Archivio | settembre 2020

Un’intricata matassa di Lucy Maud Montgomery.

Foto mia

Siamo solo agli inizi e attorno al capezzale della terribile e temibile zia Becky si sono riuniti tutti i componenti dei clan dei Dark e dei Penhallow. Bastano pochi tocchi essenziali a descriverceli con le loro idiosincrasie e le loro storie precedenti.

Ma zia Becky possiede un oggetto che fa gola a tutti ed è questo il pretesto e il motore del libro.

La brocca si è fatta attendere a lungo; nel frattempo abbiamo cercato di districare la matassa di nomi, relazioni, unioni, matrimoni, esistenti tra gli appartenenti ai due clan con un po’ di impegno e molto divertimento, grazie alle frecciate ironiche dispensate da Lucy Maud Montgomery.

Come spesso accade, dietro all’ironia c’è una profonda malinconia per il tempo andato, le occasioni perse, l’amore sprecato….

Eccoci di nuovo al punto. Amore che andava sprecato tutt’intorno a te, mentre tu morivi per il desiderio di riceverne soltanto un po’.

La maggior parte dei personaggi sono avanti con gli anni e hanno qualcosa da rimpiangere o da recriminare.

Quelli giovani cominciano a sperimentare le prime gioie e le prime delusioni. La rete di parentela intrecciata a doppio filo, attraversata da dicerie, pettegolezzi, chiacchiere continue, è anche una garanzia e una protezione per i suoi componenti, una garanzia di appartenenza e di sicurezza.

Dopo una panoramica dei due clan, l’attenzione si sofferma in particolare sulle vicende di quattro donne e sul loro modo di cogliere l’occasione della vita. Ciascuna di loro lo farà secondo il proprio carattere e comportamento ma non senza incappare in passi falsi, effimere illusioni, grossi abbagli, fortunatamente poi corretti in un rassicurante lieto fine.

Le esistenze dei Dark e dei Penhallow aggrovigliate attorno ad assurde prese di posizione o manie, dimostrano tutta la loro relatività se rapportate al senso ultimo di questo passaggio terreno e a ciò che ne rimane.

Se, come avverte Cristiano Ragni, non sappiamo co certezza che Lucy Maud Montgomery avesse in mente questi versi dell’amato Walter Scott, essi si addicono a questo romanzo perfettamente:  

Oh! Che intricata matassa tessiamo

Quando per la prima volta proviamo a fingere

L’esempio di zia Becky pare servito a ben poco, qualcuno saprà trarne una sonora lezione?

Quella brocca non ce la racconta giusta? Essa diventa il simbolo dell’unione del clan o di assurde posizioni di principio destinate a essere smentite o scontate?

Il libro è ironico e malinconico insieme, tenero e divertente, coinvolgente al punto da sembrare accoglierti in famiglia. Le descrizioni dei chiari di luna sullo sfondo del mare e il fruscio delle betulle in lontananza appena scosse dalla brezza, hanno il sapore della poesia scritta, dello stile inconfondibile di Lucy Maud Montgomery che è tutto questo.

Considerato il più autobiografico delle opere di Montgomery, scritto quando aveva ben 57 anni, può essere considerato il suo testamento o il suo bilancio?

Gli errori e il dolore sono inevitabili. Meglio che vengano da scelte nostre che non da imposizioni altrui.

Questo libro sale decisamente in testa alla mia classifica ideale, sicuramente tra i preferiti.

Scheda libro:

Autore: Lucy Maud Montgomery
Titolo: Un’intricata matassa (1931)

Casa Editrice: Edizioni Jo March

Traduzione di Elisabetta Parri
Introduzione di Cristiano Ragni
A cura di Valeria Mastroianni e Lorenza Ricci

Titolo originale: A Tangled Web
Lingua originale: Inglese (Letteratura americana)

Isbn: 9788894142877
Pagine: 332
Collana: Atlantide

Prezzo: € 15,00

Sinossi:

«Una dozzina di storie è stata narrata sulla vecchia brocca dei Dark. Questa è quella vera…». Così inizia l’ingarbugliata vicenda delle famiglie Dark e Penhallow, un vero e proprio “clan”, costituitosi nel corso di tre generazioni e retto dalla temibile zia Becky. Proprio zia Becky, prossima alla morte, indice una riunione per dare lettura del proprio testamento. Gli eccentrici membri delle famiglie accorrono alla chiamata, per sapere cosa spetterà loro in eredità e soprattutto per conoscere il destino del cimelio più ambito, la vecchia brocca dei Dark, oggetto-simbolo del clan. Eppure la zia, che non ha mai perso occasione per essere mordace, ha in serbo un ultimo colpo di scena… le sue volontà sulla brocca resteranno sigillate in una busta che dovrà essere aperta soltanto dopo un anno: potrebbe aver già scritto il nome dell’erede, oppure potrebbe avere semplicemente indicato una serie di qualità imprescindibili per designare un degno legatario, da qui l’ammonimento a rivedere i propri comportamenti rivolto a tutti i presenti. Un ultimo acido capriccio? O, forse, la vecchia Becky ha usato la propria autorità, e la sua ultima possibilità, per dare una scossa ai membri del clan e indirizzare ciascuno verso la ricerca della felicità? Saranno in particolare quattro giovani donne, quattro eroine che non potrebbero essere più diverse fra loro, a raccogliere il monito: per raggiungere la felicità ognuna dovrà superare le proprie paure, sfidare le regole di una società ottusa, compiere delle scelte difficili. Lucy Maud Montgomery torna a stupirci e a farci ridere, e torna, soprattutto, a farci riflettere sul profondo significato delle nostre esistenze.


Informazioni sull’autore
Lucy Maud Montgomery (1874-1942), straordinaria e prolifica scrittrice canadese, originaria di Prince Edward Island, nota principalmente in Italia per la celebre saga di Anne of Green Gables (“Anna dai capelli rossi”), ha pubblicato in vita oltre venti libri, più di cinquecento racconti e cinquecento poesie e completato dieci volumi dei suoi diari (tra le opere più celebri, ricordiamo la trilogia di Emily of New Moon, la saga di Pat of Silver Bush, i romanzi Magic for Marigold e Kilmeny of the Orchard). Tradotta e letta in tutto il mondo, nessun altro scrittore canadese ha più raggiunto un tale successo e notorietà internazionali. Nel 1943 è stata designata come “Persona di significato storico nazionale” dal Governo canadese.

Louisa May Alcott ai Colli Albani

Louisa May Alcott ai Colli Albani. Fatti, enigmi e curiosità di un breve  soggiorno nella primavera del 1871: Amazon.it: Paolucci, Stefano: Libri

 Questo breve saggio documenta e testimonia l’importante passaggio della scrittrice americana nella zona di Albano, in occasione del suo secondo viaggio in Europa, il primo in Italia.

La ricostruzione dell’itinerario percorso da Louisa May Alcott in compagnia della sorella May e della loro amica Alice Bartlett si affida ad alcuni disparati e preziosi riferimenti che la Alcott ci ha lasciato nel racconto che ne ha tratto (Shawl-Straps o come tradotto in italiano: Lontano!) e nel diario.

La villa dei discendenti di Bonaparte, la Tomba degli Orazi e Curiazi ribattezzata la Tomba dei Quattro enormi Ditali (da cucito!) e la grande fiera con gli artisti venuti da Roma e le decorazioni di fiori di carta e stelle filanti consentono al microstorico Stefano Paoloucci di rintracciare le orme di Louisa ad Ariccia e a Grottaferrata, nonostante queste due località non vengano da lei menzionate.

La villa, il cui giardino nel racconto, un giovane gentiluomo ospitale si offre di far loro visitare proponendo la nobile dimora in affitto (offerta poi declinata dalla più saggia Lavinia, alias Louisa) e il sepolcro  si trovano ad Ariccia, la fiera che secondo quanto scritto da Louisa si sarebbe tenuta ad Alabno, -ravvivata da una comitiva di pittori romani, abbigliati in vari costumi che si recano quassù per inscenare un piccolo carnevale- farebbe pensare alla tradizionale fiera di Grottaferrata che si tiene in marzo in coincidenza con una festa religiosa, il cui segno distintivo dei partecipanti era di adornarsi di fiori di carta proprio come annotato dalla scrittrice.

La presenza di Louisa May Alcott ai Colli Albani, con gli annessi episodi che abbiamo in parte ricostruito, non fa che confermare quanto la nostra storia locale sia non solo ricca e affascinante, ma di indubbio interesse internazionale e ben lungi dall’essere esaurita nella sua investigazione. Particolarmente degno di nota è il fatto che Louisa abbia scritto una parte di Piccoli uomini durante il suo soggiorno ad Albano, come peraltro ha segnalato la biografia di Madeleine B. Stern: “Vicino all’incantevole lago e alle sue rive boscose, Louisa aggiunse un tocco finale ai suoi Piccoli uomini, descrivendo la messe dorata di Plumfield mentre i ciclamini e gli anemoni portavano la primavera ad Albano[1].

L’amore per la propria terra e per la scrittrice americana mi rendono ancora più caro questo piccolo, purtroppo, studio.

Sinossi:

Dopo il travolgente successo di “Piccole donne”, Louisa May Alcott si trova a passare un periodo tutt’altro che sereno. Provata dagli anni di duro sgobbo letterario e afflitta da un recidivo affaticamento nervoso, nella primavera del 1870 decide che è tempo di concedersi una vacanza. Accettando l’invito della sorella minore di accompagnare lei e una sua amica in Europa, Louisa si imbarca in un Grand Tour che durerà oltre un anno e che la porta per la prima volta anche a Roma, dove trascorre tutto l’inverno. Al primo sbocciare della primavera, le tre donne lasciano la città per trasferirsi ad Albano, sui vicini Colli Albani, dove Louisa, tra una passeggiata e una gita a dorso d’asino, continua la stesura di un nuovo romanzo che ha iniziato proprio a Roma: “Piccoli uomini”. Quelle due settimane passate ad Albano e dintorni sono ora al centro di questa avvincente indagine microstorica. Seguendo le poche, vaghe e talvolta enigmatiche notizie che la Alcott ci ha tramandato – specie sotto forma narrativa nel libro di viaggio “Shawl-Straps”, inedito in Italia – l’autore ricostruisce il breve soggiorno della scrittrice americana fino a svelare luoghi, episodi e personaggi locali che mai prima d’ora erano stati individuati o anche solo presi in esame.


[1] Stefano Paolucci, Louisa May Alcott ai Colli Albani, cit., p. 27.

La famiglia inglese nell’Ottocento.

Victorian Family Portrait Painting - FamilyScopes

La principale differenza esistente tra la famiglia odierna e la famiglia inglese dell’Ottocento a cui posso pensare, è la prolificità.

Il nucleo familiare all’epoca era molto numeroso e non era costituito solamente dalla coppia di coniugi e 1-2 figli come accade nella situazione media moderna. Sappiamo benissimo che all’interno ciascuno aveva un ruolo predefinito e con esso un destino e una certa importanza, e anche se oggi può apparire crudele, se si era inabili -e presumibilmente non si era capaci di contribuire al sostentamento della famiglia- si veniva allontanati. Questo caso si verificò nella famiglia Austen che allontanò un figlio con handicap affidandolo ad altri, senza che qualcuno in particolare ne abbia avuto a soffrire in seguito, essendo una pratica piuttosto diffusa all’epoca.

Per le altre caratteristiche invece credo che il divario si va assottigliando dato che anche oggi il concetto di famiglia si riferisce anche a quella allargata e comprende anche figure unite da rapporti di sangue ma anche di parentela e affinità che entrano nell’orbita familiare a vario titolo. In passato poteva capitare che ne fossero ospiti fisse, vecchie zie o parenti alla lontana che venivano ad aiutare o ad essere aiutate oppure studenti presi a pensione per contribuire al ménage domestico.

La presenza di estranei ha sicuramente influito sulla maggiore formalità dei modi inglesi e sul loro rigido codice comportamentale che difficilmente anche tra consanguinei lasciava spazio a manifestazioni d’affetto anche verbali, o anche solo manifestazioni colloquiali.

British Paintings: Thomas Faed - The Leisham Family of Tillicoultry,  Clackmannanshire

Purtroppo, si dava spesso il caso che le famiglie non fossero complete: non erano cioè così fortunate da contare tutti i membri, dovendo rassegnarsi alla perdita di chi era cagionevole di salute, sia che si trattasse di un figlio gracile sia di un genitore. Per citare un esempio, ho sempre guardato a casa Bronte, dove la tisi aveva fatto una strage tra metà dei componenti,  come a un’ammirevole macchina organizzata, una volta superate le perdite, in cui ognuno aveva il suo compito e le sue mansioni da portare avanti e le tre sorelle sentivano in modo molto speciale il loro legame verso la famiglia, in cui erano compresi la zia severa, il padre austero e l’incostante Branwell, e verso quella casa, seppure fredda, scomoda, faticosa da mandare avanti. La famiglia, nonostante tutto.

Forte era lo spirito di unione che legava i diversi componenti tanto da mantenere comunque inalterati rapporti con il nucleo d’origine anche dopo il matrimonio.

Ovviamente questo accadeva necessariamente nel caso degli uomini per questioni di eredità ma anche nel caso delle donne, esse non dimenticavano la propria famiglia di provenienza a cui comunque continuavano a fare riferimento, a meno che non vi fosse stata una dichiarata ostilità alle nozze contratte. In quel caso cessava ogni tipo di rapporto o frequentazione.

Victorian Family | Victorian Family Life | DK Find Out

Per Jane Austen la famiglia era importante in quanto fonte di stabilità; la morte del padre aveva causato allo stesso tempo sia la mancanza di una dimora fissa sia la disgregazione del nucleo familiare perché spesso le sorelle e la madre si dovevano dividere per andare ospiti da diversi parenti. In questo senso credo che, da un lato per Jane Austen la famiglia fosse rappresentata da quella rete di fratelli e sorella da cui si sentiva contorniata e protetta, dall’altro che la famiglia fosse sinonimo di casa e l’essersi definitivamente stabilite a Chawton, grazie all’aiuto del fratello maggiore più fortunato, abbia definitivamente placato ogni sua insicurezza facendola sentire finalmente in pace con se stessa e con il mondo. La famiglia del resto ha rappresentato per lei sempre una fonte di ispirazione, un appoggio, un rifugio, un punto di riferimento continuo. Le sue lettere pullulano di discorsi, preoccupazioni, progetti, avvenimenti, eventi familiari perché quella era la materia principale delle conversazioni e dei pensieri che occupavano le sue giornate perché la sua vita era organizzata su e in base a quelli.

Gli Austen ebbero i loro guai ma mai quanti ne attraversarono gli Alcott e non so poi quanto tutto questo incise sulla decisione delle rispettive figlie di non formare alcuna famiglia propria.

Per molto tempo la famiglia Alcott ha dovuto navigare a vista prima che Louisa potesse considerarsi a casa come in un porto sicuro, ma quanto ella credesse fermamente in questo valore ce lo dimostra Piccole Donne, che è la storia ideale della famiglia, e ce lo dice anche il tipo di esistenza condotta da lei stessa perché, per quanto si spezzasse la schiena a fare mille lavori, lasciasse casa tante e tante volte in cerca di fortuna, Louisa sempre a Concord ritornava e in funzione del benessere della sua famiglia lavorava e faceva sacrifici. Con figure genitoriali così ingombranti credo che Louisa non sia mai riuscita ad affrancarsi e si sia sempre considerata una figlia, e se non ha sposato il suo Laurie, forse è perché non è riuscita mai a tagliare il cordone ombelicale che la legava alla sua famiglia d’origine e a fare quel salto in direzione della propria indipendenza e autonomia psicologica.

Non è detto che se si fossero sposate Jane Austen o Louisa May Alcott per esempio, non avrebbero scritto i capolavori che ci hanno lasciato. Posso smentirlo con il caso di Mrs Gaskell che ne ha prodotti più d’uno, fortunatamente per noi. Bisogna ammettere però che i tempi erano diversi, rispetto a Jane Austen, e i contesti, rispetto a Louisa.

Proprio la stessa Elizabeth ci dimostra quanto l’esperienza matrimoniale e familiare fosse difficile e totalizzante per una donna e che la scrittura le è venuta in soccorso per mantenere saldamente il suo posto in seno alla sua famiglia martoriata dalla tragica scomparsa dell’ unico figlioletto maschio.

È forse troppo scontato pensare che poiché aveva perso da piccola la madre, allora ella abbia voluto creare una famiglia sua in cui trovare ed esprimere il calore materno che le era mancato?

Di certo la prima caratteristica che associo a Mrs Gaskell è proprio il tono materno e comprensivo che trasuda dal suo modo di narrare e mi piace pensare a lei contorniata dal marito, dalle figlie, dai generi mentre racconta loro una delle sue belle storie.

Ho sempre pensato a una famiglia matriarcale avendole attribuito un carattere più forte rispetto a quello del marito e un potere decisionale, almeno nei riguardi delle figlie, maggiore. Nei suoi romanzi ha raccontato delle tipologie più disparate di famiglie, sia dal punto di vista sociale che morfologico.

In Mogli e figlie gli Hamley sono la tipica famiglia nobile che si aspetta che il primogenito compia una splendida carriera universitaria dando lustro al nome del casato mentre il cadetto è relegato alla ricerca scientifica in campo pratico ma nei fatti sarà lui a riscuotere più successo. Il dottor Gibson è vedovo e pensa bene di risposarsi per dare una nuova madre alla figlioletta Molly che ormai si va facendo grande e attira gli sguardi dei giovanotti, senza immaginare che rovinerà per sempre il loro rapporto speciale, complicando la vita ad entrambi oltretutto.

Da osservatrice esperta e realista qual è Mrs Gaskell non fa sconti a nessuno e non nasconde che anche nelle migliori famiglie, non è tutt’oro quello che luccica.

Per questo nei suoi romanzi si ha sempre la sensazione di essere accolti e di sentirsi a casa.

Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino

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Ho voluto leggere questo libro perché da diverso tempo trovavo giudizi che lo definivano un inno celebrativo della lettura e non potevo esimermi dallo sperimentarlo di persona.

Non conosco Calvino, me ne sono tenuta sempre ben lontana perché l’ho sempre considerato anti-romantico per eccellenza e nel mio mondo patinato non c’era posto per la sua poetica estremamente razionale e cervellotica.

 

Questo romanzo si intitola in questo modo ma in realtà potrebbe avere altrettanti 10 altri titoli così come è un libro che non racconta solo una storia ma dieci insieme, un libro che più che la scrittura, celebra la lettura.

La trovata, definita nella posfazione di Giovanni Raboni, semplicissima e straordinaria, di Se una notte d’inverno un viaggiatore è la seguente: mettere al centro del libro un personaggio che di solito ne sta al di fuori, cioè il lettore.

Poliedrico e funambolico Calvino propone quello che non ti aspetti e brucia 10 incipit di classe per dimostrare che una volta iniziata, l’avventura della lettura, è difficile interromperla. Bastano poche righe, brevi pagine a rapire e ad avvinghiare il lettore.

 

Già il lettore…

Il Lettore che legge, il Lettore letto, la Lettrice, si intrecciano con altri personaggi che appartengono al mondo editoriale, scrittori, traduttori, redattori, e del mondo narrativo creando una sovrapposizione di realtà decisamente all’avanguardia, e che faccio fatica a seguire a volte. Ma la comunicazione tra questi due mondi è davvero possibile?

Nella lettura avviene qualcosa su cui non ho potere.

Confessa lo scrittore che nella storia falsifica tutti i libri dopo poco iniziati.

Questo esperimento cosa vuole dimostrare? Che ci sarà sempre un nuovo libro, il prossimo, pronto a farci dimenticare il precedente? Che ci sono milioni di finali aperti per ogni buon inizio o milioni di storie da raccontare? Oppure che da qualsiasi inezia può scaturire una scintilla di racconto?

L’uomo ha bisogno di sentirsi raccontare storie, sin dalla notte dei tempi.

Esercizio stilistico quello di Calvino? Parossismo dello scrittore o atto d’amore e di appartenenza?

 

Certo è che una volta capito il meccanismo il gioco diventa scoprire la successiva trovata ma nel frattempo si è perso il piacere della lettura, si è tirata troppo la corda.

La struttura del libro, di cui al termine si conosce la geometrica compiutezza, è frutto di un ragionamento studiato a tavolino o disvela le infinite potenzialità di uno strumento -la scrittura- che ha un immenso e vertiginoso potere.

Il capitolo IX è fondamentale per una comprensione generale.

La lettura è un’esperienza personale, unica e irripetibile.

Sicuramente un libro che non può lasciare indifferenti. Sapevo che si sarebbe trattato di una specie di iniziazione ai misteri di Calvino.

leggere vuol dire spogliarsi d’ogni intenzione

Come direbbe lui, ho dovuto abbandonare la mia zona confort di lettrice e ora sono ancora un po’ perplessa.

 

Non che t’aspetti qualcosa di particolare da questo libro in particolare. Sei uno che per principio non s’aspetta più niente da niente. … E coi libri? Ecco, proprio perché lo hai escluso in ogni altro campo, credi che sia giusto concederti ancora questo piacere giovanile dell’aspettativa in un settore ben circoscritto come quello dei libri, dove può andarti male o andarti bene, ma il rischio della delusione non è grave.

 

Delitto di una notte buia di Elizabeth Gaskell

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Un libro firmato da Elizabeth Gaskell si riconosce subito da quell’accento di affettuoso interesse con cui l’autrice guarda ai personaggi e l’umana comprensione verso le loro debolezze che dimostra nel narrare le loro vicende, anche le più drammatiche.

 

Il suo amore – così soffocato in uno spazio ristretto- finalmente ruppe gli argini e si riversò su suo padre.

 

Nell’ottima introduzione ci vengono spiegate le vicende dell’individuazione del titolo che per ragioni e politiche editoriali molto crude, Dickens volle e ottenne che fosse un titolo sensazionalistico.

Ben avrei visto, invece, campeggiare in piena copertina, il nome della sua protagonista principale, che fa di tutto per non essere un’eroina ma finisce per esserlo, tanta è la centralità che ella ha nello sviluppo dell’intero libro.

Ellinor non ha alcuna caratteristica volitiva né compie atti straordinari, ammesso che non sia considerato del tutto fuori dalla norma assistere a un delitto in casa propria, ma dimostra una tenacia e una fermezza incrollabili che nonostante i continui malesseri e il progressivo sfiorire della sua giovinezza, alla fine riusciranno ad avere la meglio sul degenerare degli eventi.

Ella incarna “la figura di donna incorniciata da una finestra che ne fissa la soglia psicologica e la dimensione sociale”, scrive Francesco Marroni: subisce le azioni poste in essere dagli uomini che la circondano, dal padre, al promesso sposo, al domestico, in uno stato di perpetua inquietudine, ora dovuta ai rimorsi di coscienza ora al dolore vero e proprio per il suo amore tradito, finché non troverà la sua giusta collocazione.

Nomi, legami familiari, situazioni, richiamano alla mente i contesti che già Mrs Gaskell ci ha abituato a conoscere e a frequentare, senza alcun alone di serenità nostalgica. In questo racconto i suoi continui avvertimenti trattengono il lettore all’erta con un senso di incombente tragedia e di tranquillità definitivamente spezzata.

La marginale parte riservata alla parentesi romana, che Ellinor verso la fine del romanzo si concede accettando l’invito di una vicina di casa per ristabilirsi, coincide con il viaggio fatto dalla stessa Gaskell in compagnia delle figlie nel 1857, nello stesso periodo del Carnevale peraltro.

Roma, come giustamente sottolineato dal prof. Francesco Marroni, che ha curato e tradotto il romanzo, si innesta nella trama generale “come un breve interludio, una nostalgia dell’essere, un segmento di felicità” di cui Gaskell si fa meravigliosa interprete calzandolo indosso alla situazione di Ellinor e provando a donarle un po’ di ristoro dal punto di vista fisico e psichico.

Ma i riferimenti autobiografici non finiscono qui perché nella descrizione delle sofferenze della ragazza, Ellinor, lasciata di punto in bianco dal fidanzato, Mr Ralph Corbet, preoccupato solo di fare carriera, Mrs Gaskell prese in prestito la sorte accaduta a sua figlia Meta, che sempre durante il viaggio in Italia, aveva conosciuto il capitano Hill per poi essere da questi inopinatamente lasciata all’improvviso dopo solo un anno, a un passo dalle nozze.

Fedele alla sua concezione ideologica di un passato che ritorna e ristabilisce l’ordine delle cose in un presente disarmonico,  religiosamente fiduciosa in un senso di giustizia superiore, Mrs Gaskell ha preparato un altro dei suoi affreschi della società inglese di metà Ottocento, presentandolo con tutta la perizia realistica  di cui è capace per analizzare sia la veste pubblica che il foro interno dei suoi personaggi.

Ribadisco che l’introduzione è magistrale e accompagna e guida la lettura in modo egregio. Suggerisco di leggerla dopo il libro.

Segnalo anche la pregevole traduzione di Mara Barbuni.

Scheda del libro:

 

Delitto di una notte buia appare a puntate per la prima volta tra il gennaio e il marzo del 1863 tra le pagine del periodico «All the year round» grazie all’entusiasta approvazione di Charles Dickens.

Ford Bank è una cittadina nella quale Edward Wilkins esercita la professione di avvocato come il padre prima di lui. La capacità affabulatoria e l’acuta intelligenza gli permettono di avvalersi della simpatia dei nobili locali benché questi ultimi non considereranno mai l’avvocato un loro pari. Sconvolto per la morte della moglie e della secondogenita, Mr. Wilkins riversa ogni attenzione nei confronti della figlia maggiore, Ellinor. La vita della ragazza sembra perfetta: è innamorata del giovane Mr. Corbet, uno studente di Giurisprudenza brillante e ambizioso; tutto le sorride, al punto da non accorgersi dell’evidente stato di decadenza del padre, il quale, sentendo il peso dell’inadeguatezza sociale e del proprio fallimento, riversa i suoi malumori in vizi, lussi e alcolici. Tutto si ferma una notte, una notte buia durante la quale Ellinor assiste a un delitto. E sarà proprio questo evento a sconvolgere drasticamente la sua vita ribaltando l’ordine di ogni cosa.

Con un ritmo dolce ed elegante Elizabeth Gaskell accompagna il lettore in un racconto appassionante con una protagonista femminile in cui si concentra una forte carica emozionale.