
Jane Austen e Charles Dickens sono senza dubbio due giganti della letteratura, ma come si confrontano?
Quale dei due ha contribuito di più alla letteratura, alla società, e chi ha lasciato l’eredità più grande?
Uno studio dell’Università di Cambridge li ha messi a confronto e apparentemente sembrano non avere alcun aspetto in comune se non la nazionalità. Le stesse epoche di cui sono espressione e testimoni parlano per loro:
Regency vs Victorian.
Per non entrare poi nei particolari della vita privata: non potevano essere caratterialmente più diversi per mentalità, modi di fare, psicologia, senza scomodare il genere.
Eppure il genio li ha senz’altro accomunati e baciati indelebilmente.

Gia E. M. Forster aveva azzardato un simile paragone, riconoscendo a Jane Austen l’indiscusso talento, superiore anche a Dickens, di organizzare meglio i personaggi, di procurare attraverso il loro ingresso un piacere leggero sempre nuovo a differenza di quello derivante dalla ripetizione meccanica presentata da quegli. E se nei suoi romanzi non ci sono personaggi capaci di stagliarsi soli e imponenti come alberi, in realtà il risultato è quello di “una stoffa di fine tessuto dalla quale non si può togliere nulla”.
Come poi orientarsi nella girandola di nomi e situazioni presentati da Dickens? Molto più accogliente e familiare diventa per noi l’incontro con poche e ristrette famiglie entro la cui cerchia fare nuove conoscenze.
Tutti i personaggi di Jane Austen sono disponibili ad una vita più ampia rispetto a quella che l’intreccio chiede loro di vivere; i personaggi non esauriscono mai le loro possibilità: l’autrice può applicare loro le varie etichette ma loro non ne restano imprigionati.

Ecco il passo:
Perché mai i personaggi di Jane Austen ci procurano un piacere leggero ma nuovo tutte le volte che compaiono, diversamente dal piacere meccanicamente ripetuto che ci procura un personaggio di Dickens? […] lei era una vera artista, che non metteva mai in caricatura i suoi personaggi, ecc. Ma la risposta più esatta è che i suoi personaggi, pur essendo minori, sono assai meglio organizzati di quelli di lui. Si manifestano a tutto tondo e anche se l’intreccio pretendesse da essi qualcosa di più sarebbero sempre all’altezza della situazione[…]. Tutti i personaggi di Jane Austen sono disponibili per una vita più larga, per una vita quale la vicenda dei suoi libri richiede loro raramente di vivere: ed è per questo che la vita narrata da lei ci dà tanta soddisfazione… In ogni sua opera troviamo di questi personaggi, all’apparenza tanto semplici e piatti, che mai richiedono tuttavia una seconda presentazione, ma che non esauriscono mai le loro possibilità: Henry Tilney, il signor Woodhouse, Charlotte Lucas […] L’autrice può sì applicare ai suoi personaggi le varie etichette: “Buon senso”, “Orgoglio”, “Sensibilità”, “Prevenzione”, ma di simili qualifiche essi non rimangono prigionieri.

Harold Bloom li colloca entrambi nell’Olimpo degli scrittori inglesi accanto a Shakespeare definendoli i tre autori sembrano immuni al declino della vera lettura.
La Austen è tuttavia figlia di Shakespeare: le sue eroine resistono alla storicizzazione e sono tra le immagini più rare di libertà interiore.
Come Rosalinda, Elizabeth Bennet è arguta, amabile, florida nello spirito e nel sentimento.

Pochissimi romanzieri ci hanno regalato due o tre miracoli di personalità. Bloom calcola che se Shakespeare ci ha offerto quasi duecento personaggi, la Austen nei suoi cinque romanzi più importanti, ne ha creati più di trenta.
Nessun romanziere comico è riuscito a fare di meglio. Nemmeno Dickens seppe inventare un personaggio paragonabile al magnifico signor Collins.
Considerare la Austen un’ironista non è sufficiente: fu un genio della volontà e una delle principali artefici della secolarizzazione della volontà protestante. L’aspetto saliente di quella volontà è tuttavia la direzione: verso la personalità, verso la profonda libertà dell’individuazione.
Forster E. M., Aspetti del romanzo, Il Saggiatore Editore, Milano, 1963, pp. 75-88.
Bloom Harold, “Jane Austen. 1775-1817″, in Il genio, Traduzione di Elisa Banfi, Rosangela Cantalupi, Annalisa Crea, Danielo Didero, Stefano Galli, Alessandro Vanoli, Roberta Zuppet; Rizzoli, Milano, 2002, pp. 338-345.
Angelici Romina, Jane Austen. Donna e scrittrice, Flower-ed, Roma, 2017
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