Archivio | agosto 2016

INTRIGHI D’AMORE A VILLA ROSEBURN

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Un romanzo che intrattiene con leggerezza, ma in cui nulla è lasciato al caso, come nella migliore tradizione inglese. Si rivivono le atmosfere dei romanzi di Jane Austen e le situazioni descritte da Georgette Heyer, nella sua scintillante produzione ambientata nell’Età Regency. Un omaggio a due grandi scrittrici e alle loro appassionate lettrici.

L’ho scritto e dedicato a mia madre che cominciava a dare sintomi di crisi d’astinenza da Georgette Heyer e ho superato l’esame di conquistare la sua attenzione e il suo interesse. Ma si sa lei è di parte. Ora tocca a voi assaporarne il piacere della lettura senza perdere tempo con i difetti che sicuramente incontrerete.

Nell’augusta dimora di Lady Olivia Roseburn, a Londra, l’arrivo di Miss Trouble, il cui nome è tutto un programma, rompe la monotonia di un’esistenza scandita da regole e piani precisi. L’arrivo di mazzo di tulipani screziati, di cui non si conosce il mandante né tanto meno la presunta destinataria, crea scompiglio tra i diversi corteggiamenti in atto. Miss Charlotte Roseburn comincia a domandarsi se non sia un omaggio di Lord Charming, vecchio amico di famiglia, a sua madre o se suo cugino Henry Stanhope non voglia invece indirizzarlo alla bella Susan Trouble, o se sia infine il timido tentativo di seduzione di Mr Patient, amico di Henry. L’allegra comitiva si sposterà poi a Bath per la stagione estiva dove, anche grazie all’arrivo di Mrs Stanhope, la rete di equivoci si infittisce sempre di più. Solo l’intervento di un formidabile cerimoniere riuscirà a sistemare ogni tessera al posto giusto.

Buona lettura!

 

Romina

Cecilia di Ripanera di Margot Valois

cecilia cover LOVEAvvincente racconto storico, di senso compiuto, che convince bastando semplicemente a se stesso. È scritto bene e si legge altrettanto bene. Teatro della vicenda una parte poco nota della storia d’Italia che ne viene messa in luce: quella rappresentata dai disordini e dai moti del 1848. L’eroina è Cecilia, erede – suo malgrado – del marchese di Ripanera, appartenente al regno delle due Sicilie, che perde entrambi gli amati genitori durante un furibondo assalto al castello e si ritrova in balia del cugino Oreste, un furfante.

E qui la penna dell’autrice è subito molto abile a sfumare gli accenti melodrammatici che avrebbero irrigato il corso più avventuroso degli eventi. Meno lo è stata ad indugiare sui particolari intimi delle scene d’amore a favore delle appassionate del romance rosa, ma è l’unico difetto che accuso, anche per quanto mi riguarda.

Non ci sono tempi morti né momenti di stanca nella narrazione che procede a ritmo serrato e convincente. Il contesto è ben documentato e si avverte la cura e la ricerca negli elementi storici inseriti. Cecilia viene condotta a Roma per ricongiungersi con il fratello diseredato dal padre dopo aver deciso di prendere gli ordini. Con don Giulio seguiamo la fuga precipitosa del pontefice dalla capitale fino al suo rifugio a Gaeta, e viviamo una fase particolarmente critica attraversata dal potere temporale della Chiesa, altamente messo in discussione.

Alla precisa e documentata contestualizzazione storica si aggiunge un sapiente uso di ingredienti ammaliatori: il misterioso Lord inglese e la splendida cornice di Capri assicurano la giusta dose di fascino in cui far sbocciare una tenera relazione d’amore, purtroppo travagliata. Non viene trascurato nemmeno il contorno di personaggi secondari, alcuni davvero simpatici e comunque credibili, che aggiunge carattere alla storia.

La fantesca Lina farà il possibile per proteggere la fanciulla su cui le è stato ordinato di vegliare ma gode di un infallibile quanto spiccato sesto senso per capire di chi può fidarsi e di chi invece assolutamente no. Così Lina non ha eccezioni da sollevare all’offerta di ospitalità di Lord Gosford presso la villa di sua sorella, Lady Emma, a Capri e capisce subito che il cuore di Cecilia è presto rapito dall’elegante signore inglese. Sullo sfondo, oscuri collegamenti con la Massoneria, associazione collegata all’epoca alla Carboneria e sostenitrice degli ideali libertari e antipapali rivoluzionari e sovversivi.

Il lieto fine promesso e intuito non toglie mordente all’intreccio che, con doverosa suspense e colpi di scena in rapida successione, non mancherà di essere dipanato e soddisfare.

Romina Angelici

Cecilia di Ripanera di Margot Valois

La bella storia di Silas Marner

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Una storia dal sapore dickensiano, una bella fiaba che unisce l’affresco di vita di un villaggio di campagna insieme ad intenti etico-didascalici. Una di quelle che farebbe piacere ascoltare vicino ad un bel caminetto accesso in una sera d’inverno, magari in crepitante atmosfera natalizia, sotto l’ala rassicurante degli dei del focolare che tanta parte hanno avuto nelle alterne vicende del povero Silas Marner.

Marner abbandona il luogo dove è nato e cresciuto dopo essere stato accusato ingiustamente e a tradimento (perché proprio da parte di chi gli era più amico) di furto. Si sposta quindi in un’altra regione e arriva a stabilirsi a Raveloe che non è esattamente un posto arcadico, i cui abitanti sono poco socievoli e disposti ad  accogliere tra loro sconosciuti e solitari forestieri.

Ma “Odiava il ricordo del passato; non v’era niente che lo muovesse a pensieri d’amore e di simpatia per gli estranei fra i quali era venuto a stabilirsi, e il futuro era solo oscurità, poiché non v’era amore invisibile che avesse cura di lui. La facoltà di pensare era impedita dallo smarrimento completo, ora che si era chiuso lo stretto sbocco dei pensieri, e ogni possibilità di affetto sembrava distrutta dal colpo che l’aveva stroncata”

Marner quindi, nella solitudine della sua casupola ai margini del villaggio, nei pressi di una cava, vive del suo lavoro al telaio e dei proventi ricavati da esso, unici suoi compagni. Ciò nonostante la sua esistenza è destinata ad intrecciarsi con quella dei figli dello squire Cass della Casa Rossa. Una sera Silas viene misteriosamente derubato di tutti i suoi denari e disperato per quello che gli appare un accanimento nei suoi confronti, cerca aiuto e solidarietà presso i compaesani che, riuniti alla taverna dell’Arcobaleno, decidono di promuovere un’inchiesta.

Proprio quando Silas sta per perdere ogni speranza ecco che l’oro gli viene restituito non sotto forma di monete ma di una cascata di riccioli biondi sulla piccola testolina di una bimba abbandonata. Diventerà lei la ragione di vita dello sfortunato tessitore e della sua salvezza.

Il lieto fine non riesce a dissipare del tutto le nebbie dei sacrifici e degli scotti pagati dalle cattive condotte; in definitiva però i buoni sentimenti intervengono a sanare le divergenze con il contributo pacificante dei semplici principi contenuti nella saggezza popolare.

Silas infatti trae molto più conforto e sollievo dai modi pacati e modesti di una brava donna, la signora Winthrop, sua aiutante nell’allevare la sua bambina, piuttosto che dagli opposti schieramenti in cui si divide il coro delle voci discordi nella taverna dell’Arcobaleno cui inizialmente si rivolge in cerca di una giustizia che gli uomini non sanno raggiungere.

Eh, ce ne son di guai in questo mondo, e ci sono cose che non si capiranno mai! E tutto ciò che dobbiamo fare è aver fiducia, mostro Marner: fare ciò che è bene secondo il nostro intendimento e aver fiducia. Perché, se noi che siamo tanto ignoranti, possiamo giudicare in parte ciò che è bene e ciò che è male, possiamo esser sicuri che c’è un bene e c’è un male, molto più grande di quanto possiamo immaginare: sento dentro di me che dev’essere così…

No, no, -la rassicurò Silas, -voi avete ragione, signora Winthrop, avete ragione. C’è del buono in questo mondo, ora lo sento; e questo fa pensare che possa esserci dell’altro bene che non si vede, nonostante i dispiaceri e le cattiverie. Quel tirare a sorte fu brutto, ma la piccina mi è stata mandata. C’è una certa considerazione per noi, sì, c’è davvero.

Quello che ci viene chiesto è un incondizionato atto di fede verso la generale compensazione di tutti i mali secondo un superiore disegno, accettato con fiduciosa speranza, che ristabilisca comunque il bene.

Utopistico sarebbe pensare, in un mondo governato dagli uomini, al riscatto dai torti subiti, ad una riparazione che sia terrena; ciò non toglie che la semplice accettazione del destino e delle sue apparenti incongruenze con rassegnazione quasi manichea, sia l’atteggiamento spassionatamente raccomandato.

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Nel giardino di Adele.

 

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Nel giardino di Adele ho incontrato alcune amiche vecchie e nuove: conoscenze di lunga data, come Jane Austen ed Edith Wharton, o più recenti come Emily Dickinson ed Elizabeth von Arnim, ma anche piacevoli sorprese, come Vita Sackville-West e così pure George Sand.

Tutte accomunate dalla passione per il giardinaggio che poi hanno interpretato in modi diversi ma sempre animate dallo stesso sentimento di meraviglia per il miracolo della vita che si rinnova.

E’ Adele a dichiarare per prima il suo amore per i profumi e i colori del giardino, simbolo di tradizioni e affetti autentici familiari e a venare di tenerezza i ricordi che la legano a questa gratificante arte di coltivare la bellezza.

E’ quindi lei a fare da anfitrione, detenendo le chiavi di questo misterioso e immenso giardino della letteratura che schiude per me consentendomi di sbirciare al suo interno: potrei perdermi tra le gigantesche e geometriche proporzioni della villa The Mount di Edith Wharton e riesco anche ad avvertire quel senso di benessere e di serenità che aleggia nel fazzoletto di terra del Chawton Cottage circondato di cespugli di lillà!

Come i loro giardini costituiscono un’appendice delle loro, più o meno splendide, dimore, così le emozioni, le contemplazioni, le riflessioni sbocciate durante le lunghe ore trascorse completamente immerse e dedite ad essi, hanno trovato espressione nelle loro opere in versi o in prosa di queste interessanti scrittrici.

Emily Dickinson e George Sand raccoglievano, studiavano e catalogavano piante e fiori nei loro erbari, Vita Sackville-West teneva una rubrica di giardinaggio in una rivista. Colette è inebriata dalla presenza dei fiori di cui ama circondarsi come fossero creature animate, Elizabeth von Arnim ama sperimentare, piantare semi, annusare e toccare la terra e annota l’avvicendarsi delle stagioni in base alla mutevolezza dei colori e dell’aspetto del suo giardino grata per “una tale profusione di bellezza e perfezione che ci è elargita anonimamente”.

La mia visita è durata poco, me ne vado a malincuore, con un mazzolino di fiori composto da Emily che metterò ad essiccare tra le pagine di un suo libro di poesie, le arie di Chopin mescolate alla fragranza delle rose intorno alla casa di Nohant, e rametti di mimosa a cui penserò sempre come ai soffici anatroccoli che immaginava Vita.

Quando ho iniziato a sfogliare questo libro-album, a colpirmi è stata subito la citazione iniziale di Gertrude Jeckill che, riferita al giardino, trovo molto calzante anche per un libro:

Ritengo che lo scopo migliore di un giardino sia quello di deliziare e rinfrescare la mente, di calmare, ingentilire e confortare il cuore in uno spirito di ammirazione e gratitudine.

Riuscire a trasmettere un’emozione dovrebbe essere lo scopo di chi scrive. Ed Adele lo ha fatto stupendamente.

 

Romina

Notevole Doppio Ritratto di Cinzia Giorgio

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Concludo la lettura di Doppio Ritratto chiudendo l’I-pad con un unico aggettivo in testa che va bene per tutto: notevole.

Notevole per il lavoro di studio, per la ricerca e documentazione, per la completa padronanza e gestione dell’argomento, per l’originalità, per il desiderio che suscita di andare a riaprire i libri di Storia dell’Arte ad informarsi e saperne di più.

La storia è affascinante e costruita su un doppio binario spazio temporale (tra la Roma del Cinquecento e la Parigi di oggi) ad incastro, strato su strato: sovrapposti come quelli che un bravo restauratore deve rimuovere per recuperare l’opera originale che alla fine si disvela ai suoi occhi in tutto il suo splendore.

È come fare un salto nel tempo, ai giorni in cui la vita di un artista era drammaticamente combattuta tra le preoccupazioni quotidiane, la fatica fisica e la bellezza, in qualsiasi forma egli avesse deciso di esprimerla. Trasuda aria rinascimentale da tutti i pori: quella che si respira per le strade di Roma insieme al sapore di storia e di arte, che si insinua per i corridoi dei palazzi vaticani, origlia dietro alle porte degli illustri prelati, sbircia i progressi di Michelangelo.

Accanto alla vicenda privata e pubblica di Raffaello, che si sviluppa a ritroso, corre parallela quella di Chiara Santiluti, ambientata al giorno d’oggi, la cui vita è strettamente legata all’arte e allo sfortunato pittore urbinate per diversi motivi.

Le storie procedono in senso inverso, legate da un comune denominatore, da un sottilissimo eppure saldo filo d’Arianna che dovrebbe dipanarsi insieme al mistero che avvolge il soggetto ritratto da Raffaello nel quadro denominato “La Fornarina”.

L’autrice lascia che Chiara ci racconti la sua, in prima persona, nella concitazione tutta moderna di ritmi e spostamenti e di complessi rapporti interpersonali, e lascia sullo sfondo la vicenda storica e umana dell’artista rinascimentale che gradualmente si compone in tutta la sua tragica intensità.

L’effetto indiretto del fascino esercitato da queste pagine induce ad analizzare molta della produzione raffaellesca a Roma e se questo romanzo è intitolato al Doppio Ritratto, il vero soggetto di essa è La Fornarina, l’opera dietro cui si nasconde il mistero della donna che Raffaello elesse a sua musa nell’arte e nel cuore, e a cui si ispirò per realizzare, oltre a questo dipinto, la Velata, la Galatea de Il trionfo, e altrove il viso della Madonna.

Tanti sono gli indizi che portano a questo perché il ritratto de La Fornarina, destinato ad essere un dipinto privato perché raffigurante Margherita Luti, figlia del fornaio il Senese, è stato caricato di diversi simboli con cui Raffaello dichiara il suo amore alla donna: la perla che spunta dal copricapo che riconduce al significato del nome “Margherita”, il cespuglio di mirto dedicato a Venere, dea della bellezza, il bracciale dorato al braccio con inciso il nome del pittore, e un misterioso anello sull’anulare sinistro che ha molte probabilità di essere un anello sponsale.

Il restauro al Louvre del quadro il Doppio Ritratto, affidato all’esperta Chiara Santiluti, che vede affiancati Raffaello e un suo giovane collaboratore -molto probabilmente l’amico Giulio Romano-, fa da raccordo tra la realtà storica dell’uomo con i suoi affetti e le sue passioni e l’espressione artistica del suo talento.

Anche Cinzia Giorgio presenta qui il suo doppio ritratto di scrittrice eclettica: autrice di romanzi e storica dell’arte, che ha trovato la formula giusta per insegnare senza annoiare, intrecciando la storia di opere famose, inestimabili, a quella del Genio che le ha realizzate, e per ridestare senso estetico e orgoglio nazionale anche in noi comuni mortali.

Romina Angelici

Il cruccio di Henry James

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Ottimo compendio che raccoglie in poche pagine pregnanti l’enorme caratura di questo scrittore riconoscendone l’immenso valore nella letteratura internazionale.

Il manifesto programmatico d’apertura, quello ufficiale che campeggia nella Prefazione, si propone di far conoscere di più e meglio Henry James, sfatare un mito intoccabile, diffonderlo e renderlo accessibile. Ci vorrebbe un trattato per sviscerare tutte le tematiche, lo stile, la poetica di Henry James, ma Federica Marchetti ci prova o prova almeno a fornire gli strumenti giusti e le linee fondamentali da cui partire.

Consapevole della non popolarità di Henry James come autore, delle sue ostiche costruzioni perifrastiche, della sua elegante profondità, la Marchetti lo presenta e lo propone nella sua semplicità di uomo e di scrittore, alle prese con questioni banali e gravi, attraverso le gioie e i dolori di ogni esistenza e le scelte letterarie compiute.

Oggi Henry James è il tempio dove amo rifugiarmi e dove porto con me i lettori di buona volontà che vorranno seguirmi in quest’avvenuta (p. 10). 

Ebbene Federica Marchetti ti ho seguita volentieri, senza bisogno di alcuno sforzo di buona volontà ma con grandissimo piacere perché questo è il tuo più eloquente manifesto programmatico, invito irresistibile a leggerti e ad assorbire tutte le preziose informazioni che fornisci.

E’ la semplicità con cui cogli i tratti distintivi e le peculiarità di questo Autore ad essere accattivante e ad instillare il prolifico seme dell’interesse e dell’approfondimento.

Quando mi fai notare alcune sottili eppure importanti somiglianze con Jane Austen, hai già catturato la mia più completa attenzione:

 Henry James, grande anticipatore del romanzo moderno, è figlio di Jane Austen. Dai tempi della signorina dell’Hampshire, egli è il più grande scrutatore dell’animo umano e ha speso tutta la vita per indagarne, osservarne e raccontarne ogni sua sfumatura nella sua immobilità sconfinando nella scoperta della crudeltà che trasforma in spettro (p. 15). 

Eh già, Jane Austen! che James cita pochissimo ma che sappiamo tutti aveva ben presente in mente come punto di riferimento, anche lei maestra sopraffina nella tecnica disintegrativa del narratore onnisciente e dell’uso dei punti di vista e dell’ironia. Non stupisce quindi che Il Cruccio di Henry James abbia seguito proprio A proposito di Jane Austen.

Con altrettanta applicazione ho ripercorso insieme a te la vita e le opere guardando alle molteplici implicazioni e ai ricercati equilibri tra i due vasi comunicanti e ho assistito allo svilupparsi del tema internazionale che vuole irrisolta la prodromica contrapposizione socio—culturale tra la candida America e la scaltra Europa. Potrà sembrarci incredibile ma il cruccio di Henry James è stato proprio quello di aver incontrato poco successo tra i lettori dell’epoca e ancor di più di aver fatto fiasco quando si è cimentato nelle opere teatrali.

La chiarezza espositiva in genere è sintomo di chiarezza di pensiero e di padronanza dell’argomento e non è dal numero delle pagine di un volume che si può quantificare il valore di uno studio preciso e puntuale come questo.

Non meno importante ho trovato, e anzi di rilievo, il lavoro di ricerca bibliografica, in genere frastagliata e approssimata. Preziosa la segnalazione dei testi reperibili in italiano, sia per quanto riguarda i racconti e i saggi tradotti sia per la ricca produzione critico-letteraria indotta.

Un piccolo Baedeker Jamesiano mi sembra la definizione più calzante.

 

Romina Angelici