Il romanzo gotico è un genere che si afferma nella seconda metà del Settecento in Inghilterra e diversi sono stati gli autori che si sono cimentati in esso.
Horace Walpole ne è stato il pioniere coniugando il gusto per il pittoresco e il Sublime (categorie chiave della sensibilità preromantica) con una forte predilezione per il mistero e l’irrazionalità,[1] la Radcliffe ha contribuito alla definizione del genere dettando le regole circa gli aspetti che non dovevano mancare, nel gothic novel.
Se il genere si è diffuso a metà del Settecento, l’applicazione della definizione di gotico è presa a prestito dal campo dell’Arte.
Per essere più precisi, l’etichetta di gotico fu coniata in senso spregiativo da Giorgio Vasari nel XVI secolo come sinonimo di “barbarico”e usata a posteriori per indicare l’architettura medievale.

La narrativa gotica ha avuto un forte legame iniziale con la architettura perché l’ambientazione prediletta dai primi romanzi era costituita proprio da fortezze costruite in posti inaccessibili, luoghi cupi e misteriosi su cui aleggiavano presenze soprannaturali e un’atmosfera di terrore. Walpole ordinò la costruzione della Villa di Strawberry Hill nei pressi di Londra in stile neogotico e a essa guardò per trarre ispirazione.

Singolare è come la scelta delle location in cui ambientare i propri romanzi cadeva su nobili e vecchie dimore, castelli, abbazie e conventi della profondissima Italia in epoca storica precedente: vedi Il Castello di Otranto nel caso di Walpole il cui testo è presentato come la traduzione di un antico racconto italiano ambientato nella Puglia medievale nel Regno di Sicilia del re Manfredi. Ne I misteri di Udolpho, la zia di Emily si sposa presto con l’italiano Montoni, che le conduce nel castello di Udolpho sugli Appennini per rinchiuderle e separarle dal resto del mondo; ne L’Italiano, Ellena è rinchiusa in un convento in un’Italia immaginaria.

Nell’immaginario inglese l’Italia rappresentava la patria del Cattolicesimo che nei paesi protestanti come l’Inghilterra incarnava il potere repressivo e terrificante, e allo stesso tempo la culla del Medioevo sinonimo di periodo di oscurantismo e violenza. Basti dire che la Radcliffe non l’aveva mai visitata e la descriveva solo in base a delle visioni stereotipate.
Un altro degli elementi ricorrenti nel romanzo gotico era il plot della storia d’amore contrastata e l’eroina spesso e volentieri era una giovane ragazza in balia delle subdole mire di un bieco seduttore: questa figura che abbiamo incontrato in Clarissa di Richardson la quale viene rapita dallo spietato Lovelace, verrà sviluppata successivamente da Walpole e Radcliffe.
Louisa May Alcott che era stata un’avida divoratrice di romanzi della letteratura europea, costruisce il suo Un lungo fatale inseguimento d’amore su questa falsariga. Già l’incipit immette nelle atmosfere alla Radcliffe, con una giovane eroina inseguita per l’Europa da un temerario mascalzone.

“Vi dico che non lo sopporto! Farò un gesto disperato se questa vita non cambia presto. Non fa che peggiorare, e spesso sento che sarei disposta a vendere l’anima al Demonio in cambio di un anno di libertà!” Era stata una giovane voce impetuosa a parlare, un intenso desiderio infondeva forza a quelle parole appassionate, mentre la ragazza si guardava intorno angosciata in quella stanza tetra, come una creatura in gabbia sul punto di liberarsi. Le pareti erano coperte di libri, libri s’ammucchiavano sui tavoli e tutt’intorno al suo unico compagno, un vecchio incartapecorito e inquietante. Questi sedeva su una sedia a rotelle dalla quale gli arti paralizzati non gli permettevano d’alzarsi senza aiuto.
In questo romanzo che raccoglie un po’ tutti i cliché della narrativa gotica (la bella, il bruto, la fuga) troviamo la caratterizzazione tipica degli europei in base alle loro peculiarità nazionali e una considerazione forse troppo semplicistica di distanze ed estensioni del Vecchio Continente. Intatto rimane il fascino esercitato dai paesaggi europei, in questo caso rappresentati da una cittadina della Costa Azzurra che all’epoca in cui fu scritto il romanzo, era annessa al territorio dello Stato italiano.
Alcott non faceva che rimandare quello che era il generale entusiasmo con cui il romanzo gotico era stato accolto in America dove fin dal 1797 sia la lattaia che i suoi garzoni si dilettavano con il piacevole terrore di case frequentate da fantasmi e con io folletti di Miss Radcliffe e lei stessa poteva attingere alle prodigiose macchinazioni di Walpole, ai fantasmi della Radcliffe, gli orrori di Monk Lewis[2].

Alcott è anche quella che ci permette di stabilire quel collegamento tra il Gotico e il Romancismo passando per Goethe e il suo Faust che immortala per sempre la titanica lotta tra il bene e il male, tra l’uomo e Satana, tra il dottor Faust e Mefistofele.
Con l’innesto del romanzo storico e del Romanticismo, il Gotico ha vissuto una seconda stagione di riscoperta e ritorno. I temi romantici del misterioso, dell’esotico, delle rovine abbandonate e la riscoperta dell’epoca medievale e la valorizzazione della storia, hanno trovato nella dimensione gotica la loro naturale collocazione favorendo il proliferare di quel tipo di letteratura venendo declinata secondo la particolare sensibilità dei singoli autori.
Mary Shelley ne cavalca la paura per l’irrazionale per giungere a una riflessione metascientifica e filosofica, Edgard Allan Poe e Arthur Conan Doyle conieranno nuovi specifici filoni sui quali non posso addentrarmi.
Diverse quindi sono state le contaminazioni tra il genere gotico e altri generi letterari come il giallo, il poliziesco, o lo stesso romanzo storico, l’horror, come non è mancata la parodia di esso. È il caso di Jane Austen che ha fatto di Northanger Abbey il controcanto de I Misteri di Udolpho: non solo è continuamente menzionato come lettura in corso delle due ragazze che si scambiano giudizi e opinioni a riguardo, ma insiste dietro le quinte dell’intera storia come paradigma letterario che viene puntualmente smentito e parodiato:

“Ma, mia carissima Catherine, che cosa hai fatto per tutta la mattinata? Sei andata avanti con Udolpho?”
“Sì, l’ho letto da quando mi sono svegliata, e sono arrivata al velo nero”.
“Davvero? Che bello! Oh! Per nulla al mondo ti direi che cosa c’è dietro il velo nero! Non muori dalla voglia di saperlo?”
“Oh! sì, eccome; che cosa può esserci? Ma non dirmelo, non voglio sapere nulla. So che dev’essere uno scheletro, sono sicura che è lo scheletro di Laurentina. Oh! Il libro mi piace tantissimo! Passerei la vita a leggerlo. Ti assicuro che se non fosse stato per incontrare te, non me ne sarei staccata per tutto l’oro del mondo.”
“Tesoro mio! Quanto ti sono riconoscente; e quando avrai finito Udolpho, leggeremo insieme l’Italiano; e ho buttato giù per te una lista di dieci o dodici titoli dello stesso genere”.
“Davvero! Come sono contenta! Quali sono?”
“Ti leggerò subito i titoli; eccoli qui, nel mio taccuino. Il castello di Wolfenbach, Clermont, Misteriosi presagi, Il negromante della Foresta Nera, La campana di mezzanotte, L’orfana del Reno, e Orridi misteri. Ci dureranno per un po’.”
“Sì, benissimo; ma sono tutti romanzi dell’orrore, sei sicura che siano tutti dell’orrore?”
“Sì, sicurissima, perché una mia cara amica, una certa Miss Andrews, una ragazza così dolce, una delle più dolci creature al mondo, li ha letti tutti[3].
Jane Austen figlia dell’Età dei Lumi, non poteva che guardare con un sorriso a tutto il campionario di situazioni inquietanti, ambientazioni lugubri, presenze sinistre, atmosfere di disfacimento e allarmanti, nonché di tipologie umane dal prototipo dell’arcigno e complottista Montoni, ai brutti ceffi di cui si contorna, i nobili decaduti nella scala sociale e nella dignità, alle rappresentanti del gentil sesso, in preda ai capricci e al volere del padrone di casa, occupate prevalentemente a svenire di continuo.
Se certi eccessi la facevano sorridere, altrettanto irresistibile era il desiderio di parodiarli, anche perché il romanzo gotico stava lentamente passando di moda nell’epoca che lei stava vivendo. Anzi, proprio questo le costò la chiusura in un cassetto della sua Abbazia di Northanger da parte dell’editore che l’aveva inizialmente acquistata, forse per timore che questo tipo di romanzo non fosse abbastanza apprezzato dal pubblico, abituato a tutt’altro.
Molti altri autori successivi ne hanno avvertito l’influsso e si sono cimentati nel genere subendone il fascino, ora per mere finalità sperimentali o perché ben si conciliava con la vocazione narrativa.

Elizabeth Gaskell amava ammaliare i suoi ascoltatori con delle storie suggestive, commoventi o alcune volte, misteriose come con La strega Lois o Il racconto della vecchia balia. Il racconto di Gaskell però non è mai fine a se stesso e si coniuga sempre con l’intento morale di dimostrare come la volontà tenace o il fermo carattere di donne rese dure da una vita difficile e dolorosa potesse assumere agli occhi della comunità la manifestazione esteriore di un tratto inquietante di diversità, ribellione alle regole, mistero, tanto da essere considerate delle streghe.

George Eliot invece non resiste a sfruttare tutto il bagaglio del romanzo gotico interiorizzato e rimaneggiato, per costruire le basi del dramma interiore. I fantasmi di Walpole e della Radcliffe vengono spazzati via con tutta la loro pittoresca chincaglieria di catene, passaggi segreti e apparizioni notturne: non hanno più alcun bisogno di terrorizzare i vivi perché, molto più semplicemente e inquietantemente, diventano i vivi, riflettendo come uno specchio oscuro la negatività dell’Inghilterra vittoriana[4].
Il suo è il trampolino di lancio verso il romanzo del Novecento con l’interiorizzazione del dramma umano e l’approfondimento psicologico e introspettivo dei sentimenti della paura, angoscia, dell’uomo moderno. Temi che verranno poi ripresi da autori come Henry James ed Edith Wharton.

Atmosfere gotiche permeano la vita e le opere delle sorelle Bronte che siamo abituati a pensare nella landa desolata del Nord d’Inghilterra, chiuse nell’angusto spazio di una canonica situata accanto al cimitero le cui esalazioni potrebbero aver avvelenato l’aria respirata dai suoi abitanti. Inevitabile quindi che Jane Eyre, capitata nel lugubre maniero di Rochester e oggetto delle rudi maniere di lui e soprattutto delle moleste attenzioni di Bertha, la moglie pazza rinchiusa nella soffitta, e ancor più tutto il romanzo di Emily, Cime Tempestose, riportino tutto quel corredo di situazioni, luoghi, caratterizzazioni misteriosi, che nascondono terribili segreti e pericoli, amori contrastati, passioni violente che sopravvivono anche dopo la morte.

Sulla tradizione e impalcatura del romanzo gotico arriva la particolare reinterpretazione che ne fa Charles Dickens.
Dickens lo ha declinato secondo le sue corde e ne ha tratto uno stile narrativo che soddisfacesse anche le sue esigenze di sensazionalismo e il suo amore per le ghost stories.
Dopo Canto di Natale il suo divenne un appunto fisso con i lettori che a ogni ricorrenza natalizia dovevano aspettarsi l’uscita di un suo racconto, puntualmente condito di buoni sentimenti e apparizioni soprannaturali, nella migliore tradizione dickensiana.

Anch’egli subì il fascino misterioso dell’Italia quando si stabilì, durante il soggiorno a Genova, presso Villa delle Peschiere che aveva la reputazione di essere “davvero assai infestata”, rimanendone profondamente “impressionato” mentre era a caccia di ispirazione per l’ennesima ghost story. Egli infatti raccontò di aver avuto un’esperienza non spettrale bensì definita da egli stesso come un sogno: quasi subito dopo il trasferimento ebbe la visione di Mary Hogarth, l’amata cognata morta giovanissima, che tornava ad apparirgli in sogno, nelle vesti di uno spirito drappeggiato d’azzurro come una Madonna di Raffaello. Naturalmente questo sogno non fu senza conseguenze, poiché una figura incappucciata comparve nelle sue opere successive, e in particolare, nel libro di Natale in preparazione, intitolato Le campane che tratta di spiriti, fantasmi e apparizioni.

Il consueto racconto di Natale a cui Dickens aveva abituato i suoi lettori fu dunque composto in Italia dove l’ispirazione in realtà faticava ad arrivare all’inizio, mal conciliandosi il tema natalizio con l’atmosfera chiassosa e poco raccolta delle strade di Genova, poi furono proprio le sue campane a dargli il via, e le sue lunghe passeggiate notturne a fare il resto.
“Abbiamo sentito Le campane di mezzanotte, messer Shallow!” inviò ai suoi editori, Bradbury ed Evans.

La casa sfitta, l’ultima storia a essere pubblicata nell’edizione natalizia di “Household Words” ruota attorno a storie misteriose che devono trovare una ragionevole spiegazione prima di cessare di essere inquietanti e destabilizzanti, ma per Dickens-editore sono un ottimo espediente per soddisfare il pubblico e per Dickens-scrittore dilettarsi in sempre nuove forme narrative, questa volta ad incastro con i suoi colleghi-collaboratori Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e la giovanissima poetessa Adelaide Anne Procter, e soprattutto sensazionali -in cui è maestro Collins- in quanto fondamentali per catturare e mantenere viva l’attenzione dei lettori di una rivista, in special modo. Lettori, in funzione dei quali, al soprannaturale del romanzo gotico si sostituisce il pathos della cronaca nera, degli intrighi, e dei casi polizieschi: misteri più adatti alla moderna società borghese[5].
In un’altra raccolta, pubblicata qualche anno più tardi e intitolata Mugby Junction, Dickens si conferma amante dei racconti di fantasmi. Lo vediamo nella storia de Il Segnalatore, l’uomo addetto ai segnali nelle linee ferroviarie, perseguitato da ripetute apparizioni di un fantasma. Ogni apparizione spettrale precede, ed è foriera di un tragico evento sulla tratta ferroviaria dove lavora l’uomo. Il lavoro del segnalatore si svolge nelle vicinanze di una profonda galleria che sbocca su una linea isolata, da dove egli controlla il passaggio dei vari treni. Quando si verifica un pericolo, il suo collega lo avverte via telegrafo per dare l’allarme. Per tre volte, egli riceve l’avvertimento da parte dello spettro di un pericolo imminente attraverso il suono di una campana che solo lui può udire. Ogni avvertimento è seguito dall’apparizione del fantasma, e infine da un terribile incidente.

In questo racconto, in cui in particolare si avverte maggiormente l’influenza del terribile incidente ferroviario che gli era occorso nel maggio 1865 e da cui rimase fortemente provato psicologicamente, i segni premonitori e l’incombenza inquietante della morte, oltretutto in circostanze drammatiche, accentuano il senso di precarietà umana e la paura per le tenebre che avvolgono il futuro.
Le atmosfere gotiche perdono il loro fascino legato al mistero e all’ignoto per diventare foriere di angosce ed estremamente bisognose di rassicurazioni. Ricerca che per Dickens è durata per tutto il tempo della sua vita e della sua scrittura.
[1] Paolo Bertinetti, Il romanzo inglese, Editori Laterza, Bari, 2017, p. 36.
[2] Madeleine B. Stern, Introduzione a La donna nell’ombra, Racconti di Louisa May Alcott, Milano, 1996, p. 14.
[3] Jane Austen, L’Abbazia di Northanger, trad. Giuseppe Ierolli, jausten.it, sez. “romanzi canonici”, cap. 6.
[4] Riccardo Reim, Introduzione a Il Velo dissolto, Edizione N&C, Roma, 1993, p. 11.
[5] Camilla Caporicci, Un minuetto con Jarber, introduzione a La casa sfitta di Charles Dickens, Edizioni Jo March, Città di Castello, 2013, p. 21.