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Ljubov – La neve tra le betulle di Antonella Iuliano

Titolo: Ljubov – La neve tra le betulle

Autore: Antonella Iuliano

Editore: Genesis Publishing

Romanzo sequel del best seller “Ushanka – i ponti di leningrado”

Trama

Leningrado, 1964. Sono trascorsi due anni da quando Pasha, Yurij e Aleksandra – i protagonisti di Ushanka – I ponti di Leningrado – si sono ritrovati. Le loro vite scorrono tranquille e un nuovo equilibrio si è instaurato dopo le intricate vicende che hanno riannodato i fili del passato al presente. Tutto sembra essere stato portato alla luce, ma per Yurij – il più giovane dei fratelli Metjanov, che pare aver perso lo slancio nei confronti della vita stessa – il passato ha ancora una carta da giocare: un incontro nel luogo più impensato, il cimitero di Tichvin, dinanzi alla tomba del grande scrittore Fёdor Michajlovič Dostoevskij.

Lei è Nina, lunghi capelli castani, occhi da cerbiatta, creatura sfuggente dall’indole fiera. Un incontro che, come nel gioco del nascondino, porterà Yurij tra i longilinei fusti delle betulle innevate, a Vyrica. Ma Nina non è esattamente chi dice di essere e solo ritornando sugli stessi ponti di Leningrado, testimoni dell’assedio nazista, Yurij scoprirà un’altra vicenda, intimamente legata a quella che credeva di conoscere già.

Una seconda storia nella storia. La storia di Ljubov’, che, come il vicolo buio di una strada maestra, nessuno ha più ripercorso.

 “La neve tra le betulle era intatta, striata solo dalle ombre dei fusti argentei che svettavano verso il cielo e disegnavano sul manto un chiaroscuro alternato di bianco e grigio. Dalle fronde si levò il verso acuto di un uccello, mentre Yurij avanzava cauto, attento a non far scricchiolare troppo gli stivali sui cristalli di neve induriti.

La ragazza di Dostoevskij procedeva con il passo deciso di chi conosce alla perfezione il posto.”

RECENSIONE

Antonella Iuliano ci trasporta in punta di piedi in un mondo ovattato che ha per sfondo un manto di neve soffice e candida e sconfinati cieli grigio-azzurri. Un mondo in cui gli echi della vita giungono lontani e a sprazzi, il ritmo delle giornate è scandito da poche e basilari necessità e le emozioni crescono a passo cadenzato. Ad un tratto, come uno scampanellio argentino o un’ombra colorata, una fugace visione di felicità attraversa gli immoti silenzi.

Un piccolo mondo quello perfettamente ricostruito e circostanziato dalla Iuliano, come se fosse imprigionato in una palla di vetro, che nasconde drammatiche verità dietro al suo aspetto incantevole.

Pur nella tachigrafica descrizione di usanze e luoghi, raccontati con piena immersione e aderenza al contesto particolarissimo, una verità valida a tutte le latitudini e in tutte le culture: la ricerca dell’amore, della persona che ti fa battere il cuore diventa irrinunciabile, non importa se in ricchezza o in povertà, nei palazzi o in un’isba.

La storia dei fratelli Yurij e Pasha prosegue e conferma la saldezza del legame familiare e conclude con il suo degno completamento.

L’autrice stessa dichiara di aver voluto regalare con il seguito di Ushanka – I ponti di Leningrado il giusto finale anche a Yurij, in quello che è però anche un omaggio allo scrittore Dostoevskij, che ne costituisce ispirazione e fornisce coordinate, a partire dallo stesso titolo Ljubov- Amore.

Conosciamo personaggi nuovi, insieme a quelli che già conosciamo molto bene, in mezzo a loro distanze sterminate non solo spaziali, ma anche emotive. Ognuno reca con sé un mondo e un passato che grava sul futuro con il suo peso condizionante e la verità si disvela un po’ alla volta, come in un gioco ad incastro delle Matrioska.

I quadretti che ritraggono i bambini, i loro momenti di gioco ma anche di solitudine estrema, sono di una tenerezza e allo stesso tempo drammaticità uniche.

La puntuale registrazione di pietanze e specialità russe fa da accompagnamento nel testo: il cibo diventa forma di accudimento e genuinità nei momenti cruciali oltre che dato di tipicità culturale.

Yurij alla fine, poté mantenere la promessa fatta sul lago. Era trascorso all’incirca un anno da quando aveva incontrato la sua Ljubov’ nel cimitero di Tichvin e l’inverno che stava per terminare era stato assai diverso dai precedenti.

Una storia, venata di malinconia, travolgente nella sua potenza e nella sua purezza romantica.

Una canaglia senza speranza di Stefania De Prai Sidoretti

Titolo: Una Canaglia senza speranza

Autore: Stefania De Prai Sidoretti

Editore: Self Publishing

Genere: Historical Romance

Editor: Amori al peperoncino

Disponibile su Kindle Unlimited

Trama

Senza onore. Costretto a lasciare l’Italia per sfuggire alla prigione. Filippo, sul piroscafo diretto verso il Canada, vuole solo dimenticare il passato tra le braccia di donne consenzienti e poco impegnative. Perché allora permette a quella zitella dalla battuta pronta e dal naso importante di insinuarsi nei suoi pensieri? Per Caterina ha provato odio a prima vista. Lei lo sfida, gli tiene testa, lo spinge a desiderare di essere diverso. Migliore… Un matrimonio di convenienza, utile a entrambi. Un’attrazione irrazionale e impossibile da soffocare. Ma vecchie colpe e nuovi nemici sono in agguato. Riusciranno Pippo e Rina ad avere la meglio contro avidi approfittatori e false accuse? Tra tempeste di neve, sciamani nativi e fughe rocambolesche, venite a scoprire una storia di rinascita ambientata nel selvaggio Canada di fine Ottocento

Second Chance

Hate to Love

Slow Burn

Matrimonio Combinato

RECENSIONE

Spin-off di Un gentiluomo imperfetto. Filippo Nenci è infatti uno dei personaggi secondari, a dire la verità l’antagonista di Gabriele e Giuditta verso i quali si macchiava di grandi crimini.

Lo ritroviamo che sta emigrando verso il Canada per sfuggire alle pene che sicuramente gli verrebbero comminate se non fosse per l’intercessione dello zio monsignore che non vuole scandali o macchie sul suo nome purpureo.

Anche sulla nave che lo sta conducendo al di là del mondo, Filippo si dà per vinto e non pensa minimamente a redimersi. Incontra Rina e sono subito scintille. Nessun colpo di fulmine scatta tra loro, almeno apparentemente ma si scontrano di continuo. Lui è un libertino impenitente, lei un tipetto fumantino, fuori dal comune, tutto pepe.

La traversata è di per sé un’espiazione da girone dell’inferno, specialmente nelle stive dove è stipata in condizioni disumane la povera gente, e il trattamento come immigrato all’arrivo negli Stati Uniti una punizione adeguata per le sue malefatte. Ma noi viviamo con lui un capitolo di Storia del Nostro Paese, riviviamo la drammatica esperienza che hanno affrontato tanti nostri connazionali che sono emigrati nel Nuovo Mondo in cerca di fortuna e di lavoro o di un matrimonio combinato, per sfuggire alla miseria e alla povertà, ricevendo in cambio solo umiliazioni e discriminazioni. Assistiamo a un periodo difficile attraversato dall’Italia divisa tra ideologie politiche ancora in fase di definizione, un Monarca inefficace, una società percorsa da un diffuso malcontento. L’autrice spiega di essersi ispirata a racconti di conoscenti ed episodi che hanno avuto per protagonisti direttamente i suoi nonni e la testimonianza è ancor più sentita. Ho apprezzato tantissimo l’emozionante nota ai lettori:

Davvero quegli uomini e quelle donne buttavano il cuore al di là dell’ostacolo, in un azzardo che a noi farebbe tremare le vene. Fosse anche in parte dovuto alla disperazione o alla solitudine, però sempre coraggio rimaneva. Noi, che siamo spesso bloccati e ingessati con i nostri se e ma, dovremmo ricordarlo.

Questo primo impatto ha insegnato a Filippo a ravvedersi, ad imparare a lottare per conquistare ciò che vuole e non a prenderselo con la forza.

Ma l’inserimento in una realtà sociale come quella del Canada diventa una sorta di contrappasso per lui. Sconta su di sé l’uso della violenza più efferata e scopre di avere nell’animo un sentimento ancor più prepotente che

Una canaglia senza speranza, Filippo Nenci, in fondo una persona buona ma sicuramente non il classico eroe da romanzo, la cui riabilitazione tanto faticosamente guadagnata, noi -con un pizzico di distaccata simpatia- stiamo a guardare.

Stefania De Prai scrive i romanzi storici con disinvoltura e umanità, con una narrazione precisa e puntuale che non è mai pedante e uno stile a volte talmente realistico da risultare crudo ma sicuramente efficace e come sempre, di grande insegnamento.

Cassandra di Cinzia Giorgio

Titolo: Cassandra

Autore: Cinzia Giorgio

Editore: Newton Compton Editore 

Trama

La storia mai raccontata del mito maledetto. 

Quando il dio Apollo invia i suoi serpenti nella cesta in cui Cassandra, ancora in fasce, dorme tranquilla, è chiaro a tutti che la bambina sia destinata a una vita eccezionale. Ma persino una principessa come lei figlia del grande re Priamo, signore di Troia, dovrà piegarsi a un disegno più grande della sua singola esistenza. E così, fin dalla giovanissima età, Cassandra comincia, per volere del dio, ad avere visioni degli eventi futuri. Quello che tutti chiamano “il dono” sarà però la sua condanna a una solitudine senza scampo, alla quale Cassandra cercherà di sfuggire, scatenando una sequenza di avvenimenti fatali, che porteranno la sua Troia alla guerra narrata nei millenni a venire. E il suo dono non le sarà utile nemmeno a salvare chi ama. Nulla potrà fare per allontanare la morte, seppure prevista. In un mondo in cui la vita degli uomini è scandita dai capricci degli dèi e governata dall’ineluttabilità del fato, una donna cercherà di opporsi con coraggio a un destino capace di sconvolgere l’esistenza dei mortali. Una delle figure più tragiche e affascinanti della mitologia classica Cassandra: principessa, amante, sacerdotessa.

Hanno scritto dei libri di Cinzia Giorgio: «Un’autrice che da sempre indaga sul mondo femminile.»

RECENSIONE

Nella mitologia greca Cassandra era una delle figlie di Priamo, re di Troia e di Ecuba, sua moglie.

Abbandonata da piccola insieme al suo gemello Eleno in una cesta nel tempio del dio Apollo, riceve il dono della divinazione e diventa sua sacerdotessa.

A causa della sua grande bellezza il dio Apollo ne era estremamente geloso e pretendeva la sua devozione in via esclusiva; scoperto invece che ella lo aveva tradito, la punì sputandole in bocca, cosa che le avrebbe impedito per sempre di essere compresa o creduta, anche dalla sua stessa famiglia.

Purtroppo, nella caduta di Troia sarà anche quella che pagherà a duro prezzo la vittoria degli Achei sui Troiani: strappata dall’effige di Atena nel cui tempio si era rifugiata, viene violentata da Aiace e portata ad Agamennone. Eschilo nella tragedia Agamennone ne ha mostrato la drammatica fine per mano di Clitemnestra, la moglie di Agamennone. Non ha fatto altro che cogliere l’accenno a cui alludeva Omero nell’Odissea:

Sentii il grido doloroso della figlia di Priamo,

Cassandra: su di me Clitemnestra esperta di inganni

La uccise.”

[Odissea, Omero, libro XI]

Omero nel canto XIII dell’Iliade la immortala con uno dei suoi patronimici più poetici “la piú bella fra tutte le figlie di Priamo, Cassandra” per poi farcela ritrovare nel canto XXIV sull’alto delle mura a incitare i Troiani mentre il padre Priamo riporta in patria il corpo esanime del valoroso fratello Ettore.

“Ma Cassandra, bella come Afrodite d’ oro,

salita sulla rocca di Pergamo, vide suo padre

ritto sul carro, insieme all’ araldo banditore;

vide lui sopra i muli, composto nella bara;

ruppe allora in lamenti e lanciava il grido all’ intera città:

‘Venite a vedere Ettore, Troiani e Troiane, se mai godevate

Di lui quand’ era vivo e tornava dalla battaglia,

perchè era una grande gioia per la città e per il popolo tutto!’”

[Iliade, Omero, libro XXIV]

Con uno stile puntuale e senza fronzoli il racconto di Cassandra da parte di Cinzia Giorgio introduce subito in un’atmosfera epica tutta al femminile.

In questo caso, infatti, una figura del tutto secondaria come quella di Cassandra sulla quale abbiamo visto i poeti dell’antichità, Omero, Eschilo, Virgilio, soffermarsi il tempo di una scena, diventa predominante e conquista il centro della scena rivendicando la sua parte determinante nella ricostruzione storica della caduta di Troia.

Nell’Eneide Virgilio le aveva concesso abbastanza spazio sulla base del fatto che era colei che si oppose strenuamente all’introduzione del cavallo all’interno delle mura della cittadella fortificata dei Troiani. Ora le viene attribuita non solo una voce ma anche un cuore, una coscienza combattuta, una forza d’animo non indifferente. Da principessa bambina, ignara ancora di segreti e sentimenti malevoli, la vediamo diventare ragazza in preda ai primi turbamenti e poi sbocciare nella sua piena bellezza di donna. Una donna inquieta, resa guardinga e saggia dalle divinazioni di cui è oggetto e al contempo vittima.

All’epoca non potevo immaginare che quello che gli dei ti danno si paga a caro prezzo. Le gioie della vita non sono mai doni.

Con una straordinaria ricchezza descrittiva ci viene presentata la realtà della società greca arcaica basata su una fitta rete di legami familiari fondati sui vincoli di sangue e permeati di religione. Una religione politeista, invasiva, che investe ogni aspetto della vita quotidiana e che pecca delle stesse debolezze e vizi che affliggono gli umani. Gli Dei quindi, che interpretano e incarnano sentimenti più o meno nobili dell’essere umano, vivono in un mondo molto affascinante, governato da forti emozioni e regolato dall’avvicendarsi delle stagioni, il cui tramite con gli uomini, che in genere sono in balia dei loro capricci, diventano i riti propiziatori, cerimonie e sacrifici.

Era il tempo della discesa di Persefone, dopo la calura del periodo in cui primeggiava Elios. A Troia ci apprestavamo a festeggiare le Tesmoforie in onore di Demetra, la dea celebrata dalle donne di tutte le città greche. Demetra Thesmophoros era portatrice di tesori e di ricchezze, grande madre delle messi e simbolo della fertilità femminile. 

Ricordo da sempre Cassandra come una figura triste, capace di una forza disperata ma sfuggente e schiva. Il ritratto che ne tratteggia Cinzia Giorgio, la restituisce con piena verosimiglianza alla sua esatta grandezza, avvolta di maestosa regalità.

E sulla forza della divinità nulla è in grado di prevalere. Avevo scelto di servire tre dei per non servire nessun uomo.

La storia di Cassandra è altrettanto affascinante di quella tramandata a noi dalla tradizione classica. Se la sua figura era da corollario a una poesia eroica tutta al maschile, ora noi quel Mito lo riviviamo tutto, con una rivisitazione dai risvolti impensati: in un drammatico vortice di eventi arriva il finale che non ti aspetti.

100 Natali di Antonia Romagnoli

Dalla Prefazione

Il Natale è il periodo dell’anno che preferisco.

Dalla lettura di questo libro capirete anche quanto possa amarlo l’autrice, Antonia Romagnoli, che ha deciso di farvene innamorare perdutamente, se non lo siete già.

Il Natale è calore, casa, affetti e un pizzico di magia, ma anche attaccamento alle tradizioni e alle proprie radici. Ed è proprio questo che Antonia ha deciso di farci ritrovare andando a ricostruire la storia dei festeggiamenti natalizi, rintracciando al tempo stesso le origini della passione per quello straordinario periodo che è l’Ottocento.

Quella particolare affinità elettiva che lega a una determinata epoca storica, che nel caso di Antonia è immediatamente riconducibile a quella Regency & Victorian -inglese-, unitamente alla sua innata vocazione alla narrazione divulgativa sono gli elementi distintivi della sua figura di autrice, ma anche gli elementi trainanti di questa opera.

Una Summa di tutto quel che dovreste sapere -e non sapevate dove trovare-, sul Natale.

Un lavoro complesso e articolato, di ricerca, studio, approfondimento reso fruibile solo grazie alla sua immensa passione per il mondo e la cultura anglosassone e alla sua straordinaria capacità di entrare subito in sintonia con il lettore, arricchendolo anche suo malgrado.

Quello che ci propone Antonia è un viaggio mirabolante, ricco e interessante attraverso quella composita macchina colorata e intrisa di bontà che è il Natale. Un viaggio che passa anche e soprattutto attraverso i meravigliosi mondi che gli autori dell’Ottocento hanno saputo regalarci con i loro capolavori, ricreando al meglio la magia del Natale.

Durante una fermata allietata dai canti, intrisa di profumi invitanti e agghindata con le decorazioni in vischio e carta velina, potreste infatti scoprire che il Natale è invece soprattutto uno stato d’animo che coinvolge sentimenti universali di solidarietà e condivisione umana rintracciabili in ogni era e a ogni latitudine.

Non solo un compendio di tradizioni, usanze, costumi, che raccontano la Storia, ma un libro che fa bene al cuore e sa tenere compagnia, un libro che può riempire un vuoto e colmare una solitudine, insomma un libro un po’ speciale, come speciale è il Natale!

Romina Angelici

Descrizione

100 Natali – Sono quelli del 1800, il secolo in cui, con un poco di approssimazione, si dipanano le epoche Regency e Vittoriana. In questo lavoro, una piccola opera divulgativa, non un saggio, vi voglio accompagnare come lo Spirito dei Natali Passati a conoscere le origini di tante tradizioni perdute, di altre ancora presenti nelle nostre case, a caccia di leggende e di storie vere che hanno reso il Natale la festa che conosciamo oggi e che spesso incontriamo nei libri, nei film e che magari non comprendiamo del tutto. Ho cercato per voi immagini e ricette, per entrare ancor di più in questa realtà così distante eppure vicina.

Madame de Staël e La Storia di Pauline

Nata a Parigi nel 1766 da un banchiere svizzero Jacques Necker e la brillante Suzanne Curchod, Anne-Louise Germaine ricevette un’ottima educazione e istruzione non solo mondana, ma anche intellettuale.  All’età di 13 anni aveva già letto Montesquieu, Shakespeare e Dante frequentando il salotto letterario animato da sua madre aveva assorbito i principi liberali del filosofo Jean-Jacque Rousseau. A lui dedicò la sua prima opera: nel 1788 pubblicò le Lettere sulle opere e sul carattere di J.J. Rousseau.

A vent’anni assunse il cognome del barone svedese Magnus Staël von Holstein diventando così la Madame de Staël che è passata alla Storia.

Tutti noi, infatti, la ricordiamo sui libri di scuola indicata come il motore propulsore alla diffusione del Romanticismo in Italia, in virtù del suo cosmopolitismo e del suo sostegno allo Sturm und Drang nato in Germania.

L’incarico diplomatico del marito e il ruolo del padre direttore delle finanze di re Luigi XVI la coinvolsero molto più di quanto si aspettasse nelle vicende politiche di quegli anni prima con gli Stati Generali e poi con il tragico epilogo della Rivoluzione francese.

Gli avvenimenti che la riguardarono anche in prima persona (fu arrestata e interrogata da Robespierre e fortunatamente liberata) e l’incontro con Bonaparte la portarono a mettere le sue Considerazione sui principali avvenimenti della Rivoluzione francese per iscritto attirandosi però così da parte del Corso sospetti di cospirazione. Di questo periodo è il romanzo epistolare di matrice autobiografica, Delphine nel quale Madame de Staël dichiarava di voler lasciare la politica per riflettere sulla condizione femminile, rivolgendosi alla “Francia silenziosa” e cioè alle donne del suo tempo.

Fu difatti condannata all’esilio e iniziò a viaggiare per l’Europa, iniziando dalla Germania dove entrò nel vivo della temperie culturale romantica sollevata da Goethe e Schiller: il primo la definì una “donna straordinaria”, mentre l’altro si complimentò per la sua intelligenza ed eloquenza.

I viaggi in Italia le fornirono materia per il suo romanzo Corinne ou l’Italie la cui protagonista incarna il mito della donna indipendente, poetessa e amante dell’arte, che si innamora di un lord scozzese che invece la vorrebbe conformare all’ideale femminile del tempo, sullo sfondo di un’Italia descritta a tinte vive e vivaci. Nonostante la polemica letteraria imbastita con gli intellettuali italiani, Madame de Staël aveva rivisto il proprio giudizio sul nostro Paese superandone la concezione stereotipata di luogo delle antichità. “L’Italia è un mistero che non si penetra il primo giorno” aveva scritto nei suoi diari e Corinne ou l’Italie fu la sua dichiarazione d’amore.

Accanto a trattati filosofici e politici e ai romanzi maggiori, La Storia di Pauline è assai più modesta benché affronti ugualmente la questione femminile in modo romantico.

Le protagoniste di Madame de Staël sono infatti tutte donne di forti passioni e amori, eppure utilizzano l’arte del ragionamento e spesso vanno incontro a destini sfortunati, soccombendo alle convenzioni del tempo.

Questo è il caso di Pauline che orfana viene data giovanissima in moglie a un uomo molto più anziano e priva di protezione e riferimenti viene facilmente raggirata da un lord senza scrupoli. Il peso degli sbagli del passato rischierà di compromettere anche la serenità successivamente raggiunta e l’amore finalmente trovato.

Come se la donna portasse insita in sé già la sua condanna a un destino di sofferenza e inevitabili errori in cui incorre per inesperienza o è fatta incorrere per ingenuità. L’ineluttabilità percorre infatti le pagine di questa storia

Gli accenti della storia sono intensi e appassionati come se Madame de Staël esigesse dalle sue eroine solo emozioni forti e totalizzanti, vissute in completa solitudine e potendosi affidare solo ad altre donne. Di certo le mette al centro della storia e pretenderà per loro il riconoscimento di forza propulsiva del racconto, come poi faranno tante altre scrittrici da lì a venire.

Pauline non ha la forza ribelle di Corinne né incarna l’ideale della donna-genio ma possiede la fierezza dell’onestà morale circa le sue colpe passate che la inchiodano a un destino già segnato.

Il racconto La Storia di Pauline colpisce quindi in quanto concentrato dell’ideale romantico del sentimento dalla carica dirompente.

Non per niente Byron la definì la più grande scrittrice vivente d’Europa, “con la penna dietro le orecchie e la bocca piena d’inchiostro”, che “a volte aveva ragione e spesso torto sull’Italia e sull’Inghilterra, ma era quasi sempre veritiera nel delineare il cuore, che appartiene a una sola nazione di nessun Paese, o meglio, di tutti”.

Sinossi:

Ne “La Storia di Pauline”, Madame de Staël offre un toccante spaccato della donna del suo tempo, raccontando la tragica vicenda della giovane Pauline e l’evoluzione della sua vita emotiva tra Santo Domingo e La Havre, in Francia. Incontriamo Pauline ad appena tredici anni quando, orfana, viene data in sposa a un mercante molto abbiente che la trascurerà, spingendola in una storia clandestina con Théodore. Le manipolazioni del signor Meltin la getteranno poi nelle sue braccia, facendo leva sul suo senso di insufficienza dopo la morte accidentale del marito e dell’amante. Verrà salvata solamente dalla signora de Verseuil che, suo malgrado, le farà incontrare il suo secondo marito, il conte Édouard, da cui avrà un figlio e una vita matrimoniale solo apparentemente serafica, adombrata dal peso del suo passato e dai suoi segreti.

Si ringrazia la Casa Editrice per la copia omaggio

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La Confraternita dei leoni – L’Antefatto

Aude semper, numquam recede

Chi ha fondato la Confraternita dei Leoni e chi sono quei giovani valorosi? Chi tra loro perderà, e chi vincerà la partita più difficile? Saranno loro stessi a raccontarvi quella storia e ad accompagnarvi al ballo della duchessa di Richmond. E non è che l’inizio.

RECENSIONE

Questo è infatti solo l’antefatto, l’overture di un romanzo corale che si preannuncia articolato e avventuroso.

Possiamo vederli sfilare all’entrata al ballo della contessa di Richmond, circondati di fascino e di mistero, giovani e aitanti conti, duchi, marchesi, espressione del fior fiore della nobiltà inglese in una tregua imposta dal prestigioso invito.

Come ci insegna la Storia, la sfavillante serata, rilucente di sete, gioielli sfoggiati e medaglie lucidate, viene interrotta sul più bello dall’arrivo del dispaccio militare che avverte dell’imminente avanzata di Napoleone. Wellington riunisce i suoi in privato per approntare una strategia che incastri i francesi mangia-rane e richiama tutti per la battaglia. Un’ansia febbrile percorre la sala e anche il nostro gruppo di giovani valorosi deve smettere gli abiti da ballo, salutare le persone più care senza sapere se sarà un addio o un arrivederci.

Seguiremo le loro gesta, avremo modo di conoscere meglio i fautori della confraternita e i depositari dell’ardimentoso giuramento di mutua solidarietà scegliendo il nostro personale paladino.

Articolati in una programmazione seriale, i romanzi che si irradieranno dal presente antefatto, rispondono a un progetto ambizioso. Intorno a loro spira un’aura di sapore antico e cavalleresco, che rimanda al poema epico bretone, rivisitato in epoca Regency. 

Una bella sfida che ci prepariamo a raccogliere.

Primo volume

Il Duca delle Ombre

Un gentiluomo imperfetto

Stefania De Prai Sidoretti

 Trama

1897 Gabriele è un affascinante ufficiale reduce dalla battaglia di Adua, deciso a godersi la vita e le belle donne. Giuditta si traveste da uomo per realizzare foto artistiche, lotta per i diritti femministi e per la giustizia. Uno scatto rubato, un incontro rocambolesco, due cuori che si riconoscono. Ma lei è ebrea. I pregiudizi e le violenze riusciranno ad avere la meglio? O il sentimento di Lele e Giudi sarà più forte del mondo che li vuole separati? Tra tensioni sociali, attentati al re e duelli, un amore puro e contrastato sullo sfondo della Roma di fine Ottocento.

Il romanzo di Stefania De Prai Sidoretti è uno storico che non rinuncia a essere romantico e divertente.

L’apertura, dall’impatto molto teatrale, è accompagnata dalla famosa esclamazione vecchia quanto il mondo, “Cielo, mio marito!”, scopre il nobile Gabriele nel letto della sua amante e lo costringe alla fuga.

Un simile incipit poteva solo immetterci in una serie di avventure movimentate per le vie della Roma umbertina di cui l’autrice dimostra una formidabile conoscenza e capacità descrittiva.

La sua scrittura si rivela ancora una volta ammiccante e fluida come una rivista da Belle Epoque dagli esiti però, meno leggeri.

Gabriele, detto Lele, è un nobile decaduto, orfano dei genitori e allevato dal nonno, che sbarca il lunario spacciandosi per giornalista e accaparrandosi servizi e sopralluoghi degli eventi di maggiore interesse.

Ma Gabriele non corre dietro solo alle notizie ma anche alle sottane ogni volta che ne incontra una.

Quale non è il suo sconcerto quando invece si imbatte in una fanciulla particolarmente affascinante, armata di macchina fotografica, che si nasconde dietro a un paio di calzoni da ragazzaccio.

Giudì è ebrea e appartiene a un’altra classe sociale, perciò i due incontrano subito delle difficoltà per far accettare il loro fidanzamento.

E Lele si trovò a fissare gli occhi sbarrati del giovanotto. Erano grandi, belli, dalle ciglia lunghe, di un color ambra che ricordava quello di un gatto. Le sopracciglia color Tiziano erano eleganti come ali di gabbiano.

Sullo sfondo di quella che potrebbe essere una comunissima storia d’amore tra due giovani ragazzi si profilano i moti popolari di fine Ottocento, l’attentato al re e i successivi arresti, l’irruzione nella sede dell’Avanti e  la soppressione del Ghetto.

Molto interessante lo spaccato di storia italiana di fine Ottocento e in particolare di storia di Roma, da poco diventata capitale, del malcontento sociale, dell’eterna crisi in cui il malgoverno mette contro i ceti più deboli, una Roma che si sta espandendo e secondo una precisa e ricca topografia contempla palazzi storici ed edifici moderni, per assolvere alle sue crescenti funzioni politiche.

La riflessione amara su questa pagina di storia si accompagna alla vicenda di due ragazzi come tanti che vorrebbero solo immaginare il loro futuro ma che devono fare i conti con accadimenti più grandi di loro. Purtroppo, sappiamo che d’ora in poi gli eventi potranno solo degenerare.

Nel romanzo di Stefania De Prai Sidoretti tutto trasuda storia e il suo amore per Roma; non è un caso che la sua vena creativa sia stata stuzzicata da alcune foto d’epoca. Gli stessi protagonisti, che si mischiano a personaggi realmente esistiti come D’Annunzio, Felice Cavallotti, sono tratti da figure storiche vere.

Nell’appendice dedicata ai lettori ripercorre le sue fonti storiografiche di ispirazione e il risultato è encomiabile.  

I Romance di Stefania De Prai Sidoretti. Su Amazon in cartaceo e in E-book e Gratis su Kindle Unlimited.

A blue stocking o una calza turchina

Quando George Eliot pubblicò, nel 1859, il suo primo romanzo completo, Adam Bede, riscosse un successo tale che non mancò di suscitare un immediato interesse per la vera identità dell’autore, sia da parte dei lettori sia dei colleghi scrittori contemporanei, come Tennyson, Thackeray, Dickens.

Fu proprio Dickens a ipotizzare e a intuire che sotto quel nome maschile potesse nascondersi una “calza turchina”.

Ma a cosa si riferiva Dickens per la precisione?

La Blue Stocking Society era nata negli anni Cinquanta del Settecento per opera di Elizabeth Montagu, aristocratica molto stimata per l’arguzia del suo eloquio, ed Elisabeth Vesey, studiosa e poetessa di origine irlandese.

La Blue Stocking Society attrasse molte delle donne più colte e raffinate del tempo, non prevedeva alcuna formalità o quota di iscrizione, si riuniva in case private ed era vietato giocare a carte e parlare di politica, ma solo di arte, insieme a un buon tè e biscotti e spuntini leggeri.

Le origini del nome “Blue Stocking Society” sono molto controverse tra gli storici. Ci sono alcuni primi riferimenti alle calze blu, tra cui nella società Della Calza del XV secolo a Venezia, John Amos Comenius nel 1638 e Covenanters del XVII secolo in Scozia. Il nome della società forse derivava dalla moda europea della metà del XVIII secolo in cui le calze nere erano indossate in abiti formali e le calze blu erano abiti da giorno o più informali. Le calze blu erano anche molto alla moda per le donne a Parigi in quel momento, anche se molti storici affermano che il termine per la società iniziò quando la signora Vesey disse per la prima volta a Benjamin Stillingfleet (che non aveva abiti adatti ad una festa in società): “Vieni con le tue calze blu”. Da quella sera, il signor Stillingfleet divenne un ospite popolare ai raduni della Blue Stocking Society.

In questo dipinto trovato nella National Portrait Gallery di Richard Samuel , le principali calze blu sono ritratte come le nove muse, che nella mitologia greca erano le figlie di Zeus, ognuna presieduta da un’arte diversa.

Sulla sinistra, il dipinto presenta l’artista Angelica Kauffmann al suo cavalletto, davanti alle scrittrici Elizabeth Carter e Anna Barbauld . Al centro della composizione si trova la cantante Elizabeth Sheridan (nata Linley). A destra si trovano la scrittrice Charlotte Lennox , la storica Catharine Macaulay (con in mano la pergamena), la scrittrice e abolizionista Hannah More e la scrittrice Elizabeth Griffith (con in mano la tavoletta).

La co-fondatrice e matriarca dei Bluestockings, Elizabeth Montagu, siede al centro sul lato destro.

Non mancavano i soci di sesso maschile per esempio Samuel Johnson, scrittore, e Benjamin Stillingfleet, botanico, traduttore e saggista, David Garrick, Sir Joshua Reynolds, Edmund Burke, Horace Walpole, William Pulteney, James Beattie, Samuel Richardson e George Lyttelton.

Membri importanti includevano Fanny Burney, Anna Laetitia Barbauld, Sarah Fielding, Hester Chapone, Ada Lovelace, Margaret Cavendish-Harley, Mary Delaney, Elizabeth Carter, Lady Mary Wortley Montagu, Anna Williams, Hester Thrale e Hannah More.  Quest’ultima compose la poesia Bas Bleu  nel 1786, descrivendo il fascino della Blue Stocking Society e dedicandola ai suoi amici.

Uno degli obiettivi principali dei Bluestockings era l’arte della conversazione razionale.

Nel diciottesimo secolo, dominato dal pensiero illuminista, l’arte della conversazione raffinata, intellettuale e razionale riguardava più della semplice socialità corretta ed educata. Era considerato una forma di miglioramento morale, un modo per promuovere la “virtù civica”. I Bluestockings stavano combattendo contro le norme sociali tra i circoli aristocratici: pettegolezzi e conversazioni superficiali stereotipicamente attaccati alle donne in quel momento.

Durante questo periodo solo gli uomini frequentavano le università e le donne dovevano padroneggiare abilità come il ricamo e il lavoro a maglia: Era considerato “sconveniente” per loro conoscere il greco o il latino, quasi immodesto per loro essere autori, e certamente indiscreto ammettere il fatto. La signora Barbauld era solo l’eco del sentimento popolare quando protestò osservando che “Il modo migliore per una donna di acquisire conoscenza è dalla conversazione con un padre, un fratello o un amico”. 

I membri del circolo dovettero fronteggiare il dileggio e il biasimo di politici come Robert Walpole e di alcuni rappresentanti della scena letteraria romantica.

Di fatto l’associazione, direttamente o indirettamente, spianò la strada a molte altre donne incoraggiandole ad assecondare le loro ambizioni e a farsi considerare nei rispettivi campi intellettualmente pari agli uomini.

Fonti:

Romina Angelici, Vorrei che dal cielo piovessero rose, Flower-ed, 2019

Charlotte Browne, Il piccolo mondo di Bridgerton, Sonzogno, 2021, p. 140

https://artuk.org/discover/stories/who-were-the-bluestockings

https://en.wikipedia.org/wiki/Blue_Stockings_Society

Monte Conero – Abbadia di San Pietro

foto di Romina Angelici

Continuando dopo Sirolo, sulla strada che porta in cima al Monte Conero, salendo una discreta serie di curve piuttosto ripide, incontriamo, in un piccolo spiazzo, seminascosta da un viale alberato e ombreggiato e circondata da una folta vegetazione, l’Abbadia di San Pietro.

Da studi fatti sembra che la Badia di San Pietro venne edificata nei primi anni del 1000.

La sua costruzione è interamente in Pietra del Conero, a tre  navate e un abside infondo a quella centrale. La badia è priva di decorazioni e lascia la sua particolarità coincidere con la sua purezza e il suo bianco.

Foto: turismomarche

Nel ‘200 la chiesa fu abbellita di pilastri e capitelli nei quali furono intarsiati motivi di flora e fauna che richiamano la bellezza circostante del Monte Conero, uniti a figure spaventose tipiche del medioevo.

Dopo una serena egemonia di quasi tre secoli da parte dei monaci Benedettini, i seguaci di Gonzaga e i Camaldolesi iniziarono una lunga contesa per prendere possesso dell’abbadia e delle grotte, contesa che vide prevalere questi ultimi.

A parte quindi i diversi ordini monastici che si sono avvicendati, una cosa rimase sempre la stessa e cioè questa curiosa iscrizione affissa all’inizio del viale d’ingresso al complesso:

Foto di Romina Angelici

Oggi il vecchio monastero dei Benedettini, di fianco alla chiesa, è stato trasformato in un elegante albergo, mentre l’Abbadia di San Pietro al Conero resta a disposizione di chiunque voglia godere di  questo spettacolo custodito nel cuore del Conero.

Di fianco iniziano sentieri che si addentrano nel sottobosco, costeggiando il selvoso monte ricco dell’odorosa pianta del corbezzolo, fino a due punti panoramici che dischiudono la vista sul litorale sottostante e sull’azzurro del mare che si perde nell’orizzonte all’infinito.

 Dove?

Guarda sulla mappa

https://www.rivieradelconero.info/it/l-abbadia-di-san-pietro-al-conero/

Sophie Dawes, la tremenda!

giovane donna del periodo Regency in corpetto bianco e capelli scuri

Mi sono imbattuta per caso in questa delicata miniatura il cui ritratto mi ispirava l’impressione di una giovane fanciulla che ho poi scoperto essere tutt’altro che angelica!

Sophie Dawes nacque intorno al 1792 a St Helens, una povera comunità di pescatori sull’isola di Wight. Non ebbe un’infanzia facile. Alcuni dei suoi fratelli sono morti prima di raggiungere l’età adulta e il padre era violento. Fece la cameriera nella città di Portsmouth prima del suo viaggio a Londra dove andò  a lavorare in un -non meglio specificato-  istituto di alta classe al servizio delle esigenze di ricchi signori – tra i quali c’erano alcuni dei nobili emigrati dalla Francia in fuga dalla Rivoluzione. Fu qui che incontrò Louis Henri, duc de Condé, un membro anziano della linea reale borbonica e uno degli uomini più ricchi d’Europa. Divennero amanti e Sophie e sua madre furono installate in una parte costosa della capitale, dove lei per prima insistette per ricevere una buona istruzione che la facesse diventare una vera signora: lingue classiche e moderne, le arti e l’etichetta.

The Secrets of Sophie Dawes - Victorian Supersleuth

Quando, con la caduta di Napoleone, il Duc de Condé, poté fare ritorno in Francia e riprendere possesso delle sue proprietà, la più famosa residenza di Chantilly. Poco più tardi fu raggiunto da Sophie. Avendo il Duca la moglie separata e era ancora in vita, e oltretutto di fede cattolica, era impossibile prendere  in considerazione il divorzio, così Sophie fu  spacciata in società come sua figlia naturale. 

Per assicurarsi che Sophie  vivesse nelle immediate vicinanze del suo amante, tuttavia, organizzarono  un piano in base al quale la giovane donna avrebbe sposato qualcuno vicino al Duca come il suo aiutante di campo personale. Lo scopo fu raggiunto quando  Sophie venne data in sposa ad Adrien Victor de Feuchères, un giovane ufficiale delle Guardie Reali. Sia Sophie che il suo nuovo marito furono elevati al rango di nobili tanto che assunse il titolo di Sophia Baronne de Feuchères, nome con il quale sarà conosciuta d’ora in avanti e venne  accolta con tutti gli onori alla corte di Luigi XVIII. 

La tresca fu presto scoperta e vi fu uno scandalo che portò al bando di Sophie dalla società per un po’. Ricomparve a Chantilly tanto da esserne soprannominata la Regina quando il Duca, alla morte del padre, divenne Principe.

Sophie Dawes, Baronne de Feuchères - Wikipedia

Il Principe di Condé invecchiava e si interessava sempre più alle attività di caccia e carte da gioco, allora Sophie pensò bene di ingannare il tempo immergendosi nel turbolento e pericoloso mondo della politica francese. Divenne strettamente alleata di coloro che alla fine sarebbero arrivati ​​al potere in quella che divenne la Rivoluzione di luglio del 1830. Il più influente di questi fu il famigerato nobile Charles Maurice de Talleyrand. La loro alleanza sarebbe stata cementata da un matrimonio tra i rispettivi nipoti. 

Alzò di molto il tiro quando strinse un forte rapporto di amicizia con la famiglia di uno dei parenti nobili del principe, il futuro re dei francesi, Luigi Filippo d ‘ Orléans. 

A questo punto si verificò un episodio poco chiaro.

Sophie cercò di persuadere il principe. di Condè, che era senza erede legittimo, a lasciare in eredità la maggior parte delle sue vaste ricchezze e proprietà, non solo a lei, ma a uno dei figli di Luigi Filippo, il duca d’Aumale. Il principe, sebbene avesse accettato sulle prime, non ne era però del tutto convinto. Nel 1830 era piuttosto anziano e fragile, e si vocifera che stesse considerando di fuggire in Inghilterra e forse di cambiare la sua volontà. Louis Philippe e la sua famiglia erano, come prevedibile, più che allarmati da questa prospettiva.

Accadde che  poco dopo che il principe fu trovato morto una mattina nella sua camera, un cappio improvvisato di fazzoletti al collo attaccato alle chiusure di una finestra. Sophie fu dapprima sospettata di omicidio e poi scagionata; il caso fu chiuso con un verdetto di suicidio, ma in Francia la morte del principe fece scalpore.

Memorials and Monuments on the Isle of Wight - St Helens Village ...

 Sophie pensò bene di fare ritorno alla natia  St Helens e di finire lì i suoi giorni godendosi l’eredità del suo principe.Si assicurò che la sua famiglia fosse ben sistemata; acquistò proprietà a Londra e nel Dorset e mandò la sua anziana madre, che l’aveva sempre seguita, in un convento. Successivamente, ha donato gran parte della sua vasta ricchezza a cause caritatevoli e nel 1840 è morta improvvisamente per una malattia al cuore.

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La storia del Castello di Chantilly continua…

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