Raffaello Sanzio figlio di Giovanni Santi e Magia di Battista nasce a Urbino il 6 aprile 1483 e qui viene battezzato. Scrive il Vasari:
«l’anno 1483, in venerdì santo, alle tre di notte, da un tale Giovanni de’ Santi, pittore non meno eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno, e atto a indirizzare i figli per quella buona via, che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostra nella sua bellissima gioventù»
Urbino città ducale
La città marchigiana di Urbino era nel periodo del suo massimo splendore: alla corte di Federico da Montefeltro erano chiamati artisti di fama, che lavoravano alla realizzazione del magnifico Palazzo Ducale.
Anche il padre di Raffaello, Giovanni Santi, era artista che lavorava per la corte e aveva a bottega numerosi apprendisti, tra cui ci s’immagina anche il ragazzino.
La casa natale di Raffaello
Casa Santi è visitabile tutt’oggi, è possibile percorrerne, salendo al primo piano, i corridoi e i vari ambienti, affacciarsi sul cortile con il pozzo, dare uno sguardo alla saletta e alla cucina e fermarsi meravigliati accanto alla pietra che macinava i colori che sarebbero poi serviti sulla tavolozza del piccolo artista.
Al piano terra c’è infatti la bottega di suo padre Giovanni Santi, oggi usata per mostre temporanee.
In essa sono conservati vari oggetti appartenuti a Raffaello: copie di suoi dipinti, bozzetti per il suo monumento, omaggi di altri artisti.
Madonna di casa Santi
Nella camera da letto di Raffaello è possibile ammirare l’affresco della Madonna col Bambino che pare l’artista abbia dipinto giovanissimo insieme al padre.
Giovanni Santi non era quel pittore “non molto eccellente” che Vasari vuol far credere; la sua era una bottega molto rinomata e ben frequentata e quando egli purtroppo morì, nel 1494, lasciò Raffaello che era poco più di un bambino, a 11 anni.
Raffaello era erede e (qualche anno più avanti) padrone di una potente bottega, attivissima e influente sugli artisti della sua generazione (a conferma del successo di Giovanni Santi) e che continua per merito di Evangelista da Pian di Meleto, il collaboratore di fiducia del padre.
Palazzo Ducale di Urbino
Alcune delle opere più famose di Raffaello Sanzio sono esposte a Palazzo Ducale di Urbino.
Sicuramente si rimane incantati dinanzi a Lo sposalizio della Vergine con l’immancabile comparazione all’omonima opera del Bramante, anch’esso marchigiano e maestro di Raffaello.
Il monumento celebrativo di Raffaello si trova esattamente in cima a via Raffaello Sanzio all’interno di un piccolo giardino con vista panoramica sulla città.
Da qui il pittore sembra salutare il suo luogo natale e prendere le mosse per la sua successiva tappa formativa a Città di Castello con il Perugino.
Dopo di che, passando per la breve ma intensa esperienza quadriennale a Firenze, Roma sarà la sua destinazione definitiva.
La gloria di Raffaello
Autoritratto di Madame Vigée Le Brun
Qui, diversi anni più tardi, ebbe modo di ammirare le sue opere e innamorarsene, Madame Vigée Le Brun che inevitabilmente ne verrà influenzata nella sua opera di pittrice e ritrattista.
Nelle pagine del suo memoriale si legge:
“Salutai lo splendido mare napoletano, l’incantevole collina di Posillipo, il terribile Vesuvio, e partii per Roma: avrei rivisto per la terza volta la mia cara città, avrei ammirato ancora una volta Raffaello in tutta la sua gloria”.
Chi può resistere al fascino di Downton Abbey? Oltre ad alimentare per prima la grande passione moderna per le serie tv, Downton Abbey ne ha fatto anche la storia! Proviamo a vedere quanto c’è di vero e quanto è inventato dietro alla serie tv più famosa di tutte.
Downton Abbey ha tutte le carte in regola per affascinare e tenere incollati gli spettatori una puntata dopo l’altra avvincendoli per tutte le sue ben 6 stagioni. Del resto, Julian Fellowes è una garanzia e un marchio britannico di autenticità che convince e conquista.
Se andiamo a guardare nello specifico potremmo scoprire alcune curiosità su questa ormai famosissima serie tv e in particolare con riferimento ai suoi legami con la storia e i veri proprietari della residenza nobiliare divenuta ormai un’icona.
Downton Abbey – ambientazione
Il castello in cui sono state girate le riprese è Highclere Castle, dimora dei conti di Carnarvon, e alla biografia di lady Almina si è ispirato il personaggio della contessa, Lady Cora Crawley.
Nella finzione televisiva la residenza dei conti è stata ribattezzata Castello di Grantham e il conte di Grantham non ha che il titolo in comune con il 5^ conte di Carnarvon realmente esistito.
Non che le gesta e le vicende dei conti di Carnarvon, moglie e marito, presentino pochi aspetti romanzeschi e i loro ritratti tratteggiati nella ricostruzione di Lady Fiona Carnarvon lo dimostra.
Downton Abbey – realtà e finzione
La discrepanza più grande secondo me si ha proprio tra il personaggio del conte di Grantham e il 5^ Conte di Carnarvon che, da placido e sornione padrone di casa come lo hanno caratterizzato sullo schermo, è stato in realtà artefice (insieme a Howard Carter) di uno dei più importanti ritrovamenti archeologici finanziando gli scavi e contribuendo alla scoperta della tomba di Tutankhamon per poi morire tragicamente in seguito all’infezione per una puntura di zanzara riportata proprio nel suo amato Egitto. Rimane però traccia, peraltro trasferita sull’ultimo pretendente di Lady Mary della sua passione per i motori che lo faceva diventare un guidatore assai spericolato e collezionista di multe per superamento dei limiti di velocità (irrisori al giorno d’oggi).
La trasmissione del titolo all’erede
Se incipit del primo episodio è la notizia della morte del possibile erede di Grantham, visto che il conte ha tutte figlie femmine, la storia invece racconta che Highclere è passato regolarmente al primogenito del conte di Carnarvon senza pericolo di ingerenze esterne.
Sulla figliolanza in effetti ci sono state diverse licenze perché i due figli dei conti Lord Porchy e Lady Evelyn sono diventati tre figlie: Lady Mary, Lady Edith e Lady Sybil.
Lady Cora, padrona di casa a Downton Abbey
Per rappresentare le dubbie origini e la ricchezza di lady Almina nella finzione televisiva si è scelto di rendere Lady Cora un’ereditiera americana con il risultato in comune di aver di fatto entrambe con la loro dote sollevato le sorti di Highclere e salvato dalla rovina il loro sposo. In comune hanno anche una cosa molto importante: entrambe però hanno contratto un matrimonio d’amore e sono felicemente innamorate e sposate, credo anche ricambiate.
Nella biografia di Lady Almina, forse per rispetto alla protagonista, non è stato ritenuto degno di nota inserire il piglio e lo humour della suocera che nel suo stile di vita indipendente e arzillo ricorda lontanamente lady Violet. Va da sé che di contro il personaggio televisivo magistralmente interpretato da Maggie Smith acquisti ancora maggiore pregio ai nostri occhi!
Da pinterest, dailymail.co.uk
Il vero motore di Downton Abbey
Il personale di servizio è il vero motore di quella grande macchina che è il castello di Grantham così come di Highclere, ora come allora.
Sul fronte del personale di servizio, riguardo al quale la biografia ha dispensato molti dettagli interessanti e corrispondenti, si possono rinvenire molti punti di contatto e individuare una precisa fonte di ispirazione, almeno per quanto riguarda l’organizzazione della casa ai piani bassi. Ruoli, orari, mansioni rigidamente suddivisi, una precisa gerarchia da rispettare e un’etichetta da imparare e ripassare a memoria per tutte le occasioni, di cui la servitù è gelosa dispensatrice e custode.
Credo che tutti noi abbiamo impressa in mente l’immagine del sistema ingegnoso dei sessanta campanelli che collegano ciascuna stanza dei piani superiori al piano interrato, la disposizione delle camere per le cameriere nubili nelle soffitte, la collocazione di uno studio e di un salottino privato per la governante e il maggiordomo, gli alloggi messi a disposizione nella tenuta per le coppie sposate. Non sapremo mai se lo stuolo di camerieri addetti alle diverse funzioni domestiche fosse così simpatico come è risultato sul grande schermo, certo è che ciascuno di loro aveva una storia particolare sia nella realtà sia nella finzione e Carson è stato sicuramente un degno rappresentante del maggiordomo di Highclere.
Da pinterest. marthastewart.com
L’incubo della Grande Guerra
Purtroppo, nella vita vera lo spettro della Grande Guerra si è portata via un’intera generazione di giovani mietendo vittime anche tra le fila dei fittavoli, autisti, garzoni e sono stati loro a pagarne il prezzo più alto.
Queste considerazioni avrebbero gettato una lunga ombra di cupezza e angoscia su Downton Abbey: del primo conflitto mondiale che ha incrociato il cammino degli abitanti di Downton Abbey si è preferito cogliere l’ammirevole iniziativa di lady Almina nel destinare Highclere a ospedale per i feriti di guerra.
Se nell’economia della trama è parso più giusto distribuire impegno ed energie profuse tra la padrona di casa e le sue tre figlie (in particolare lady Sybil), nella realtà storica dobbiamo registrare la grande prova che lady Almina ha dato di sé, delle sue capacità organizzative e anche competenze infermieristiche attivandosi per praticare le cure necessarie ai feriti prima non esitando a trasformare la sua stessa residenza in ospedale, il salone grande in una corsia pieni di letti, e poi creandone uno nuovo, con utilizzo anche di tecnologie e tecniche mediche avanzate, a Londra.
Pinterest, da Instagram.com
Downton Abbey, Un mondo dorato
Prima di questi drammatici eventi, ha fatto sognare un po’ tutti la brillante vita di società dei conti di Grantham che ripropone quella vista sfilare nei nobili saloni di Highclere, sancita da ricevimenti di successo, visite di ospiti regali e legittimazioni provenienti dal gran gusto e dal savoir faire della giovane padrona di casa, unitamente alle amicizie altolocate del conte. Un mondo dorato e scintillante che riluce del fascino nobiliare di un’antica casata e delle sue millenarie tradizioni. Un mondo quello di Highclere, come di Downton Abbey, da cui è confortante essere circondati
Fonti: Fiona Carnarvon, Lady Almina, la vera storia di Downton Abbey, Vallazzi Editore, 2019.
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Romola è un romanzo storico scritto da George Eliot nel 1860, anche se il lavoro di studio e ricerca che ha portato alla sua composizione prende le mosse alcuni anni prima. Più di uno i viaggi che la scrittrice inglese compie in Italia fermandosi con particolare interesse a Firenze, insieme al suo compagno George H. Lewes.
Romola è quindi il nome dell’eroina protagonista del romanzo, ambientato nella Firenze rinascimentale.
Nella biografia di George Eliot, firmata da John Walter Cross (colui che la scrittrice sposerà dopo la morte di Lewes), è possibile trovare l’elenco dei testi consultati tra cui compaiono i libri di Sacchetti, Virgilio, Petrarca, Machiavelli, Pulci, Gibbon e tutta una serie di scrittori dai quali la Eliot trasse informazioni eterogenee.
Sì, ma, in particolare, a chi o cosa si ispirò George Eliot per trovare il nome alla sua eroina, Romola?
In realtà Romola non è il nome di una persona, ma di un luogo.
Infatti, a sud ovest di Firenze, verso la Certosa, c’è un piccolo borgo su una collina chiamato Romola e proprio questo paesino appare in una lista di nove promontori che George H. Lewes scarabocchiò per Mary Ann (vero nome della scrittrice), nel suo quaderno di viaggio, dove lei compilava i suoi preziosi appunti.
Perché George Eliot avrebbe scelto per la sua eroina il nome di un luogo, oltretutto periferico rispetto al centro della Firenze rinascimentale, designata invece il cuore del romanzo?
Forse proprio con il preciso intento di collocare Romola, la protagonista, al di fuori e all’esterno della società patriarcale di cui la Firenze del Quattrocento è fulcro ed espressione.
Romola de’ Bardi, colei che dà il titolo al romanzo, è una giovane e bellissima fiorentina. Figlia di un erudito cieco e solitario, Romola trascorre la sua vita accanto al padre – a cui fa da segretaria – senza tuttavia essere da costui apprezzata per la chiara preferenza per il figlio maschio.
Il destino di Romola si lega a quello di Tito Melema, un giovane greco sfuggito a un naufragio e che vuole farsi strada nella società fiorentina.
Gli episodi del romanzo sono intrecciati fittamente nella storia fiorentina di quegli anni: conosciamo non soltanto i personaggi di spicco, ma anche personaggi minori della città, che tuttavia calcarono le sue strade e diedero il loro contributo storico, per piccolo o grande che fosse. Oltre a Savonarola, possiamo incontrare fra le pagine di Romola – che si trasformano nelle strade della Firenze rinascimentale – Niccolò Machiavelli, Bernardo del Nero, Dolfo Spini, il pittore Piero di Cosimo, e accanto a questi sfilano altrettanti personaggi minori ma straordinariamente caratterizzati: la campagnola e ingenua Tessa, il ferrivecchi Bratti, il barbiere Nello, ma anche i Piagnoni (i seguaci di Savonarola), la cugina di Romola, Monna Brigida, e tutto il popolo di fiorentini che affolla le piazze brulicanti.
La Firenze del Quattrocento
A dire il vero, l’autrice tralascia spesso le vicende dei “suoi” personaggi per esporci nei minimi dettagli la politica fiorentina degli anni successivi alla morte del Magnifico – operazione essenziale, dal momento che Tito e Romola partecipano attivamente alla vita della città – ma la minuziosa, quasi maniacale, ricostruzione storica se da un lato trasforma questo romanzo quasi in un vero e proprio testo di storia, dall’altro lo rende un po’ pedante, uno sfoggio di erudizione. Cosa che ha decretato per lungo tempo la scarsa fortuna di Romola.
La leggenda di Romola
Nel finale Romola recupera il centro della scena e torna a essere assoluta protagonista.
Dopo aver affrontato le acque in un viaggio senza meta alla ricerca della sua vocazione, Romola sbarca in un villaggio colpito dalla peste dove si dedica a prestare soccorso ai malati, adottando gli orfani e seppellendo i morti.
George Eliot non ci dice il nome del villaggio che al lettore resta ignoto, ma il narratore, nel riferire che molte leggende sono nate dalla miracolosa presenza di Romola in quei luoghi, pare voglia suggerire implicitamente che la zona abbia preso da lei il suo nome.
Ecco così spiegata l’origine del toponimo.
Angelici Romina, Vorrei che dal cielo piovessero rose. Vita e opere di George Eliot, Flower-ed, Roma, 2019.
Pennacchia Punzi Maddalena, Il mito di Corinne, viaggio in Italia e genio femminile in Anna Jameson, Margaret Fuller e George Eliot, Carocci, Roma, 2001.
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Ospito con molto piacere e onore questo articolo di Sara Grosoli
Quando, nel 1911, Virginia Woolf assistette per la prima volta a uno spettacolo dei Ballets Russes di Diaghilev, non avrebbe mai pensato che dai propri romanzi sarebbero stati tratti dei balletti.
In Woolf Works, creazione del 2015 ideata per il Royal Ballet, il coreografo inglese Wayne McGregor ha celebrato il genio woolfiano fondendo in una sintesi altamente immaginifica la biografia della scrittrice e temi espunti dai suoi romanzi La signora Dalloway, Orlando e Le onde. Lo spettacolo si apre facendo riecheggiare la vera voce di Virginia, catturata in una vecchia registrazione radiofonica, e ha offerto alla nostra Alessandra Ferri il vertice espressivo della sua carriera di tragédienne sulle punte.
L’anno scorso il coreografo tedesco Christian Spuck ha realizzato per il balletto del teatro Bolshoi di Mosca una versione coreografica di Orlando: il corpo androgino dell’étoile Olga Smirnova (che di recente ha suscitato scalpore per la decisone di abbandonare la sua prestigiosa posizione di prima ballerina presso la più famosa compagnia di danza russa in segno di protesta contro l’aggressione militare all’Ucraina voluta dal governo della Federazione Russa) è stato riplasmato dalle differenti incarnazioni del personaggio eponimo, mentre il primo ballerino Semion Chudin in gorgiera di pizzo, guardinfante e rossa parrucca ricciuta ha interpretato il ruolo della regina Elisabetta I.
Un’opera che gioca sul confine labile fra le identità sessuali rappresenta un atto sovversivo nella Russia di Putin, dove la comunità LGBTQ viene brutalmente perseguitata. Una sfida al patriarcato che sarebbe senz’altro piaciuta alla combattiva Virginia Woolf.
Oggi voglio ricordare questa stupenda scrittrice che con i suoi romanzi ha regalato e regala a noi lettori ore infinite di gioia pura e delizioso incanto.
Pensare che la sua morte è avvenuta anzitempo e per effetto di una sovradosaggio di psicofarmaci mi rattrista molto, soprattutto perché la scrittura non è stata in grado di alleviare le pene di questa grande autrice.
Tra le sue pagine c’è sì forse un velo di tristezza e malinconia legate al passato e ai ricordi dell’infanzia, ma hanno sempre prevalso le immagini di gioioso stupore e tenera descrizione, e anche di gustosa ironia a volte, che ci hanno deliziato e hanno reso la nostra vita migliore, sicuramente.
La conosciamo tutti per aver dato la vita all’eroina più incantevole di sempre Anne Shirley ma le altre sue protagoniste non sono da meno: Emily, Pat, Jane, Valancy, Kilmeny, Marigold, la Ragazza delle storie…
Emily è forse la più autobiografica con la sua passione per la scrittura e gli infiniti mondi interiori, Kilmeny è l’elogio della grazia, affascinante la Ragazza delle Storie, con la sua voce suadente e le sue capacità affabulatorie, ormai proverbiale e balsamo toccasana la fantasia di Anne Shirley, saggia e assennata la piccola Jane di Lantern Hill, dai risvolti sorprendentemente moderni essendo una bambina divisa tra i due genitori; infine di Pat di Silver Bush colpisce il forte attaccamento alle sue radici, alla casa, alle persone, ai luoghi e alle emozioni che hanno popolato la sua infanzia.
Valancy, protagonista de Il Castello Blu sorprende per la sua natura anticonvenzionale.
Quella che ci propone Lucy Maud Montgomery è quindi una protagonista molto diversa dalla simpatica Anne o dalla incantevole Marigold, ma quando scrisse questo romanzo, verso la fine della sua carriera tra l’altro, l’autrice si proponeva di rivolgersi a un pubblico più adulto rispetto alle sue storie per ragazzi precedenti. E come Lucy Maud, avendo conseguito il successo e non avendo nulla da perdere, osa inventare un personaggio del tutto originale, sopra le righe, molto poco accattivante, così Valancy, quando scopre di essere affetta da angina pectoris, decide di non porsi più freni, di non autolimitarsi, stanca di assentire e sottomettersi a battute umilianti e cerimonie avvilenti.
La sua immaginazione disegna per Valancy un castello avvolto nella luce dello zaffiro, dove tutto emana bellezza e l’amore, di cui a Deerwood non c’è traccia, regna sovrano!
foto di Romina Angelici
Un discorso a parte merita il romanzo intitolato Un’intricata matassa, una saga familiare condita di ironia nostalgica.
Siamo solo agli inizi e attorno al capezzale della terribile e temibile zia Becky si sono riuniti tutti i componenti dei clan dei Dark e dei Penhallow. Bastano pochi tocchi essenziali a descriverceli con le loro idiosincrasie e le loro storie precedenti.
Ma zia Becky possiede un oggetto che fa gola a tutti ed è questo il pretesto e il motore del libro.
La brocca si è fatta attendere a lungo; nel frattempo abbiamo cercato di districare la matassa di nomi, relazioni, unioni, matrimoni, esistenti tra gli appartenenti ai due clan con un po’ di impegno e molto divertimento, grazie alle frecciate ironiche dispensate da Lucy Maud Montgomery.
Come spesso accade, dietro all’ironia c’è una profonda malinconia per il tempo andato, le occasioni perse, l’amore sprecato….
Eccoci di nuovo al punto. Amore che andava sprecato tutt’intorno a te, mentre tu morivi per il desiderio di riceverne soltanto un po’.
Considerato il più autobiografico delle opere di Montgomery, scritto quando aveva ben 57 anni, può essere considerato il suo testamento o il suo bilancio?
Gli errori e il dolore sono inevitabili. Meglio che vengano da scelte nostre che non da imposizioni altrui.
Risuona l’eco della prosa argentina di Georgette Heyer nelle pagine di Sylvia Thorpe, una delle autrici che più si avvicinano al grande modello.
Purtroppo, introvabile questo delizioso romanzo che ricalca le atmosfere, le battute spiritose, l’ironia, i dettagli e i caratteri abbozzati in modo efficace dalla Maestra del Regency.
Scegliersi una compita signorina perbene con cui perpetuare la stirpe può rivelarsi una faccenda complicata se la signorina in questione è solo apparentemente mansueta e obbediente. Sarah Lorymer non vuole il matrimonio a tutti i costi anche se sa che è suo dovere aiutare la famiglia in difficoltà finanziarie e soprattutto è segretamente innamorata di Lord Chayle.
Forse proprio a causa del suo coinvolgimento sentimentale nella faccenda, Sarah non vuole conquistare l’amore del suo sposo sacrificando la sua dignità.
Lord Chayle, dal canto suo non pensava che la prescelta avrebbe movimentato così il periodo del corteggiamento e del fidanzamento dove non c’è alcunché di scontato.
Il pizzico di giallo di cui si è colorato il romanzo aggiunge un tocco delizioso a un esordio già promettente. Ecco quindi che l’omaggio a Georgette Heyer, autrice di romanzi Regency e gialli, è completo. La situazione insolita, gli sviluppi imprevisti, favoriscono la maggiore conoscenza tra i due protagonisti con esiti sorprendenti per entrambi.
L’usignolo d’argento sarà al centro di una mini spy story!
Devo ringraziare l’amica che me lo ha regalato!
Sinossi:
Quando Lord Justin Chayle propone a Sarah Lorymer di diventare sua moglie, la prima a restarne sorpresa è proprio lei. Si tratta di un partito eccellente e nessuno nella sua famiglia aveva mai pensato che lei potesse arrivare a qualcosa di più di un rispettabile matrimonio.
Perché Justin Chayle le ha fatto quella proposta? Forse, come dice la madre di Sarah, perché desidera una moglie tranquilla, sottomessa, che non faccia troppe domande?
Anche se già profondamente innamorata di lui, Sarah è pronta a mostrarsi dolce e remissiva, ma il comportamento di Justin risveglia in lei una tale collera da farle dimenticare l’atteggiamento di passiva adorazione che in un primo tempo ha tenuto nei suoi confronti. Il carattere di Sarah trascina ben presto entrambi in una strana avventura fra personaggi ancor più strani, ed è così, durante lo svolgersi di questi curiosi avvenimenti, che Justin, per la prima volta, comincia a conoscere la donna he dovrebbe diventare sua moglie…
Biografia (wikipedia)
Sylvia Thorpe era lo pseudonimo usato da June Sylvia Thimblethorpe (nata il 2 aprile 1926), una scrittrice britannica di romanzi rosa dal 1950 al 1983.
È stata la terza presidente eletta (1965–1967) dell’Associazione dei romanzieri romantici ed è stata nominata membro d’onore a vita.
June Sylvia Thimblethorpe è nata nel 1926 a Londra. Ha studiato lì in una scuola a Brondesbury, alla Kilburn High School for Girls, alla Slade School of Fine Arts e all’University College. Ha lavorato come segretaria dal 1949 al 1952 e successivamente ha lavorato come insegnante di scuola.
Come Sylvia Thorpe, ha scritto oltre 25 romanzi rosa storici dal 1950 al 1983. Il suo romanzo “The Scapegrace” (1971) ha vinto l’Elizabeth Goudge Historical Award. È stata la terza presidente eletta (1965–1967) dell’Associazione dei romanzieri romantici ed è stata nominata membro d’onore a vita dell’organizzazione.
Thorpe è ora un membro fiduciario per il Goodrich Village Hall Trust. Goodrich è un villaggio, nel sud dell’Herefordshire, molto vicino al Gloucestershire e alla Foresta di Dean, situato vicino al fiume Wye ed è famoso per il suo antico castello normanno e medievale in arenaria rossa.
“Cassandra, ti ricordi di quando eravamo piccole? Tu eri bravissima a ricamare e a disegnare. E poi eri sempre a tuo agio in quegli scomodi vestiti da dama che ci facevano mettere ai balli. Io ero negata in tutto. Ero la disperazione di nostra madre. Ma quando papà mi diede le chiavi della sua biblioteca il mio cuore si riempì di gioia. In mezzo a tutti quei libri! Non vedevo l’ora di leggerli tutti! In essi finalmente trovai la libertà. Con loro potevo essere in ogni luogo e in ogni tempo.” Jane Austen, ormai prossima alla morte a soli 42 anni, ripercorre la propria giovinezza scrivendo una lunga lettera alla sorella Cassandra. Ricorda la sua infanzia di bambina cresciuta in mezzo ai libri, poco incline alle maniere consoni alle dame dell’epoca, ma incredibilmente dotata come narratrice. La scrittura e i libri sono tutta la sua vita, pari forse solo all’amore per il giovane Tom Lefroy.
Una versione inedita ispirata alla biografia di Jane Austen quella che la vede ritratta a fumetti in alcuni dei momenti salienti della sua storia personali, quando forse si è deciso il suo destino. Version e insolita, liberamente fantasiosa, proietta un’immagine romantica che abbiamo di lei in riferimento a quel primo amore che amiamo pensare l’abbia segnata per sempre. Ma lei deve far eii conti con l’altro suo grande Amore: la Scrittura. A cui non avrebbe mai rinunciato.
La postfazione di Mara Barbuni, studiosa e fondatrice Jasit, ripercorre le tappe della vita diventando un mini compendio delle opere e delle tematiche, esauriente e d efficace nel ritrarre i nuclei fondamentali a cui il nome di Jane Austen è indissolubilmente legato.
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Oggi volevo parlarvi di questo libro che è una ristampa di Romance d’autore di una raccolta pubblicata nel lontano 1923 da Rebecca Moore e dal titolo molto significativo.
L’autrice è Rebecca Deming Moore che nacque nel 1877 e fu una scrittrice e saggista statunitense. L’edizione originale era intitolata “When they were girls” e raccoglie i ritratti di 24 donne più o meno famose tra cui alcuni nomi a noi cari Louisa Alcott, Harriet Beecher Stowe, Frances Hodgson Burnett e altre meno note ma non meno importanti.
Di Louisa May Alcott ho ritrovato tratteggiata la solita figura della scrittrice per ragazzi . L’accento è posto sul suo amore per i libri e la vita all’aria aperta ma anche sull’insegnamento ad apprezzare le gioie semplici.
Mi ha molto colpito la storia di Alice Cunningham Fletcher, la ragazza che fece amicizia con i nativi americani. Nata a Cuba nel 1838 era convinta che i cd. Pellerossa avessero scoperto il segreto di come vivere felici e volle andare a vedere di persona e stando con loro in che cosa consisteva. Lasciò quindi le comodità a cui era abituata per andare a vivere in una tenda ricoperta di pelli di bufalo e poté sperimentare che gli indiani sì divertivano e si interessavano a tutto ciò che c’era intorno a loro. Sì fece promotrice presso il Congresso di leggi di tutela degli indiani e degli studi su questo popolo.
Come doveva essere stata coraggiosa per avventurarsi da sola tra loro, considerati quei tempi!
Maria Mitchell nasce nel 1818 in una semplice famiglia di quacqueri sull’isola di Nantucket ma il suo nome brilla tra le stelle di cui era appassionata e si divertiva a osservare e studiare dal telescopio del padre. Scoprì una cometa nuova e ricevette una medaglia d’oro dall’ università di Harvard; fu la prima donna ad essere ammessa a una società scientifica, l’accademia delle arti e delle scienze e fu chiamata a insegnare astronomia al Vassar College poco dopo la sua apertura.
Alcune di loro si sono distinte per meriti davvero curiosi: Elizabeth Cady Stanton era infatti la Mary Woolstonecraft americana, Ellen Henrietta Richard, chimico sanitario, per aver migliorato le condizioni di vita domestiche, Frances Elizabeth Willard che dedicò la sua vita a combattere l’alcolismo, Cecilia Beaux pittrice raffinata. A lei si riferiscono le immagini
Le donne menzionate in questa raccolta sono impegnate nelle cause civili e sociali, in particolare quella dei diritti delle donne, ma anche nell’arte, per esempio nella musica, cantata e suonata.
Tra le scrittrici sono descritte:
Harriet Beecher Stowe, l’autrice della Capanna dello zoo io Tom, particolarmente impegnata nella denuncia contro lo schiavismo;
Kate Douglas Smith, poi divenuta Mrs Kate Smith, che riuscì ad incontrare in treno proprio il suo scrittore preferito e cioè Charles Dickens quando andò in America!
Frances Hodgson Burnett nata in Inghilterra ma emigrata negli Stati Uniti alla morte del padre, bambina dalla fervida immaginazione, che scriveva proprio per aiutare la famiglia!
Tutte queste donne così diverse hanno due cose in comune, e non penso alla loro cittadinanza: il loro essere ciascuna speciale a suo modo ed essere riuscite ciascuna con il loro piccolo grande contributo a rendere il mondo un posto migliore.
Pubblicato per la prima volta nel 1923, nel libro sono narrate le storie di ventiquattro donne famose che, grazie al loro talento e coraggio, hanno cambiato in meglio il mondo. Nonostante gli obblighi morali e a volte legislativi che la società imponeva alle donne, come accudire il marito e la famiglia, sono comunque riuscite a primeggiare nei loro campi, e questo non può che aumentare l’ammirazione che dobbiamo avere nei loro confronti. Da Louisa May Alcott a Frances Hodgson Burnett, da Harriet Beecher Stowe a Maud Powell, ogni biografia è un piccolo gioiello da ammirare e custodire con cura, e che ci fa riflettere su come così poche persone siano riuscite a donare così tanto al mondo.
Contiene le biografie di:
Jane Addams;
Louisa May Alcott;
Susan Brownell Anthony;
Clara Barton;
Amy Marcy Cheney Beach;
Cecilia Beaux;
Evangeline Booth;
Frances Hodgson Burnett;
Katharine Bement Davis;
Grace Hoadley Dodge;
Alice Cunningham Fletcher;
Louise Homer;
Harriet Goodhue Hosmer;
Julia Ward Howe;
Helen Keller;
Maria Mitchell;
Alice Freeman Palmer;
Maud Powell;
Ellen Henrietta Richards;
Elizabeth Cady Stanton;
Harriet Beecher Stowe;
Kate Douglas Wiggin;
Frances Elizabeth Willard;
Ella Flagg Young.
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