Archivio | febbraio 2018
Taxi Love: Tutte le strade portano al cuore di Simona Friio
Girare per Milano con un taxista improvvisato, sceso dagli alpeggi di Bolzano può rivelarsi un’esperienza pericolosa se si ha a che fare con una cliente accelerata e malfidata come Alice, determinata per quanto riguarda la sua carriera di manager, includente nella sua vita sentimentale.
Vie, locali e uffici di Milano scorrono secondo il ritmo frenetico cittadino in un vivace inseguimento tra cacciatore e preda. Il più grande ostacolo a innamorarsi è ormai diventato riconoscere di esserlo, presi tra mille impegni e preoccupazioni della vita quotidiana.
Alice è così proiettata nella sua carriera professionale da non accorgersi che il suo cuore ha preso a battere per un tipo imbranato, incontrato alla guida del taxi, che non conosce Milano e non ha affatto intenzione di farsela piacere, abituato com’è a vivere sugli alpeggi dell’Alto Adige e a respirare l’aria pura delle montagne. Lukas ha quasi paura di questa rampante ragazza, sempre tutta in tiro e alla moda, inseparabile dal suo cellulare.
Ma quella che abbiamo davanti al naso, in cui siamo completamente immersi fino al collo, forse non è l’unica realtà possibile: una scelta l’abbiamo sempre e per cambiare vita non c’è bisogno di un grosso bagaglio né di grandi mezzi: basta un taxi, appunto!
La scrittura di Simona Friio è brillante come sempre, mai monotona o artefatta; i colorati dialoghi movimentano con brio una storia romantica, mai banale. Perché l’amore ci stupisce sempre:
È come la coperta che d’inverno ti scalda. È quel tè caldo in una giornata triste e fredda. È la coccola che non ti aspetti, ma che hai sempre desiderato. È anche un fiume in piena che ti travolge, che ti porta dove vuole lui, che ti spinge fino a farti toccare l’abisso… È il vulcano che erutta lava incandescente, quello che non ti dà scampo, che ti impedisce di fuggire, che ti pietrifica nello stesso istante in cui lo ammiri ammaliata dalla sua potenza. È l’energia. È una scarica elettrica. È la vita.
Nel paese degli amori maledetti
Un libro che si insinua piano piano nei recessi della mente e costringe ad aprire cassetti della memoria creduti chiusi per sempre.
Lungo un sentiero già tracciato dai titoli dei romanzi di Jane Austen, partendo dalle pagine di un diario dimenticato, una donna ormai adulta ritorna molto a fatica ai tempi del suo primo amore, nato sui banchi di scuola, coltivato nelle lettere rubate alle lezioni e incorniciato da una colonna sonora anni ottanta.
Come in una situazione molto simile a quella di Anne Elliot in Persuasione, la disparità di ceto (l’estrazione sociale, il grado di istruzione) tra due ragazzi che si innamorano fa ritenere i genitori di lei in diritto di convincerla dell’inopportunità di proseguire in una relazione del genere.
Evidentemente veniva da un ambiente familiare in cui gli avevano insegnato ad accontentarsi del suo stato o meglio della sopravvivenza (qualcuno ricorda che Ala era piuttosto pigro e non brillava per voglia di lavorare). Io invece ero stata educata, da mio padre e poi dai valori borghesi del liceo classico, ad aspirare ad essere, per quanto possibile, artefice del mio destino, e quindi a tenere sempre gli occhi sul domani.
La trama potrebbe essere ovvia se non fosse dipanata e sviscerata attraverso i mille anfratti dell’incertezza, della confusione, dell’inesperienza e dell’ingenuità giovanili, messe qui dolorosamente a nudo, come ferite che non vogliono rimarginare.
Si assiste al nascere, con i suoi primi palpiti, di un sentimento importante e nuovo nel cuore della giovane Bea e al dilemma in cui è combattuta tra l’amore per il suo Jek e i sogni fatti insieme, e l’amore per i propri genitori che non vuole far soffrire. L’unica scelta possibile si rivelerà quella di rimanere insensibile alle istanze del suo cuore, finendo però così per rimanere insensibile a tutto.
È difficile raccontare di un libro che non parla di una storia, bensì di un amore e lo fa quasi prestandogli la penna, lasciandolo fluire e sgorgare da solo con il risultato travolgente di una tenerezza struggente e poetica contagiosa, che non lascia semplici spettatori.
Un amore che apparentemente non conosce lieto fine, ma si conquista l’immortalità:
Non sempre le parole ingessano e uccidono le emozioni, talvolta riescono a coglierne l’anima o anche solo l’eco e lo riflettono nello spazio, sottraendolo al tempo, in tutta la sua potenza…
I dubbi, i tentennamenti, le dichiarazioni, i divieti pesanti come macigni, stringono un laccio attorno al cuore gonfio dell’io narrante che coincide e si confonde con l’io narrato. Quella ragazzina di sedici anni che si affacciava per la prima volta sul palcoscenico della vita, nel ritrovare il diario a cui confidava la storia del suo primo, vero antico amore, ritrova se stessa e le sue origini radicate nella sua terra, nella sua casa natale, per le vie del suo borgo e dei suoi boschetti a cui il destino, inesorabile, la riconduce da esule.
Uno sfogo che diventa rimpianto e riflessione sul senso della vita e sull’irrinunciabilità dell’amore, impossibile da sostituire con altri surrogati illusori.
Un’inedita Beatrice Battaglia, conosciuta e famosa in tutt’altra veste, si dimostra poetessa dell’amore, scrittrice di elegia pura:
E dopo ci fermiamo sul bordo del fosso a parlare, o meglio a cercare qualcosa da dire, a sorriderci con gli occhi, a desiderarci, senza poterci avvicinare troppo, perché qualcuno potrebbe spuntare dagli stradelli e vederci -e qui restiamo nell’odore dell’erbe fiorite mentre il sole va giù pian piano all’orizzonte, in attesa che il desiderio tracimi e superi la prudenza e lui, dando una rapida occhiata intorno, si avvicini e mi circondi con le braccia e mi baci.
Se questo non è amore!
Nel paese degli amori maledetti
Il diario dei consigli d’amore di Jane Austen
È verità universalmente riconosciuta che Jane Austen non possa essere considerata una paladina dell’amore romantico, lo dimostrano i suoi finali e la considerazione del matrimonio come una sistemazione auspicabile per le giovani donne, che traspare dai romanzi e dalle lettere.
Essendo però un’acuta osservatrice della natura umana ella ha potuto esaminare i sentimenti e i comportamenti di uomini e donne messi in relazione tra loro. Non a caso era un’appassionata di unioni matrimoniali, proprio come Emma: le piaceva immaginare, prevedere possibili unioni e oltre a essere informata di tutte le notizie a riguardo relative al vicinato e alla cerchia del parentado, consultava anche il giornale alla ricerca degli annunci di matrimonio.
Se quindi ci ha abituato a tiepide manifestazioni d’affetto e a opportunistiche e ragionevoli considerazioni, ci ha saputo anche stupire con dirompenti dichiarazioni appassionate come quella di Mr Darcy e accorate richieste d’amore come quella del cap. Wentworth!
Forse la zia Jane non ce la racconta tutta e sotto sotto alla cenere di quella saggezza ammantata di buonsenso bruciava un cuore rovente pronto a farsi travolgere dalla passione. Ma non divaghiamo; senza alcuna pretesa di far diventare Jane Austen una guru o di trasformare le sue opere in manuali d’amore (come piace tanto fare agli amici oltre oceano) quelli che vi presentiamo sono i consigli e le opinioni di Jane Austen in materia sentimentale, tratti e desunti dalle lettere e dai suoi romanzi in modo assolutamente estemporaneo e libero, con la certezza che saprete farne buon uso.
È il regalo che abbiamo pensato per voi in occasione della prossima festa di S. Valentino, raccolti in una veste grafica assolutamente elegante e incantevole, da tenere accanto e consultare in ogni stagione della vita.
E poi del resto, un buon consiglio dalla zia, non si rifiuta mai!
Libri amori e segreti. Febbraio
Il diario dei consigli d’amore di Jane Austen #Flower-ed
Jane Austen. Donna e scrittrice.
Quanto l’esperienza dell’una ha influenzato l’altra.
Può essere un retaggio romantico quello che ci porta a voler riconoscere un po’ di Jane Austen in ognuna delle sue eroine ma credo sia inutile negare che l’esperienza autobiografica di uno scrittore passi nelle sue opere.
Il mondo culturale e letterario dell’epoca l’ha ignorata, i nipoti hanno provato a darcene l’immagine di una zia modello che scriveva per passatempo, e lei stessa non firmava i suoi romanzi nel timore che ciò potesse ledere la sua reputazione di signorina perbene. Ma sappiamo bene che li considerava come sue creature e che, a prescindere dal fatto che le venisse naturale o meno, la fonte di ispirazione per le sue storie e i suoi personaggi era proprio a portata di mano nel circondario delle sue conoscenze.
È proprio questo ciò che si tenta di dimostrare in Jane Austen.Donna e scrittrice, e cioè che la signorina di Chawton abbia trasmesso qualcosa di sé, un’esperienza, un aspetto caratteriale, nei suoi romanzi, andando a individuare gli spunti autobiografici o quanto meno, i riferimenti alla sua vita reale, agli affetti, alle vicende familiari e ai caratteri che l’hanno circondata.
Nella pochezza di notizie e materiale biografico che stuzzica la fame di conoscenza del pubblico estimatore, facile è il rischio di andare a reperire indizi e prove del tutto immaginarie, basati non su riscontri oggettivi. ma su sensazioni e affinità destati dall’emotività dell’incontro con quanto di lei è passato attraverso la parola scritta.
Allora a chi dovremmo credere: ai nipoti che ce la dipingono come una signorina di mezz’età tutta casa e chiesa, o all’immagine solare e indomita di Elizabeth Bennet e all’appassionata difesa della costanza delle donne fatta pronunciare ad Anne Elliot?
Non a uno dei romanzi in particolare, si deve l’identificazione dell’autrice con la protagonista; troppo facile sarebbe confondere Anne Elliot con una malinconica Jane Austen desiderosa di dare almeno al suo alter ego una seconda possibilità.
Jane Austen parla per bocca dell’uno o dell’altro personaggio, proprio per non svelarsi e non compromettere la sua già ardita iniziativa di scrivere, senza attirarsi gli strali dei colleghi uomini, fino ad allora detentori assoluti del monopolio della scrittura. Non a caso è proprio Anne Elliot a pronunciare la veemente difesa delle emozioni femminili.
Si fa fatica a considerare Jane Austen una bacchettona, se solo si pensa alle sue battute ironiche e a tratti velenose, lasciate cadere all’indirizzo dei suoi personaggi più vanesi, servili o indolenti. È infatti pacifico che la signorina in questione si guardava bene intorno e si teneva informata:
L’interscambio è reciproco, il flusso è ininterrotto tra due vasi comunicanti di cui si fatica a riconoscere l’originario: se le persone reali entrano nei romanzi, i personaggi dei libri entrano nella vita reale, in una serata in salotto: “Non appena formato un gruppo per giocare a whist e minacciato un tavolo per un gioco di società, ho accampato la mamma come scusa e me ne sono andata; lasciandone per il loro tavolo da gioco quanti ce n’erano da Mrs. Grant” (Jane Austen, Lettere, trad. Giuseppe Ierolli, edizioni ilmiolibro.it, Roma, 2011, L. 78 di domenica 24 gennaio 1813, p. 291).
Di certo c’è una dimensione che rimarrà per sempre sconosciuta ai nostri occhi, grazie anche ai numerosi tagli apportati dalla sorella Cassandra alle lettere, ma anche se difficilmente cambiava opinione su qualcosa, la nostra cara Jane ha voluto dire la sua su alcuni temi delicati come quello della condizione femminile, del matrimonio, del maschilismo sociale, fingendo di parlare d’altro.
Come poi riuscisse a dischiudere le porte di un universo sterminato quale quello dell’animo umano, sfiorandolo appena in superficie eppure esposto nei suoi più miseri difetti o recessi, questo è il segreto del suo talento.
La sua è stata definita un’arte di sfumature che, a distanza di duecento anni dalla morte della scrittrice, non manca di stupire e deliziare.
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