Da Il genio di Harold Bloom:

L’ironia di Jane Austen scaturì dall’interiorità drammatica di Chaucer e Shakespeare.

La Austen è tuttavia figlia di Shakespeare: le sue eroine resistono alla storicizzazione e sono tra le immagini più rare di libertà interiore.

Come Rosalinda Elizabeth Bennet è arguta, amabile, florida nello spirito e nel sentimento.

Tre autori sembrano immuni al declino della vera lettura: Shakespeare, la Austen e Dickens.

Pochissimi romanzieri ci hanno regalato due o tre miracoli di personalità. Secondo i miei calcoli Shakespeare ce ne ha offerti quasi duecento, la Austen nei suoi cinque romanzi più importanti, più di trenta.

Nessun romanziere comico è riuscito a fare di meglio. Nemmeno Dickens seppe inventare un personaggio paragonabile al magnifico signor Collins.

La maestria del prospettivismo è infatti un’altra delle sue doti shakespeariane.

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Il mio ciliegio

Neve di petali

Imbianca il giardino

Corone sfrante

Da un alito di vento

Qua e là

Occhieggiano timide pratoline

Mentre api golose suggono

Grappoli di confetti glassati.

Com’è maestoso il mio ciliegio

Che resiste alle intemperie,

Esplosione di bellezza

In questa primavera che ritorna.

Altrettanto non è la vita umana

Paragonata all’Eternità.

 

Il giardino segreto

Le colline si rincorrono 

verso il tramonto

da dove il vento conduce,

attraverso le onde

di giovane grano smeraldo,

rumori confusi.

Un sentiero silvestre

lastricato di intrepide ginestre

immette al giardino segreto

in un abbraccio di tenere foglie

di quercia

schiuse al tepore primaverile.

Come un fanciullo cresciuto

sfiorisce il biancospino,

il ruvido rovo svela

i suoi incanti di madreperla

e l’usignolo cinguetta tra i rami.