Si può facilmente capire come Elizabeth Gaskell detestasse scrivere su ordinazione e con un doppio vincolo: di tempo e di tema. Dickens le commissionò infatti un racconto natalizio che esaltasse la nobiltà d’animo ed ella non fu molto soddisfatta del risultato, almeno finché non vide le recensioni positive.
Dopo Canto di Natale Dickens avrebbe voluto una storia di buoni sentimenti, in cui la virtù viene premiata e il cattivo si redime ritornando sulla retta via, ma imporre anche il finale alla sua Sherazade sarebbe stato veramente troppo!.
Mi immagino Elizabeth Gaskell accomodata in una poltrona, circondata, come a volersi sentire rassicurata, dai suoi inseparabili compagni: i suoi più cari amici e una pila di libri, persa dietro a qualche sogno avventuroso. The Moorland Cottage è infatti infarcito di citazioni dei suoi poeti preferiti (Wordsworth, Tennyson, Burns) e di riferimenti alla letteratura tedesca i cui rigori sono stemperati da idealistiche incursioni donchisciottesche.
E cosa c’è di meglio di una coppia di fratellini da prendere a prestito da una fiaba per imbastire una storia? Il plot e l’atmosfera sembrano ricalcare quelli tipici della fiaba, anche se nel proseguo dovesse rivelarsi più adatta a un pubblico adulto piuttosto che a dei bambini.
L’inizio di questo racconto con la descrizione del cottage nella brughiera come di un quadretto rurale arcadico e la coppia di fratelli Maggie ed Edward molto legati fra loro, mi ha ricondotto presso un’altra radura attraversata in quel caso da un corso d’acqua:
Ed ecco il mulino di Dorlcote. Anche per questo tempo spoglio del finir di febbraio, è piacevole a vedersi: forse che la stagione un po’ fredda e umida aggiunge fascino alla casa civile ben tenuta ed accogliente, antica quanto gli olmi ed i castani. La corrente ora è gonfia, e invade questa breve piantagione di salici, e quasi sommerge il ciglio erboso del prato di fronte alla casa (George Eliot, Il Mulino sulla Floss).
Molto facile confondersi tra le due vicende, scritte l’una a dieci anni di distanza dall’altra.
Il cupo presagio che grava sulla casa dei Tulliver viene diradato dalla cornice idilliaca in cui invece viene inserita La casa nella brughiera. Eliot e Gaskell finiscono entrambe per parlare di istruzione e di ruoli maschili e femminili nella società vittoriana e sottolinearne, pensando di essere non viste, la sperequazione.
“Sii ubbidiente, ti dico. Questo è ciò che una donna deve essere”: ecco racchiuso in questo monito, rivolto da Edward alla piccola Maggie, il gretto maschilismo vittoriano impartito sin da piccoli alle giovani menti.
Quelle che potrebbero essere qualità e capacità migliori delle ragazze, in entrambi i casi vengono sacrificate a favore dei rispettivi fratelli che per un motivo o per l’altro non lo meritano. E in tutte e due le situazioni il sacrificio è legittimato, se non addirittura imposto, proprio dalla figura materna, la cui parzialità a favore del figlio maschio diventa oltremodo vessatoria e fastidiosa alla lettura.
[Maggie] scivolava al suo eterno secondo posto: che amarezza in queste parole!
L’ineluttabilità che avvolge i destini dei fratelli Tulliver e li travolge tra i flutti della Floss, viene invece contrastata dall’immagine simbolica del biancospino nella brughiera sotto i cui rami odorosi Maggie Browne corre a rifugiarsi ogni volta che desidera stare da sola a pensare. Quella piccola oasi incontaminata e ricorrente, emblema di purezza e saldezza morale, diventa il baluardo di tutto il racconto, simboleggiando la fermezza e la resistenza di Maggie a ogni attacco e a ogni tentazione.
Ma Maggie Browne non è sola e impotente come l’omonima eroina di George Eliot: se sua madre non ha saluto apprezzarla e valorizzarla a dovere, ci hanno pensato altre due figure gentili, più elevate non solo per estrazione sociale ma anche per vedute e nobiltà di pensiero. Si tratta di Mrs Buxton e il figlio Frank che accolgono e riservano ogni riguardo e premura alla piccola Maggie intuendone subito lo spirito di sacrificio e la rettitudine morale. La presenza di questi personaggi positivi (che nelle fiabe intervengono sempre appunto per contrastare i piani dei cattivi o comunque per ribaltare le sorti), la vicinanza con la residenza dei Buxton, la venerazione della ragazzina sia verso la madre sia verso il figlio, fanno pensare a quella tenera amicizia che nasce spontaneamente tra Molly Gibson e gli Hamley e hanno fatto giustamente scrivere a Mara Barbuni, nel suo saggio Elizabeth Gaskell e la casa vittoriana che questo bellissimo racconto del 1850 “anticipa il canovaccio della storia familiare di Hamley Hall” del successivo Mogli e figlie.
Come per le precedenti opere della collana Participio Passato, Edizioni Croce impreziosisce le sue pubblicazioni con un pregevole contributo esplicativo e di approfondimento, raddoppiando il piacere della lettura e della conoscenza, in questo caso curato da Raffaella Antinucci. Imprescindibile e insostituibile strumento per comprendere appieno l’opera.
Romina Angelici