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Beatrix Potter e la primavera

Beatrix Potter, la persona che secondo me ha saputo interpretare al meglio il linguaggio e gli incanti della Natura e incarna l’ideale della Primavera.

Helen Beatrix Potter nasce a Londra il 28 luglio 1866, è stata un’illustratrice, scrittrice e naturalista britannica, ricordata soprattutto per i suoi libri illustrati per bambini.

Le sue opere celebrano la vita e la natura nella campagna inglese attraverso il racconto delle avventure di animali antropomorfizzati come il celebre Peter Coniglio (Il racconto di Peter ConiglioThe Tale of Peter Rabbit, 1902). Potter è una delle più lette e amate scrittrici di letteratura per l’infanzia; i suoi 24 racconti sono stati tradotti in 35 lingue e hanno venduto oltre 100 milioni di copie. Avete visto il film? E’ molto corrispondente!

Parentele famos!

La piccola Beatrix trascorre l’infanzia sia per la salute cagionevole, sia per le ansie dei genitori all’ultimo piano della casa di Bolton Garden.

Quella di Beatrix era una tipica famiglia vittoriana, nella quale i figli vivevano solo occasionalmente a stretto contatto con i genitori, mentre erano le governanti a occuparsi della loro educazione e istruzione. Beatrix trascorse un’infanzia piuttosto solitaria, era delicata e spesso malata; dedicava molta parte del suo tempo al disegno e alla pittura, incoraggiata dai genitori, dotati di talento artistico

Il padre era avvocato, la madre, figlia di mercanti ma anche imparentata con Lord Ashton che la collegherebbe fino all’attuale duchessa di Cambridge. Sì avete capito bene, proprio Kate Middleton che non a caso decise di utilizzare quale tema per la festa del primo compleanno del principino George proprio Peter Rabbit!

Con la nascita del fratellino Bertram, Beatrix fu ancora più felice di raccogliere animali e disegnare di tutto. I due fratelli trascorsero l’infanzia lontano dagli altri bambini della loro età e strinsero amicizia con pochi coetanei. Fin da piccoli dimostrarono un particolare interesse per gli animali che vivevano con loro o che trovavano in natura (topi, conigli, pipistrelli, ricci, farfalle e altri insetti); li osservavano con grande attenzione, per poi disegnarli e studiarli.

Per curare l’educazione artistica della figlia, Rupert Potter assunse un’apposita insegnante, dalla quale Beatrix apprese il disegno a mano libera, la geometria, la prospettiva e la pittura di fiori ad acquerello. Beatrix disegnava di tutto: dal giardino della casa di Londra e i fabbricati agricoli di Camfield Place alle nature morte e alle illustrazioni dei libri che stava leggendo, mostrando però di prediligere fiori e animali, dipinti nei minimi dettagli.

Fondamentali furono anche le vacanze estive trascorse in Scozia.

Anche Beatrix ricevette molti rifiuti dagli editori che non volevano pubblicare i suoi disegni e le sue storie illustrate. Allora con tenacia che la contraddistinguerà per tutta la vita, decise di pubblicare da sola La storia di Poter Coniglio a proprie spese per 250 copie.

Poi l’incontro con gli editori Warne e in particolare con Norman fu la svolta. Non solo lui curò la pubblicazione delle sue storie ma tra loro nacque una vera e propria storia d’amore. Purtroppo finita tragicamente. Un mese dopo averle fatto la proposta di matrimonio, che i genitori non vedevano di buon occhio, ma lei aveva comunque deciso di accettare, Norman si ammalò e morì.

Per riprendersi dalla terribile perdita del fidanzato Beatrix si trasferì nel Lake District, che era diventata la nuova meta delle vacanze di famiglia, e acquista Hill Top Farm. Questo periodo corrisponde a una vera e propria rinascita per Beatrix che incontra nuovamente l’amore e si lega indissolubilmente al Lake District (come già altri personaggi e letterati famosi avevano fatto prima di lei) donando alla sua morte una quantità di terreni e fattorie alla Fondazione National Trust (15 fattorie per la precisione e più di 4000 acri di terreni). Qualcuno lo ha visitato? Credo sia incantevole!

Alcune curiosità su Beatrix Potter.

Sapeva disegnare talmente bene da presentare uno studio micologico che venne però presentato da un noto naturalista dei Giardini Botanici Reali di Kew Garden perché le donne non erano ammesse.

Era un’abilissima donna d’affari che sapeva ben trattare per i compensi e i diritti d’autore.

I suoi diari che vanno dal 1881 al 1897 erano criptati da un cd. Codice Potter decifrato da Leslie Linder che riuscì a risolvere il criterio attraverso un riferimento al re di Francia Luigi XVI!

Beatrix Potter disegnò manifesti anche a scopo politico contro le importazioni di merci a basso costo dalla Germania alle soglie dello scoppio della Grande Guerra.

Si risparmiò gli orrori della seconda guerra mondiale perché si spense il 22 dicembre 1943 per un brutto raffreddore.

Tutte le notizie sono tratte dalla biografia di Riccardo Mainetti edizioni Flower-ed.

Se Beatrix Potter immaginava una nidiata di conigli, Miss Charity alleva nella sua anticamera al terzo piano dove vive confinata la maggior parte della giornata, il suo Master Peter, ma anche topolini, un corvo, un’anatra. La sua istruzione è demandata a Miss Blanche che le trasmette la passione per l’acquerello che unita a una speciale sensibilità e un acuto spirito d’osservazione le permette di popolare la sua solitudine di storie intrecciate tra i suoi amici animali.

Spettatrice disincantata del mondo patinato e interessato in cui si muovono le frivole cugine si autoesclude intenzionalmente dalle loro strategie matrimoniali anche a rischio di essere etichettata come troppo originale. Da sempre è innamorata di un compagno di giochi d’infanzia, e non lo sa. Kenneth Asley fa l’attore per guadagnarsi da vivere e gode di pessima fama, ma senza alcun pregiudizio lei si accontenta di guardarlo da lontano dispensandogli saggi consigli ogniqualvolta le loro strade si incrociano casualmente o meno.

Quando scopre di poter monetizzare le sue storie illustrate per bambini con gli editori Marshall padre e figlio i suoi orizzonti si dischiudono, la cerchia di conoscenti si allarga, l’autostima cresce nella consapevolezza del proprio valore. Il rapporto con i genitori che l’avevano per tutta l’infanzia e l’adolescenza volutamente trascurata e ignorata si riequilibra: con il padre si impone con la propria importanza economica (tanto da poter offrire la somma necessaria per l’acquisto del cottage delle vacanze), quello con la petulante madre non conosce compromessi o sconti.

Personcine di Maria Messina.

Maria Messina nasce a Palermo il 14 marzo 1887 da Gaetano, ispettore scolastico, e da Gaetana Valenza Trajana, esponente di una famiglia baronale, originaria di Prizzi. I continui trasferimenti del padre costringono la famiglia a spostarsi con frequenza, prima a Messina, quindi a Mistretta, poi in Toscana, in Umbria, nella Marche e a Napoli.

Iniziata alla scrittura dal fratello Salvatore, che ne aveva intuito il talento, ottiene la notorietà con la pubblicazione di Pettini-fini (1909) e Piccoli gorghi (1911), raccolte di impronta verista che le valgono la stima di Giovanni Verga, col quale intraprende una fitta corrispondenza.

Idillio verghiano

All’età di ventidue anni, iniziò una fitta corrispondenza con Giovanni Verga, che le riservò parole di apprezzamento e gentile incoraggiamento, e tra il 1909 e il 1921, pubblicò una serie di racconti. E’ soprattutto nelle Novelle che si sente l’impronta Verghiana anche se Maria Messina non mancò di sviluppare uno stile suo personale per distinguersi dal Maestro. La loro corrispondenza è stata raccolta nel volume Un idillio letterario inedito verghiano: lettere inedite di Maria Messina a Giovanni Verga, a cura di Giovanni Garra Agosta, introduzione di Concetta Greco Lanza, Catania, Greco, 1979.

Illustre Signor Verga,

InviandoLe il mio primo libro, speravo che Ella lo leggesse, ma non osavo aspettarmene un giudizio suo. Ho cominciato con tante titubanze, e così sola, che temevo che i miei poveri villani – già studiati con tanto amore – messi nel «libro» e mandati in giro sarebbero stati mal visti, forse appena guardati, e per niente capiti come io avevo voluto rappresentarli.

Gli anni ’20 sono quelli del successo letterario, ma anche quelli del peggioramento di una grave malattia che le toglie gradualmente la possibilità di scrivere. Tornata in Toscana, muore a Pistoia nel 1944, dimenticata da tutti.

Era fuggita da Pistoia nell’inverno 1943 durante i bombardamenti per trovare riparo presso una famiglia di contadini, stremata dalla sclerosi. Prima di morire dettò all’infermiera Vittoria Tagliaferri che la accudiva I doni della vita che racconta l’esperienza di sofferenza fisica e spirituale da lei vissuta in prima persona. La nipote Annie, figlia del fratello Salvatore, unico suo parente rimasto, racconta che alla sterile disperazione dei primi anni era subentrata in lei una rassegnazione cristiana con cui cercò di affrontare l’estrema prova che la vita le aveva riservato.

Il 24 aprile 2009, grazie all’interessamento del comune, le sue spoglie mortali sono ritornate a Mistretta, considerata come una sua seconda patria. Qui le è stato intitolato un premio letterario. Oggi le sue opere, tradotte e apprezzate all’estero, sono tornate argomento di studio e di dibattito.

“La vita è bella! Essere infelice, essere misera, essere l’ultima delle creature, ma vivere, ma potere ascoltare, poter vedere! È bello, vivere senza altro scopo che lo scopo di vivere, come le rose che si schiudono nelle albe estive, come le rondini che passano nel cielo del “baglio” e forse gridano di felicità…

Parola di Leonardo Sciascia

La riscoperta di Maria Messina, avvenuta negli anni Ottanta, a quarant’anni dalla morte, si deve a Leonardo Sciascia che al momento di curare un’antologia avente a tema la migrazione, Partono i bastimenti, volle inserirvi due racconti di Maria Messina (“Nonna Lidda” e “La Merica”) promuovendone poi la riedizione per Sellerio di alcune tra le migliori prove della scrittrice. Fu lui a definirla la “Katherine Mansfield siciliana“, grazie al malinconico realismo della sua prosa impegnata a decifrare i risvolti psicologici e sociali della marginalizzata condizione femminile nelle società rurali e in quelle della piccola borghesia meridionale del proprio tempo.

Le opere

È  sempre riduttivo paragonare uno scrittore ad altri ma credo sia, anche se semplicistico, il modo migliore per dare dei riferimenti che lo possano inquadrare. Maria Messina non può essere semplicemente etichettata come una “alunna” di Verga, perché nella sua opera si possono cogliere molti altri aspetti: l’ironia di Colette, lo sperimentalismo di Virginia Woolf, l’influsso della letteratura russa che amava, il primo Pirandello verista. Il pregio della sua prosa è un’acuta analisi della psicologia femminile presentata con uno stile asciutto e tagliente, spesso con immagini plastiche e similitudini evocative. Questo vale in special modo per i romanzi: Alla deriva, Primavera senza sole, La casa nel vicolo, Un fiore che non fiorì, Le pause della vita, L’amore negato.

Ma c’è anche un’altra produzione di Maria Messina, di ispirazione chiaramente verista e che si traduce nelle Novelle e nella letteratura per l’infanzia.

Personcine

Personcine è una raccolta di racconti, pubblicata nel 1921 che presenta l’infanzia come tema chiave e costituisce uno spaccato delle realtà più umili dell’Italia rurale di inizio Novecento. Oggi possiamo goderne grazie alla Casa Editrice 13 lab di Milano.

Bambini e ragazzi vengono ritratti in scene di vita quotidiana, manifestando la tenerezza e l’innocenza della giovinezza come tesori inestimabili in grado di donare significato profondo agli episodi più semplici e genuini. La sensibilità dell’autrice dialoga in maniera non banale con la letteratura per ragazzi del Primo Dopoguerra: Maria Messina affianca i valori tradizionali del patriottismo e del rispetto dell’autorità a preziosi spaccati di ciò che la naturalezza di un bambino può insegnare alla società sua contemporanea. Altro tema ricorrente tra le righe è il punto di vista femminile nell’Italia dell’epoca e l’importanza dello sguardo profondo e comprensivo della donna di tutte le età.

Quelli immortalati nei racconti di Personcine sono ritratti d’infanzia scattati come fotografie, con la stessa nitidezza e precisione.

Sei un uomo, tu. La vita è dura, e ci vogliono le gambe buone per camminare nelle vie della vita.

Un’infanzia difficilmente serena ma sempre alle prese con difficoltà, tribolazioni, delusioni o anche disillusioni amare.

Povera piccola, venuta in città come un uccellino inebriato di sole!

Sullo sfondo spesso e volentieri la miseria e/o la guerra e un’umanità sofferente, che un narratore comprensivo sa rappresentare con le parole, sa cogliere con l’immediatezza di un’immagine efficace.

…i bambini piccoli restavano presso le madri, turbati dall’attesa che pesava su tutti i cuori.

Il suo non è il realismo spietato e morboso d’oltralpe, ma uno stile affranto e delicato, umanamente solidale con la sofferenza che è sparsa ovunque, sia nelle grandi città, sia nei paesini di provincia, persino negli occhi di un bambino.  

Mia zia Jane Austen

Mia zia Jane Austen

Caroline Austen

Anna Lefroy

Traduzione e cura di Sara Grosoli

Galaad edizioni

pag. 72

Sinossi:

La magia del ricordo ci trasporta in un piccolo villaggio inglese, nel cuore di una famiglia di cui la grande scrittrice illumina la scena, in giorni che scorrono a ritmi pacati, di naturale bellezza. Rievocata dalla memoria diretta delle nipoti Caroline e Anna, Jane Austen è una donna adorabile e arguta, incline a esilaranti facezie ma sempre benevola. Una zia che educa e intrattiene i bimbi di casa, che esercita la sua arte con assiduità e discrezione, lavorando ai suoi capolavori nella stessa stanza dove cuce per i poveri o spia il traffico di carrozze lungo la strada. Quel che va componendosi è un privato memoir, imperdibile per chi voglia conoscere gli aspetti più intimi e umani di un’icona della letteratura. “Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura” recita la frase di un suo romanzo, che si adatta perfettamente al talento di una donna il cui genio si è unito a una straordinaria, generosa umiltà.

Recensione:

Preziose e interessanti le annotazioni delle nipoti che l’hanno conosciuta di persona e i loro ricordi sono ancora più affascinanti e affettuosi, benché di stampo vittoriano.

Il loro comunque emerge come un ritratto meno ammantato di perbenismo ma autenticamente preoccupato del giusto riconoscimento.

Sebbene nascano e confluiscano nel Ricordo del nipote James Edward Austen-Leigh le testimonianze delle due nipoti rivelano quell’attenzione tutta femminile ai dettagli, quell’indugiare sull’avvenenza fisica, come a esprimere tutta la loro solidarietà di genere per la condizione sociale.

La sua calligrafia resta a testimoniare la propria eccellenza, e ogni suo biglietto o lettera era rifinito splendidamente.  A quel tempo ripiegare e sigillare le lettere era un’arte, non c’erano buste adesive che rendessero tutto più facile; le lettere di certa gente apparivano sempre slegate e sciatte, ma i suoi fogli potevano essere certi di prendere la giusta piega, e la sua ceralacca di cadere nel punto giusto.

Per il loro ereditario riserbo, ci parlano poco della sua formidabile arguzia ma a saper leggere bene tra le righe, siamo sicuri di riconoscerne i segnali evidenti.

Caroline preferisce descriverne la vita facile e piacevole, per quanto poco varia, le doti di camminatrice, la capacità di declamare, l’estraneità alle questioni politiche, l’affetto tra fratelli, il legame speciale con Cassandra.

Zia Jane era la favorita di tutti i bambini. Il suo atteggiamento con loro era così giocoso, e le sue lunghe ed elaborate storie così deliziose!, annota Anna Lefroy che ricorda come le due zie venissero considerate in casa sempre le eterne ragazze.

Ne emerge il quadro di una famiglia, gli Austen, numerosa, allegra e arguta, che avrebbe potuto benissimo essere la protagonista di uno dei romanzi della zia Jane Austen.

Il nido segreto (Mary Shelley) di Martina Tozzi

Il nido segreto

Martina Tozzi

Nua Editore

Sinossi

Le giovani Mary, Fanny e Jane trascorrono l’infanzia e la giovinezza nella casa del padre, il filosofo William Godwin. Vengono così cresciute in un ambiente insolito per la Londra di inizio 1800, ricco di stimoli culturali e di erudizione. Godwin, infatti, vedovo di Mary Wollstonecraft, una delle più importanti filosofe femministe della sua epoca, ama circondarsi di un gruppo di letterati, scienziati e pensatori, assidui frequentatori del suo salotto.

Mary è coraggiosa ed estremamente intelligente, Fanny è insicura e obbediente, Jane è sognatrice e irriverente. Le loro vite trascorrono nella quiete, nonostante le difficoltà economiche, fino a quando alla porta di casa non bussa Percy Bysshe Shelley, giovane poeta idealista e grande ammiratore delle opere di Godwin, intenzionato ad aiutare finanziariamente il suo modello, che ormai si trova sull’orlo della bancarotta. Con la sua presenza carismatica, Shelley rivoluziona l’esistenza dell’intera famiglia. Dotato di grande fascino e di una personalità ribelle, non incline a seguire nessuna regola, Shelley conquista rapidamente il cuore delle tre sorelle, occupando sempre più spazio nelle loro vite.

Stregate dalla spontaneità e dalle fragilità del ragazzo, Mary e Jane si trovano a stravolgere il loro futuro, arrivando a compiere scelte coraggiose e scandalose agli occhi dei contemporanei, mentre Fanny lotta per trovare il coraggio di essere se stessa.

Mary e Shelley, che condividono una passione smisurata per la letteratura, finiranno per essere sempre più vicini, e si sproneranno a vicenda a migliorarsi nelle loro opere, sostenendosi attraverso numerose difficoltà e tragedie.

Recensione

Martina Tozzi non racconta solo la biografia romanzata di Mary Godwin, ma la arricchisce con il racconto della vita trascorsa insieme alle sorelle: Fanny prima e Jane, compagna inseparabile, poi.

La ricostruzione dei primi anni di vita di Mary appena nata, dalla morte della madre all’infanzia trascorsa in casa del padre con Fanny, la sorellina maggiore, e poi le seconde nozze di lui, la matrigna, i nuovi fratelli, il periodo in Scozia e lo strano eritema. Tutto ricostruito al millimetro, tutto dosato anno per anno, gli anni della giovinezza di Mary, l’innamoramento con Percy Shelley in cui culmina il suo fiorire adolescenziale, sempre devota alla cara memoria della madre, fiera delle proprie idee e disposta a lottare per la propria libertà.

La conoscenza con il poeta Percy Shelley, sposato e con prole, che sarà il grande amore della sua vita, cambierà la quieta esistenza quotidiana di Mary che il padre vorrebbe morigerata e avveduta. Lo stesso Godwin, mentre negherà alla figlia di riconoscerla come tale, dopo averla nutrita degli ideali libertari condivisi con Mary Wollstonecraft, non disdegnerà di continuare ad accettare aiuto economico dal suo pupillo.

La fuga dei due innamorati è di per sé anomala perché avviene in compagnia di Mary Jane o Claire, come prende a farsi chiamare la sorellastra di Mary. Questo strano terzetto sarà indivisibile e vivrà con la spensieratezza della giovane età le prime esperienze nel mondo spietato degli adulti.

Dopo diverse traversie e le tragedie che si consumano a Londra, la coppia, insieme all’inseparabile sorella di lei, parte per l’Italia patria dell’arte e del sole. Ma qui è già noto che aspetterà Mary una serie ininterrotta di vicende drammatiche dalle quali solo la sua forza interiore sapranno risollevarla.

Ripensò alla ragazza innocente e sognatrice che si era dischiusa all’amore nel cimitero di St Pancras. Pensò alla donna che era adesso, alle ferite che avevano segnato la sua anima, alla forza che metteva ogni giorno per andare avanti. Era ovvio che fosse cambiata! La vita l’aveva trasformata. Lei e Shelley erano passati attraverso così tanto, come poteva lui pretendere che tutto restasse lo stesso? Non era lui l’autore dell’ode alla mutevolezza?

Donna di grandi idee e affetti, paladina dell’amore vero e della coerenza, cultrice dell’arte e della poesia, sommamente devota al genio di Percy Shelley.

Chi ero? Cos’ero? Da dove venivo? Qual era la mia destinazione? Queste domande mi si ripresentavano alla mente, ma ero incapace di dar loro una risposta. (Mary W. Shelley)

La lettura è stata davvero molto interessante e la narrazione così fluida e coinvolgente da permettere una completa immedesimazione nella storia.

Il libro è drammaticamente vero, arriva intenso, diretto al cuore e costituisce preziosa testimonianza di un grande e poetico amore.

L’anima incontra l’anima sulle labbra degli amanti (Percy B. Shelley)

Anne e Jane di Gill Hornby

Anne e Jane

Gill Hornby

Sinossi

Anne Sharp viene accolta da Mrs Elizabeth Austen in persona. Trentun anni, nel cuore il sogno di imparare il greco, studiare Eschilo, leggere tanti libri dai dorsi dorati, Anne è assunta a Godmersham Park con il compito di istruire la dodicenne Fanny, la figlia degli Austen. Un compito ingrato. Mrs Austen non vede di buon occhio un’istitutrice dalle «inclinazioni intellettuali», e l’atmosfera nella grande dimora non è priva di tensioni per una giovane donna che ha indossato i panni dell’istitutrice non per vocazione ma per necessità. In una casa in cui non si appartiene né alla famiglia né alla servitú, basta una parola detta con disattenzione per attirarsi le antipatie dei padroni ed essere etichettata come non abbastanza ragionevole, non abbastanza moderata, non adatta, insomma, a quel ruolo che è semplice fonte di sostentamento. E basta un passo falso per inimicarsi la cuoca e trovarsi a digiunare quasi ogni sera. Quando, però, a Godmersham arrivano gli zii di Fanny da Bath, Henry e Jane Austen, la vita di Anne nella dimora degli Austen cambia radicalmente di segno. Jane si dimostra subito una donna dall’ingegno strabiliante, con cui è piacevole conversare, discutere a lungo, intrattenersi al punto tale da scrivere opere teatrali insieme e diventare amiche. L’intelligenza di Anne, a lungo coltivata grazie alla testardaggine della sua cameriera Agnes, convinta che anche una donna abbia diritto all’istruzione, ha finalmente modo di brillare. Quella luce, tuttavia, non attira soltanto l’interesse di Jane, ma anche quello di Henry… Un interesse pericoloso a Godmersham Park.

Recensione

La storia ripercorre quindi il periodo in cui Anne Sharp fu istitutrice in casa del fratello maggiore di Jane Austen e si basa su una storia vera, tutti i personaggi sono realmente esistiti e gli avvenimenti sono tratti dall’accurato e resoconto nei dettagliatissimi diari di Fanny Austen, figlia di Edward Austen, terzo figlio del reverendo George Austen e di sua moglie, nonché fratello di Jane e padrone di Godmersham,

Ma quello che non sappiamo è chi era Anne Sharp. Qui si inserisce l’autrice Gill Hornby che ha provato a ricostruire il passato della trentenne diventata per necessità istitutrice di una ragazza di buona famiglia.

Ecco che l’esempio di Anne diventa occasione per raccontare il tipo di vita condotta da un’istitutrice, la cui intelligenza e preparazione erano motivi ulteriori per essere guardata in tralice. Il titolo originale è difatti Godmersham Park, per sottolineare l’appartenenza, precaria, dell’insegnante Anne Sharp a un luogo, alla nobile magione. Forse per ragioni editoriali nella versione italiana si è voluto porre l’accetto di più sulla presenza nel libro di Jane Austen, quando la scrittrice compare a partire dall’atto terzo della storia proseguendo nel quarto e ultimo.

Aveva bisogno soltanto di un angolino in cui raccogliersi e riflettere, in cui il suo intelletto potesse sperare di prosperare, nonostante la schiavitù imposta al suo corpo e al suo tempo.

Bisogna comunque considerare che per la storia costituisce un inestimabile valore aggiunto l’incontro con Jane Austen, la zia della ragazzina affidata alle sue cure, un incontro destinato a segnare per sempre le vite di queste due giovani donne rappresentando un duraturo legame.

Quella di Anne allora diventa anche un riflettore acceso sulla persona di Jane Austen, sul suo modo di comportarsi, di parlare, e quindi un particolare punto di vista da cui descriverla. Colpisce che Jane e il fratello Henry siano rappresentati come le due metà di uno stesso universo affascinante.

Del resto una delle sue ultime lettere, Jane la indirizza proprio alla sua cara Anne, a Doncaster, giovedì 22 maggio 1817

“La tua gentile Lettera mia carissima Anne mi ha trovata a letto, perché nonostante le mie speranze e promesse di quando ti ho scritto da allora sono stata davvero molto male. Un attacco del mio triste malanno mi ha colpita pochi giorni dopo – il più grave che abbia mai avuto – ed essendo arrivato dopo settimane di indisposizione, mi ha ridotta in uno stato pietoso. Sono rimasta confinata a letto dal 13 aprile, muovendomi solo per mettermi sul Divano. Ora, mi sto riprendendo, e nelle ultime tre settimane ho davvero recuperato le forze gradualmente anche se lentamente.

Spero che voi non abbiate avuto visite da qualche altra malattia mia cara Anne, sia tu che la tua Eliza. – Non devo tentare il piacere di scriverle di nuovo, finché la mia mano non sarà più forte, ma apprezzo l’invito a farlo. – Credimi, ho provato interesse per tutto ciò che hai scritto, anche se con tutto l’Egoismo di un’Invalida scrivo soltanto di me stessa. – Confido che la tua Carità verso quella povera Donna non manchi di avere più effetto, di quanto ne sono certa siano stati gli sforzi. Che interesse ci mettete tutti voi! e come sarei lieta di poter contribuire più dei miei migliori auguri, se fosse possibile! – Ma quanto ti dai da fare! Ovunque ci sia una Pena, ci si aspetta che tu fornisca Consolazione

Anche tu ne sono certa avresti serbato la memoria della tua amica Jane con tenero rimpianto. – Ma la provvidenza di Dio mi ha ridato la salute – e possa io essere più degna di apparire di fronte a lui quando sarò chiamata, di quanto lo sarei stata adesso! – Malata o Sana, credimi sempre la tua affezionata amica J. Austen” (trad. G. Ierolli).

Louisa May Alcott di Beatrice Masini

Louisa May Alcott

Beatrice Masini

Giulio Perrone Editore

Sinossi:

Di Louisa May Alcott si sa quel poco che le alette dei suoi romanzi ci concedono: che è l’autrice di Piccole donne e dei suoi seguiti, e che ha conosciuto in vita un successo destinato a durare come autrice di libri per ragazzi, anzi, per ragazze. Ma come è arrivata a scrivere la storia di una famiglia che assomiglia tanto alla sua? E da quale vena narrativa sgorgano le altre sue opere, decine e decine di racconti gotici “di sangue e tuono”, romanzi audaci e romanzi commerciali, qualcuno firmato, altri pubblicati anonimi o sotto pseudonimo? Ripercorrere la sua vita è viaggiare in un mondo complicato, ricco di opportunità per le giovani donne ma sempre pronto a richiamarle all’ordine, per scoprire una ragazza fuori moda che sognava di essere se stessa ed è diventata “una sorta di tata letteraria che produce pappetta morale per i piccoli”. Una ragazza forte per forza, cresciuta in una casa povera di oggetti e ricca di ideali, diventata una donna lavoratrice per pagare conti e debiti altrui. In questo la storia di Alcott assomiglia a quella di tante altre scrittrici celebri, sempre in bilico tra necessità e libertà, e qualche volta si intreccia con la loro.

Recensione

Questa biografia di Beatrice Masini si intitola: “Louisa May Alcott. Quando scrivere è necessario” e trovo che sia esattamente la cifra distintiva della scrittrice di Orchard House.

Come giustamente scrive Beatrice Masini, Spiegare una vita è impossibile. E’ tutta una folla di domande. Però la si può raccontare anche con le domande. Ci si tiene compagnia, con le vite degli altri, e ci si misura la propria.

E Louisa non è una donna facile da spiegare, la sua non è stata una vita semplice da raccontare.

E’ una volpe senz’uva, Louisa May, condannata a desiderare quello che non ha, come tutti o quasi tutti, solo perché alla fine non ha avuto i grappoli ma ha raggiunto le mele? Però le mele non le voleva.

“Sarò ricca, famosa, e felice”, si prometteva da ragazza saltando sotto la pergola. Ricca sì, famosa sì. E in tutto questo che fine ha fatto la felicità?

Di questo ritratto ho apprezzato tantissimo, oltre al dato oggettivo di essere molto interessante, anche il modo in cui è stato tratteggiato, con uno stile accattivante, diretto e disincantato, non moralista né didascalico ma ironico e aperto.

Quella che emerge dalle pagine di una vita è una Louisa simpatica e più vicina a noi, con i suoi difetti e debolezze, di donna e soprattutto di figlia, irrisolta, mai affrancata dai condizionamenti familiari, oltre che unica per i suoi pregi e il suo talento.

L’excursus finale, accostato per associazione d’idee, sulle condizioni simili che hanno accompagnato altre scrittrici si è rivelato impressionistico e coinvolgente, ripercorre una rete letteraria femminile che si è creata sull’onda dell’urgenza di donne che dovevano guadagnarsi da vivere e hanno trovato il modo di farlo attraverso il frutto della loro penna: Francis Burnett, Kate Chopin, Tillie Olsen.

Tutte donne che alla fine si ritrovano legate dallo stesso destino.

E allora Louisa May, forse non sei stata felice, Però sei stata libera.

Essere felici, diciamolo non è necessario. Essere liberi sì.

La libertà per uno scrittore non è scrivere, è farsi leggere.

Leggere questa biografia può rivelarsi allora istruttivo e persino rilassante, perché la cover è personalizzabile e regala qualche momento di coloro-terapia!

Si ringrazia la Casa Editrice per la copia ebook.

Margaret Fuller, un’americana a Roma



Sarah Margaret Fuller Ossoli (Cambridge, 23 maggio 1810 – Fire Island, 19 luglio 1850), nota come Margater Fuller, è stata una scrittrice, giornalista e patriota statunitense. L’ultimo è il cognome del conte che sposerà in Italia.

Nata in una piccola frazione nel Massachusetts, Margaret è figlia di Timothy Fuller, importante avvocato e politico locale, il quale le impartisce una rigida educazione, soprattutto improntata allo studio dei classici greci e latini. Ciò influenzerà fortemente le sue inclinazioni verso le tematiche dell’indipendenza e dell’emancipazione femminili, ma contribuirà a relegarla nel più assoluto isolamento delle compagne di scuola che, a causa della sua preparazione, la considerano una sorta di saccente e arrogante antipatica oltre a bullizzarla per l’aspetto fisico.

L’educazione di Margaret procederà in una scuola privata e, autonomamente, con le traduzioni di testi in tedesco, francese e italiano che le consentiranno di impadronirsi delle tre lingue europee.


Il latino iniziò a impararlo a sei anni, a sette leggeva regolarmente testi di Virgilio e Ovidio, ma anche l’italiano di Dante e dell’Alfieri. E poi Cervantes, Molière, Goethe, la filosofia, la storia, le lingue moderne. Il prezzo pagato per un’istruzione così serrata fu alto: fin da bambina soffrì di insonnia, di problemi alla vista, di frequenti e forti emicranie. Ma dopo un tale sforzo, quello che lei definiva il suo lato energico, maschile, colto, era cosa fatta. A 18 anni, unica studiosa tra tanti uomini, il suo valore era riconosciuto anche nella prestigiosa Harvard.

Nel 1833 il padre decide di trasferirsi in una casa di campagna nei dintorni di Groton, dove, due anni dopo, morirà colpito dal colera, lasciando i familiari senza mezzi di sostentamento. Allo scopo di aiutare la famiglia, Margaret accantona temporaneamente le ambizioni letterarie per iniziare un quadriennio (1836-1839) d’insegnamento prima a Boston e, poi, a Providence. Approdata alla Temple School, il suo cammino si incrocia con quello di Amos Bronson Alcott e quindi con la piccola Louisa, lasciata libera di assistere alle lezioni e di assorbire stralci di validi insegnamenti.

Fuller insieme a Bronson Alcott aderiranno anche alle idee del Trascendentalismo che aveva come suo teorico il poeta Ralph Waldo Emerson e, dal 1840 al 1842, lei viene chiamata a dirigere la rivista politico-letteraria lanciata dai Trascendentalisti “The Dial, A Magazine for literature, philosophy and religion” sulla quale pubblica il suo primo saggio Il grande processo: l’uomo contro gli uomini, la donna contro le donne ma scrive anche poesie, recensioni e critiche.

Nel 1839 uscì la sua traduzione delle Conversazioni di Eckermann con Goethe; il suo progetto più caro, mai completato, rimase quello di scrivere una biografia di Johann Wolfgang von Goethe.

È ricordata particolarmente per il suo libro storico La donna nel XIX secolo (1845), che analizza il posto della donna nella società dell’epoca ed è il frutto delle numerose conversazioni che tenne a Boston per cinque inverni (1839-1844), rivolgendosi alle donne e parlando di letteratura, l’istruzione, la mitologia e la filosofia. Woman in the XIX Century divenne poi il manifesto degli ideali femministi dato che conteneva sia una richiesta di uguaglianza politica che un ardente appello per la realizzazione emotiva, intellettuale e spirituale delle donne.

Nel suo libro che scandalizzò molti benpensanti ma andò subito esaurito nella prima edizione, Fuller esorta le giovani donne a cercare una maggiore indipendenza in famiglia e di procurarsela attraverso l’istruzione. Incitava le donne a non accontentarsi della dimensione domestica ma a proiettarsi verso la realizzazione personale facendo qualsiasi lavoro, anche il capitano di mare.

La donna nell’Ottocento proponeva la riforma delle leggi sulla proprietà che erano ingiuste nei confronti delle donne e un confronto diretto e aperto su temi delicati come il matrimonio e le relazioni tra uomini e donne. Tutti questi temi affrontati scandalizzarono molti ma ebbero il merito di promuovere il dibattito nazionale sulla questione spinosa dei diritti delle donne.

Il libro venne giudicato absurd, immoral, scandalous. Troppo dirompente e rivoluzionario per essere accettato. Margaret Fuller venne definita arrogante, pedante, aggressiva, sgradevole, mascolina. Edgar Allan Poe, pur ammettendone il carattere geniale, la chiamava «ill tempered old maid», qualcosa come “vecchia zitella isterica”.

Continua con la carriera letteraria come saggista e giornalista di testate importanti, come il “New York Tribune”. Il giornale, in continua competizione con il suo concorrente “New York Herald”, che ha inviato un proprio corrispondente in Europa per intervistare i celebri intellettuali dell’epoca e per seguire le idee libertarie e repubblicane, che in quegli anni scuotevano le ancestrali fondamenta politiche del vecchio continente, decide di inviare anch’esso un corrispondente in Europa e la scelta cade proprio su Margaret Fuller.

Margaret Fuller a Londra
Giunge a Londra, ove è accolta calorosamente da un folto gruppo di intellettuali e politici tra cui Giuseppe Mazzini, del quale diverrà grande amica. Glielo aveva presentato il celebre filosofo Thomas Carlyle a cui rivolgerà un’importante intervista. Nel pezzo scritto come corrispondente Margaret non si farà scrupolo di nascondere la delusione per le idee retrive e antifemministe dell’intervistato da lei un tempo apprezzato per la concezione eroica della storia.

George Sand

Convinta dagli infervorati racconti di Mazzini, dopo una breve tappa a Parigi per intervistare George Sand, raggiunge l’Italia allo scopo di testimoniare il clima di grande attesa innescato dall’elezione di Pio IX. Nelle corrispondenze che periodicamente inviava da Roma alla Tribune, per informare i suoi concittadini sull’evoluzione della situazione interna dello Stato pontificio e degli altri regni italiani, tale sottofondo si coglieva bene nelle sollecitazioni all’opinione pubblica del suo paese perché si facesse qualcosa per l’Italia: “Questa causa è nostra più di ogni altra, dovremmo dimostrare che la comprendiamo” scriveva già il 17 ott. 1847 (Un’americana a Roma, p. 15); il fallimento delle speranze riposte in Pio IX l’avrebbe spinta a richieste sempre più pressanti e concrete di aiuto morale, politico e logistico. Delusa dall’indifferenza degli Stati Uniti, sentiva crescere in compenso la sua prossimità spirituale all’Italia sulla quale riversava parole di entusiasmo.

Margaret Fuller arriva a Roma durante la settimana santa del 1847 e proprio in San Pietro incontra un nobile impoverito e ardente repubblicano, il marchese Giovanni Angelo Ossoli, di dieci anni più giovane, con il quale inizia una relazione. Si sposarono in segreto nel 1849. Rimasta incinta si ritira a Rieti dove per un periodo sospende il suo lavoro di corrispondente per poi ritornare attiva dopo aver messo a balia il bambino e facendo la spola tra Rieti e Roma.

Durante la Repubblica, mentre il marito combatte sulle mura vaticane, Margaret riceve un importante incarico da Cristina Trivulzio. Le due si conobbero forse grazie a Mary Clarke o a Giuseppe Mazzini, o forse per intercessione di un’altra buona amica comune, la marchesa Costanza Arconati Visconti. Cristina rimane davvero colpita da Margaret, tanto da chiederle (è molto probabile sia stata lei) di presiedere l’ospedale Fatebenefratelli sull’isola Tiberina. Qui Margaret incontrò una giovane inglese che aveva interrotto il suo tour europeo proprio per fermarsi a Roma, ad aiutare; era Florence Nightingale, che proprio a Roma decise di dedicare la vita all’assistenza dei feriti e dei malati; aveva 28 anni e sarebbe diventata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna.
Non si sa molto dell’incontro tra le due, ma un punto sembra certo: Fuller anticipa al Fatebenefratelli quella riorganizzazione degli ospedali militari che verrà poi messa in atto da Nightingale durante la guerra di Crimea nel 1854.

L’americana Margaret Fuller segue quindi molto da vicino le vicende risorgimentali italiane e partecipa attivamente ad esse. Curiosamente, nel film In nome del popolo sovrano del 1990, diretto da Luigi Magni, uno dei personaggi secondari è proprio Margaret Fuller. La si può vedere in due scene, come infermiera in un ospedale romano. Nella prima scena parla con il moribondo Goffredo Mameli; nella seconda ammette di aver fornito a Giuseppe Mazzini un passaporto americano per fuggire dalla città assediata.

Abbattuta la Repubblica a causa dell’intervento francese, Margaret e Giovanni ritornano a Rieti dal loro Angelino, che trovano gravemente debilitato per colpa della balia che, non ricevendo compensi da Roma a causa del blocco francese, aveva smesso di nutrirlo. Dopo un mese di intense cure il bimbo riprende vita, così i tre riparano a Perugia e ai primi di ottobre a Firenze,

Anche le vicende riguardanti la morte hanno un sapore romanzesco, purtroppo drammatico.

Finalmente i tre trovano un passaggio su un mercantile che trasporta un carico di sete e marmo al porto di New York. Il 17 maggio 1850, accompagnati dalla bambinaia (tale Celeste Paolini) s’imbarcano a Livorno sul vascello Elizabeth. Il caso vuole che nel corso della navigazione il capitano della nave muoia per il vaiolo e il comando venga assunto da un giovane e inesperto ufficiale di bordo, Mr Bangs.

Nel mezzo della notte, in vista del porto di New York, all’altezza di Fire Island, la Elizabeth s’incaglia, a causa del forte vento che ne ha aumentato la velocità ingannando il Bangs. Quasi tutti i membri dell’equipaggio, oltre alla moglie del capitano defunto, riusciranno a salvarsi aggrappati a delle travi della nave, ormai andata in pezzi dopo 12 ore di agonia. Un tentativo per salvare Angelino viene tentato dallo stewart che se lo carica a tracolla, ma i due vengono gettati a riva esanimi dai marosi. Margaret Fuller, Giovanni Ossoli e la Paolini, aggrappati all’albero di prua, vengono inghiottiti dalle onde e non saranno mai più ritrovati. L’oceano restituirà solo il cadavere del piccolo Angelo. Sono le due del pomeriggio del 19 luglio 1850. Anche il manoscritto del saggio che Margaret voleva pubblicare andrà disperso per sempre. Aveva solo 40 anni.

Vorremmo che ogni percorso fosse libero per la donna quanto lo è per l’uomo.

We would have every path laid open to Woman as freely as to Man.

Purtroppo, non ho trovato un’edizione italiana del suo libro più famoso, La donna nel XIX secolo, mentre risulta disponibile il saggio Il grande processo: l’uomo contro gli uomini, la donna contro le donne e la raccolta di lettere Un’americana a Roma.

Ben vengano altre informazioni a riguardo perché sicuramente è un personaggio da approfondire e conoscere meglio.

https://www.britannica.com/biography/Margaret-Fuller

Margaret Fuller

https://www.treccani.it/enciclopedia/margaret-fuller_(Dizionario-Biografico)/

http://margaretfuller.org/

Miss Austen di Gill Hornby

Neri Pozza Editore | Miss Austen

 

Una baldanzosa Cassandra, ormai alle soglie dei settant’anni, parte alla ricerca delle lettere inviate da sua sorella Jane alla famiglia Fowle, legata agli Austen per diversi motivi.

Il titolo avrebbe dovuto farmi pensare subito che non di una biografia seppure romanzata di Jane Austen si trattava, bensì della sua sorella maggiore, colei che del resto aveva diritto a tale appellativo.

I tentativi maldestri di recuperare quello che per Cassandra è un bottino prelevandolo da cassapanche altrui ci dicono poco in realtà su Jane Austen, o almeno inizialmente. Poi la storia entra nel vivo, o meglio, attraverso una serie continua di flash back, inizia la spola tra gli anni della giovinezza delle due sorelle Austen e il presente (1840). Il legame tra Cassandra e Jane viene mostrato nella sua indissolubilità e riservatezza e come tale assolutamente da preservare.

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La loro giovinezza non è stata delle più spensierate sia per gli eventi che l’hanno segnata sia per il continuo senso di minaccia incombente sul loro futuro: Cassandra ritorna spesso sulla fase più critica della loro vita insieme, quella delle speranze appena nate e subito deluse, delle incertezze, della precarietà e dei momenti più bui, ma ciò nonostante, le brevi incursioni che compie Jane con il suo spirito e la sua brillantezza regalano una boccata d’aria fresca al racconto. Le lettere recuperate, ricostruite dall’autrice, sono molto verosimili e sembrano proprio avere il suo stile.

Miss Austen: Amazon.it: Hornby, Gill: Libri in altre lingue

La fotografia della famiglia Austen naturalmente perde appena quella patina di perfezione che i pronipoti vittoriani le avevano voluto conferire ma la stessa Jane non avrebbe gradito simili ritratti, poco credibili. Cassandra da parte sua esce un poco dall’ombra ingombrante della sorella famosa e reclama sentimenti, emozioni, desideri repressi, una vocazione al sacrificio e al dovere a lungo repressi.

Tutto sommato, una biografia romanzata ben scritta.

 

Sinossi:

Nel marzo del 1840, Cassandra Austen decide di recarsi nel vicariato di Kintbury, nel Berkshire, in visita a Isabella Fowle figlia del reverendo Fulwar Craven Fowle e di Eliza Lloyd, amica di vecchia data di lei e di sua sorella Jane. Il viaggio in carrozza dalla sua casa di Chawton a Kintbury è scomodo e alquanto dispendioso, ma è quanto mai opportuno. Isabella Fowle si trova nella triste condizione, già nota a Cassandra, di dover abbandonare la casa in cui è vissuta fin dall’infanzia. Con la morte del vicario padre, la donna è rimasta infatti orfana di entrambi i genitori e, dal momento che non si è maritata, priva com’è di eredi maschi, dovrà lasciare il vicariato nelle mani di un certo Mr Dundas. Recare una parola di conforto in simili circostanze è, per Cassandra, doveroso. Non è, tuttavia, la sola ragione che la spinge a Kintbury. Vi è un altro, fondamentale compito che la sorella di Jane Austen deve assolvere. Un tempo, lei e Jane avevano inviato diverse missive personali a Eliza, lettere che ora possono trovarsi ancora in qualche dimenticato cassetto a Kintbury, col rischio di cadere in mani sbagliate. Cassandra è l’esecutrice letteraria della sorella, la protettrice del suo lascito. Nel tempo che le rimane, farà tutto quanto in suo potere per cercare e distruggere qualsiasi prova possa compromettere la reputazione di Jane. Quello che, tuttavia, Miss Austen non ha previsto giungendo a Kintbury, è l’ondata di nostalgia che la travolge non appena varca la soglia della canonica. La prima volta che vi ha messo piede era infatti una giovane gentildonna con indosso il suo abito più bello. Promessa sposa di Tom Fowle, fratello di Fulwar, era stata accolta dalla famiglia al completo e dall’intera servitù schierata in solenne ammirazione… Basato sulla corrispondenza privata tra Jane e Cassandra Austen, Miss Austen non soltanto rivela il rapporto di profondo affetto che ha legato la più amata delle scrittrici inglesi alla sorella maggiore, ma, attraverso lo sguardo inedito di Cassandra, getta una luce nuova sulla vita dell’autrice di Orgoglio e pregiudizio.

Sophie Dawes, la tremenda!

giovane donna del periodo Regency in corpetto bianco e capelli scuri

Mi sono imbattuta per caso in questa delicata miniatura il cui ritratto mi ispirava l’impressione di una giovane fanciulla che ho poi scoperto essere tutt’altro che angelica!

Sophie Dawes nacque intorno al 1792 a St Helens, una povera comunità di pescatori sull’isola di Wight. Non ebbe un’infanzia facile. Alcuni dei suoi fratelli sono morti prima di raggiungere l’età adulta e il padre era violento. Fece la cameriera nella città di Portsmouth prima del suo viaggio a Londra dove andò  a lavorare in un -non meglio specificato-  istituto di alta classe al servizio delle esigenze di ricchi signori – tra i quali c’erano alcuni dei nobili emigrati dalla Francia in fuga dalla Rivoluzione. Fu qui che incontrò Louis Henri, duc de Condé, un membro anziano della linea reale borbonica e uno degli uomini più ricchi d’Europa. Divennero amanti e Sophie e sua madre furono installate in una parte costosa della capitale, dove lei per prima insistette per ricevere una buona istruzione che la facesse diventare una vera signora: lingue classiche e moderne, le arti e l’etichetta.

The Secrets of Sophie Dawes - Victorian Supersleuth

Quando, con la caduta di Napoleone, il Duc de Condé, poté fare ritorno in Francia e riprendere possesso delle sue proprietà, la più famosa residenza di Chantilly. Poco più tardi fu raggiunto da Sophie. Avendo il Duca la moglie separata e era ancora in vita, e oltretutto di fede cattolica, era impossibile prendere  in considerazione il divorzio, così Sophie fu  spacciata in società come sua figlia naturale. 

Per assicurarsi che Sophie  vivesse nelle immediate vicinanze del suo amante, tuttavia, organizzarono  un piano in base al quale la giovane donna avrebbe sposato qualcuno vicino al Duca come il suo aiutante di campo personale. Lo scopo fu raggiunto quando  Sophie venne data in sposa ad Adrien Victor de Feuchères, un giovane ufficiale delle Guardie Reali. Sia Sophie che il suo nuovo marito furono elevati al rango di nobili tanto che assunse il titolo di Sophia Baronne de Feuchères, nome con il quale sarà conosciuta d’ora in avanti e venne  accolta con tutti gli onori alla corte di Luigi XVIII. 

La tresca fu presto scoperta e vi fu uno scandalo che portò al bando di Sophie dalla società per un po’. Ricomparve a Chantilly tanto da esserne soprannominata la Regina quando il Duca, alla morte del padre, divenne Principe.

Sophie Dawes, Baronne de Feuchères - Wikipedia

Il Principe di Condé invecchiava e si interessava sempre più alle attività di caccia e carte da gioco, allora Sophie pensò bene di ingannare il tempo immergendosi nel turbolento e pericoloso mondo della politica francese. Divenne strettamente alleata di coloro che alla fine sarebbero arrivati ​​al potere in quella che divenne la Rivoluzione di luglio del 1830. Il più influente di questi fu il famigerato nobile Charles Maurice de Talleyrand. La loro alleanza sarebbe stata cementata da un matrimonio tra i rispettivi nipoti. 

Alzò di molto il tiro quando strinse un forte rapporto di amicizia con la famiglia di uno dei parenti nobili del principe, il futuro re dei francesi, Luigi Filippo d ‘ Orléans. 

A questo punto si verificò un episodio poco chiaro.

Sophie cercò di persuadere il principe. di Condè, che era senza erede legittimo, a lasciare in eredità la maggior parte delle sue vaste ricchezze e proprietà, non solo a lei, ma a uno dei figli di Luigi Filippo, il duca d’Aumale. Il principe, sebbene avesse accettato sulle prime, non ne era però del tutto convinto. Nel 1830 era piuttosto anziano e fragile, e si vocifera che stesse considerando di fuggire in Inghilterra e forse di cambiare la sua volontà. Louis Philippe e la sua famiglia erano, come prevedibile, più che allarmati da questa prospettiva.

Accadde che  poco dopo che il principe fu trovato morto una mattina nella sua camera, un cappio improvvisato di fazzoletti al collo attaccato alle chiusure di una finestra. Sophie fu dapprima sospettata di omicidio e poi scagionata; il caso fu chiuso con un verdetto di suicidio, ma in Francia la morte del principe fece scalpore.

Memorials and Monuments on the Isle of Wight - St Helens Village ...

 Sophie pensò bene di fare ritorno alla natia  St Helens e di finire lì i suoi giorni godendosi l’eredità del suo principe.Si assicurò che la sua famiglia fosse ben sistemata; acquistò proprietà a Londra e nel Dorset e mandò la sua anziana madre, che l’aveva sempre seguita, in un convento. Successivamente, ha donato gran parte della sua vasta ricchezza a cause caritatevoli e nel 1840 è morta improvvisamente per una malattia al cuore.

Discover 28 Beautiful Castles in France | Grand staircase ...

La storia del Castello di Chantilly continua…

://sophiedawestrail.com/sophie-dawes-history.html

Henry James e l’Italia

Henry James e l'Italia - Edizioni di Storia e Letteratura

 

Tra gli innamorati fedeli e sovente sconcertati del Vecchio Continente, è anche Henry James, il quale tuttavia occupa una posizione particolare di “pellegrino appassionato”, come il protagonista del racconto omonimo, più di ogni altro, per usare una sua frase, egli si permeò d’Europa tanto che, facendo propria la squisita raffinatezza delle forme artistiche europee vi eserciterà una influenza che dura ancora oggi.

Si apre così il saggio di Cristina Giorcelli, dedicato a Henry James e l’Italia, che cerca di spiegare come è stato il complesso rapporto dello scrittore anglo-americano e il nostro Paese.

Egli fu un pellegrino appassionato perché ha fatto del viaggiare un’arte: non era il suo l’inconcludente errare di un animo inquieto né l’insensibile smania di affastellare impressioni, ma il modo più legittimo di conoscere, approfondire, risalire dagli oggetti conosciuti all’anima che li ha prodotti.

È vero che James si stabilì per lunghi periodi anche in Inghilterra e in Francia, ma è l’Italia quella che ricorderà con maggiore nostalgia fino alla fine dei suoi giorni e che rimarrà sempre legata all’idea di bellezza e giovinezza. Amò appassionatamente l’Italia che rappresentava per lui la bellezza, l’arte, la tradizione, tutto ciò che rende la vita splendida e piacevole e la visitò più volte, ben 14, dal 1869 al 1907, arrivando a conoscere bene alcune delle nostre città principali e il nostro patrimonio artistico che riteneva a esse indissolubilmente legato. Firenze, Roma e Venezia furono elette subito a sue preferite.

Questo studio si basa principalmente su Italian Hours, la raccolta di saggi che James dedicò espressamente all’Italia e scrisse in diversi momenti della sua vita e abbracciano un periodo che va dal 1872 al 1909. Destinati a un pubblico americano, essi illustrano fedelmente il suo modo di intendere il nostro paese: i suoi giudizi, le minuziose descrizioni di monumenti e opere d’arte, le caratterizzazioni del paesaggio, secondo la più riconosciuta tradizione del viaggiatore-scrittore, nel suo inconfondibile stile elegante e simbolico.