Archivio | dicembre 2017
La piccola libreria di Venezia: viaggiando anche a Firenze e a Parigi
Urbino città natale di Raffaello
Il Club del libro e della torta di bucce di patata a Guernsey

Si può parlare della seconda guerra mondiale e dell’occupazione tedesca con straordinaria soavità e levità? E può un romanzo epistolare contenere ed esprimere tutto ciò?
Ebbene sì, per quanto anche il solo accostamento di termini appaia incongruente, il risultato è invece una meravigliosa storia ottenuta con una tecnica patchwork il cui filo è tenuto da lei, Juliet, la narratrice-scrittrice. Perché in fondo si tratta di un libro nel libro, di una raccolta di lettere che intercorrono tra Juliet e gli abitanti dell’isola di Guernsey e tra lei e i suoi amici, cucite insieme con mano leggera e sguardo divertito.
In realtà le autrici di questa raccolta epistolare sono due, Mary Ann Shaffer & Annie Barrows, le cui voci si fondono mirabilmente in un unico stile, sulla stessa scia narrativa, in uno struggente avvicendamento, necessario da parte della nipote, per l’aggravarsi delle condizioni di salute della Shaffer.
L’idea originaria è sua: il caso volle che durante le ricerche per un altro libro che avrebbe voluto scrivere, Mary Ann rimase bloccata per una forte nebbia che impediva il volo, all’aeroporto di Guernsey dove lesse e scovò diverso e disparato materiale su quel singolare possedimento inglese nel canale della Manica. Da lì scoccò il colpo di fulmine e la storia di Guernsey e dei suoi abitanti prese il via nella fantasia creatrice di Mary Ann.

Come è possibile riuscire a scrivere degli orrori della guerra? Quello che i tedeschi hanno fatto agli altri esseri umani è qualcosa di indicibile e tremendo e anche nella piccola isola di Guernsey, che da possedimento francese, ha giurato fedeltà alla Corona, sono stati perpetrati ingiustizie e crimini inauditi.
Gli abitanti di Guernsey hanno trovato nei libri il modo per resistere e tenersi stretta la propria identità e se non fosse tragico pensare alla posta che c’era in gioco, si potrebbe sorridere delle loro irridenti trovate e dei loro ingegnosi espedienti. Un giorno inaspettatamente, mentre sta girando l’Inghilterra e la Scozia per la presentazione del libro appena uscito, Juliet, la protagonista del romanzo, riceve una lettera da un signore sconosciuto, che si presenta come membro del Club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey. L’occasione è troppo ghiotta perché Juliet non inizi la corrispondenza con lui e con gli altri membri del gruppo, fino ad allargarsi ad altri abitanti interpellati e coinvolti a vario titolo.

La storia dell’isola, le vicende personali di ciascun corrispondente, i loro peculiari caratteri, si impongono prepotentemente a Juliet che comincia ad avvertire un inspiegabile quanto irresistibile richiamo verso l’isola sentendosene parte.
“E non appena siamo giunti in vista dell’isola ho lasciato perdere l’idea, perché il sole è sbucato da dietro le nuvole e ha illuminato la scogliera, che sembrava d’argento. Nel momento in cui il battello entrava beccheggiando in porto, ho visto St Peter Port che si ergeva dal mare, e in cima una chiesa, come la decorazione di una torta. Il cuore mi batteva all’impazzata. Anche se ho cercato di ripetermi e di convincermi che era per via del panorama emozionante, in realtà sapevo il vero motivo. Tutte quelle persone che con il tempo sono arrivata a conoscere, e anche ad amare, erano in attesa di vedere… me”
Nonostante lo stile cittadino, i successi librari e la vita alla moda che conduce, Juliet abbandonerà tutto per raggiungere i suoi amici a Guernsey e partecipare finalmente di persona a questo singolare Club del libro che non chiude mai i battenti.

Il resto ve lo lascio scoprire in una lettura veramente piacevole, forte, eppure tenera.
Ah, dimenticavo, uno dei pezzi forti del Club è la signorina Jane Austen che ha gentilmente offerto spunto per il lieto fine. Ma questo, in tutta l’assonanza di pensieri e di intenti, era poco meno che ovvio.
Sinossi:
È il 1946 e Juliet Ashton, giovane giornalista londinese di successo, è in cerca di un libro da scrivere. All’improvviso riceve una lettera da Dawsey Adams – che per caso ha comprato un volume che una volta le era appartenuto — e, animati dal comune amore per la lettura, cominciano a scriversi. Quando Dawsey le rivela di essere membro del Club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey, in Juliet si scatena la curiosità di saperne di più e inizia un’intensa corrispondenza con gli altri membri del circolo. Mentre le lettere volano avanti e indietro attraverso la Manica con storie della vita a Guernsey sotto l’occupazione tedesca, Juliet scopre che il club è straordinario e bizzarro come il nome che porta. Una commedia brillante (anche se nel corso della narrazione emergono tradimenti, bassezze, vigliaccherie) che parla di amore per i libri, di editori, scrittori e lettori, e poi di coraggio di fronte al male, di lealtà e amicizia, e di come i libri ti possano salvare la vita.
Raffaello di Cinzia Giorgio
Natale a Pemberley
Natale a Pemberley
di AA.VV. (Gruppo Fb Regency & Victorian)
Deliziosa antologia natalizia a base di racconti usciti dalle penne ispirate di un gruppo di autori vari, appassionati di Jane Austen e del periodo Regency.
Questo strabiliante risultato è ciò che è venuto fuori dall’insieme vario e assortito di scrittrici e generi diversi che grazie all’opera magica della coordinatrice e ispiratrice del progetto, Antonia Romagnoli, hanno saputo fondersi in un’unica voce, in un mirabile esempio di armonia non solo sintattica, ma anche stilistica e di contenuti.
Ciascuno degli autori ha risfoderato e messo in campo le proprie competenze: rispolverando vecchie conoscenze o creandone di nuove per l’occasione, in una coralità di voci in cui nessun suono giunge stonato ma perfettamente accordato in una melodiosa sinfonia. È il nostro speciale canto di natale, il nostro personale omaggio a Jane Austen che ci ha indotto a voler ricreare un’atmosfera che proseguisse quella indicata nella famosa frase di Lizzie, verso la fine di Orgoglio e Pregiudizio, quando scrivendo, per ringraziarla, alla zia Gardiner, le annuncia: “A Natale dovete venire tutti a Pemberley” (cap. 60).
Questo è stato il nostro principio ispiratore poi il “la” è stato fornito da Antonia Romagnoli che ci mostra, nel più classico dei misteriosi inizi in medias res, come Miss Georgiana Darcy sia preoccupata per l’improvvisa scomparsa di Elizabeth, promessa sposa del fratello nelle nozze che si sarebbero dovute celebrare proprio a casa loro, una Pemberley Hall agghindata a festa, il giorno di Natale.
Con un alacre scambio e reperimento di suggerimenti e informazioni utili, ciascuno strumento è stato accordato a quello del suo vicino e dell’intero ensemble orchestrale e sono miracolosamente comparsi, in risposta all’invito di Georgiana, ospiti eterogenei e personaggi austeniani rivisitati.
Il libro ideale da centellinare racconto dopo racconto, uno più bello dell’altro, durante un pomeriggio di relax: nato per questo periodo natalizio ma capace di regalare più di un sorriso divertito in qualsiasi momento dell’anno.
Buona lettura!
Buon Natale da Pink!
Emily Bronte, nell’anniversario della morte. 19 dicembre 1848.
Delle tre sorelle Bronte, Emily è quella che più desta ammirazione e meraviglia insieme e a cui guardare con riverenza da donna a donna. Come persona, ancora prima che come scrittrice. La fragilità di questa fanciulla che si perde tra la natura e scova la bellezza in ogni stagione dell’anno, persino nello sferzante vento gelido dell’inverno, non può lasciare indifferenti.
Sentirla proclamarsi creatura del giorno, ma ancor più della notte, senza temere la morte, ma anzi invocandola, finisce per suscitare un’emozione coinvolgente, di intima partecipazione.
Indubbiamente è la Emily poetessa, quella che io preferisco.
Sono felice quanto più lontana
Sospingo la mia anima dalla casa di argilla
Nella notte spazzata dal vento e dalla luna,
e per mondi di luce l’occhio vagabonda –
Quand’io non sono e nessuno accanto –
Né terra né mare né cieli puliti –
Ma solo spirito che erra nell’aperto
E percorre l’immenso, l’infinito.
Tutte e tre le figlie della brughiera temprarono il loro carattere al gelido ambiente che le circondava, ma Emily è quella che appare la più forte e tenera allo stesso tempo, quella che si distingue dalle altre perché Emily bastava a se stessa: vagava da sola per la brughiera, amava la compagnia del suo cane Keeper e parlava il minimo indispensabile. Non la spaventava né la notte né la solitudine. La vita e la morte non le apparivano irriducibili.
Mi sembra di vederla, attraverso i racconti di Charlotte, mentre si oppone strenuamente a qualsiasi invasione del suo spazio e limitazione della sua libertà anche da parte dei familiari e da chi più l’amava, scrivere soltanto per sé e per il piacere di comporre e fantasticare, ferma e irremovibile come sempre nelle sue decisioni, dichiarare di non voler fare ritorno a Bruxelles dopo il primo periodo trascorso là con Charlotte.
Scrive Citati: “Non accettava influenze; la sua unica legge era quanto le sembrava giusto. Aveva una mente logicissima, dominata da una volontà caparbiamente tenace. Non amava gli uomini: riservava il proprio amore agli animali, e specialmente al suo cane, Keeper. Nessuno aveva l’ardire di parlarle quando i suoi occhi si accendevano, il viso si sbiancava e le labbra si serravano rigidamente”.
La seguiamo fino alla fine: protestare e rifiutare le cure del medico e poi crollare sotto il peso schiacciante di quel male incurabile quando ormai è troppo tardi.
«Se vuoi far venire un dottore, ora lo riceverei». Era troppo tardi. Verso le due del 2 dicembre morì. Il giorno dopo Charlotte scrisse: «Emily non soffre più di dolore. Non soffrirà mai più in questo mondo. È morta. Non c’è più Emily nel tempo, sulla terra, ormai. Ieri abbiamo deposto quietamente la sua povera spoglia terrena sotto il pavimento della chiesa. Siamo molto calmi. Perché dovrebbe essere altrimenti? L’angoscia di vederla soffrire è passata; lo spettacolo della morte è finito; il giorno del funerale è alle nostre spalle. Sento che è in pace». Il cane di Emily, Keeper, accompagnò il funerale, rimanendo quieto per tutto il tempo del servizio funebre: poi andò ad accucciarsi davanti alla porta della camera della sua padrona. Per anni, Charlotte non si stancò di parlare di Emily: era diventata, per lei, «un’idea fissa, più cupa, più ostinata che mai».
Charlotte amava Emily che sin da piccola aveva preso sotto la sua ala protettrice e soffrì moltissimo per la sua perdita provando disperatamente a farla rivivere in Shirley, il romanzo la cui indomita e ribelle protagonista la ricorda molto.
Charlotte non aveva apprezzato Cime tempestose, né allora né quando, anni più tardi, lo rilesse. Trovò «immatura» quell’opera meravigliosamente compiuta ed eseguita. «La forza di Cime tempestose — scrisse — mi colma di rinnovata ammirazione: tuttavia sono oppressa: al lettore non viene quasi mai concesso di gustare un piacere puro; ogni raggio di sole si fa largo tra nere sbarre di nubi massicce; ogni pagina è sovraccarica di una specie di elettricità morale».
Eccessivo scrupolo o senso di protezione quello di Charlotte mentre nessuna ombra di dubbio ha oscurato da allora la fama di Emily nella letteratura.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa le riconosce il genio:
Emily Bronte, l’ardente, la geniale, l’indimenticabile, l’immortale Emily. Non scrisse che pochi versi, brevi liriche, aspre ferite alla cui malia non si sfugge. E un romanzo, Wuthering Heights, un romanzo come non se non sono mai scritti prima, come non saranno mai scritti dopo. Lo si è voluto paragonare al King Lear. Ma veramente, non a Shakespeare fa pensare Emily, ma a Freud; un Freud che alla propria spregiudicatezza e al proprio tragico disinganno unisse le più alte, le più pure doti artistiche. Si tratta di una fosca vicenda di odi, di sadismo e di represse passioni, narrate con un stile teso e corrusco spirante, fra i tragici fatti, una selvaggia purezza. Il romanzo romantico se mi consente il bisticcio, ha qui raggiunto il proprio zenith.
Virginia Woolf, il sublime:
«Cime tempestose è un libro più difficile da capire di Jane Eyre, perché Emily era più poeta di Charlotte. Scrivendo, Charlotte diceva con eloquenza e splendore e passione «io amo», «io odio», «io soffro». La sua esperienza, anche se più intensa, è allo stesso livello della nostra. Ma invece non c’è «io» in Cime tempestose. Non ci sono istitutrici. Non ci sono padroni. C’è l’amore, ma non è l’amore tra uomini e donne. Emily si ispirava a una concezione più generale. L’impulso che la spingeva a creare non erano le sue proprie sofferenze e offese. Rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riunirlo in un libro. (…) Il suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più bisogno di un corpo; parlando della brughiera far parlare il vento e ruggire il tuono».
Natale a Pemberley
Da qui tutto ebbe inizio.
La lettera di Lizzie alla zia Gardiner:
Vi avrei ringraziato prima, mia cara zia, com’era mio dovere fare, per il vostro lungo, cortese, soddisfacente, resoconto sui particolari; ma a dire la verità, ero troppo irritata per scrivere. … Vi ringrazio sempre di più per non essere andati nella regione dei laghi. Come ho potuto essere così sciocca da desiderarlo! La vostra idea dei pony è deliziosa. Andremo tutti i giorni in giro per il parco. Sono la creatura più felice del mondo. Forse l’hanno già detto altri, ma nessuno così a ragione. Sono persino più felice di Jane; lei sorride soltanto, io rido. Mr. Darcy vi manda tutto l’affetto che gli avanza da quello riservato a me.
A Natale dovete venire tutti a Pemberley.
Vostra, ecc.
La Dama in Bianco di Antonia Romagnoli
La protagonista de La Dama in Bianco, il romanzo appena pubblicato da Antonia Romagnoli altri non è che Lady Amelia Lewis. Che poi non è una nuova creazione perché l’avevamo già incontrata ne La Dama in Grigio dove ci aveva incuriosito e affascinato per la spigliatezza e la determinazione dei suoi modi.
Ora impariamo a conoscerla meglio mentre lei stessa inizia a conoscere se stessa: è cresciuta da sola Lady Amelia, ha capito presto che poteva contare solo sulle proprie forze, orfana di genitori e con il fratello a cui fare da balia e da sistemare.
Il racconto prende le mosse dal precedente libro, La Dama in Grigio, e si collega a esso nel senso che ne costituisce la prosecuzione, ma allo stesso tempo, se ne distacca per sua autonomia e indipendenza. Alcuni personaggi infatti li avevamo già incontrati, ma solo ora li cogliamo in tutte le sfaccettature del carattere, ora che vengono messi alla prova da tutta una serie di eventi e accadimenti imprevisti e imprevedibili, in un crescendo di colpi di scena che tengono avvinti alla storia con ritmo incalzante e ininterrotto.
La Dama in Bianco però ci riserva anche delle graditissime sorprese quando ci presenta dei nuovi personaggi così affascinanti come il salace Mr Mills, e così simpatici e divertenti come i coniugi Allen dai quali andare in visita si rivelerà un’esperienza davvero spassosa.
Quanto sono poetiche le descrizioni del paesaggio invernale, ammantato di neve, che si fa inquietante ed è inghiottito dalla nebbia nei momenti di maggiore tensione narrativa della storia!
E come sono accoglienti e sapientemente ricostruiti gli interni e le usanze dei manieri in cui si svolge la vicenda: dalla residenza di campagna dei Burnett ad Hawthorn House, dimora di Mr Mills. I saloni, le singole camere, la galleria, i corridoi, ci vengono raccontati con effetto veridico e realistico, aiutati a figurarceli senza nessuno sforzo di immaginazione, grazie alla dovizia di particolari spesi per rappresentarli; pranzi e tè imbanditi scandiscono lo svolgimento delle giornate e degli episodi salienti narrati secondo il rituale rassicurante inglese.
Ci sono tutti gli ingredienti ne La Dama in Bianco per trascorrere delle ore piacevoli in ottima compagnia: una giusta dose di mistero da sciogliere, amori corrisposti e relazioni travagliate, una sana quota di passione e una spiccata sensibilità per le manifestazioni soprannaturali; il tutto guidato con buon senso e buon gusto e stemperato da divertito buonumore.
Un romanzo strutturale, corposo, dalla trama affatto semplice ma semplicemente avvincente, grazie anche allo stile inconfondibile e accogliente per natura di Antonia Romagnoli.
Con stima,
Romina Angelici