Archivio | gennaio 2020

La Marchesa Colombi e Miss Jane Austen

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Non posso dire di conoscere la vasta e diversificata produzione letteraria della Marchesa Colombi, alias Maria Antonietta Torriani, che vanta collaborazioni, traduzioni, racconti, libretti per melodrammi e romanzi, anche per l’infanzia,  ma ho trovato spesso definizioni di lei che la accostavano alla scrittrice inglese Jane Austen, famosa per la sua ironia.

 

Colonne portanti del lavoro della scrittrice erano lo stile ironico, usato per scardinare le consuetudini della sua epoca e che può ricordare la britannica Jane Austen; la predilezione per le tematiche veriste riguardanti la condizione femminile e la volontà di contribuire con i suoi scritti alla costruzione nelle donne di una coscienza basata sulla dignità e sulla consapevolezza di sé[1]

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Ecco se dev’essere stabilita un’analogia sulla base del loro tratto comune ironico, ebbene posso confermare che la Marchesa Colombi sa essere arguta e pungente tanto quanto Jane Austen, che considero maestra in questo stile.

Particolarmente calzante trovo la caratterizzazione quando infatti la Marchesa, nel suo Galateo, La gente per bene,  passa a parlare di matrimonio, usanze, proposte e convenienze. Allora sì che si fanno più evidenti gli echi della ironica Jane Austen che sul matrimonio lanciava strali simili.

È la povertà l’unica cosa che rende la condizione di nubile da compatire agli occhi di un pubblico generoso. (Emma, cap. 10)

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Anche la Marchesa si lascia sfuggire uno sguardo critico verso la mentalità predominante che fa coincidere il matrimonio come lo scopo ultimo della vita di una donna, la sua cosiddetta “sistemazione” e considerazione in termini di merce.

Ed ha veduto pure che gli occhi del signore accompagnante sembravano due unità di misura, intente a registrare quanto lei fosse lunga e larga… e se il peso specifico della sua dote fosse sufficiente a bilanciare le irregolarità risultanti dall’inventario (p. 96)

Andando poi a guardare  la produzione della Marchesa Colombi romanziera e i ritratti di donne che ci ha lasciato, eroine scontente, deluse, defraudate, allora il suo tono si fa più amaro, e dietro alla maschera di convenzioni e finta accettazione traspare in realtà la denuncia, neanche tanto velata, delle crudeli posizioni svantaggiate delle donne sugli uomini, in pubblico e in privato, in amore e in società.

Anche questo in realtà la accomunerebbe a Jane Austen che non era affatto una scrittrice bucolica e di belle speranze per finali a lieto fine[2], come vorrebbero farla passare, perché anche lei, fingendo di accettare e riportare la mentalità maschilista imperante, non potendo farlo apertamente, in realtà la criticava e condannava indirettamente mettendola alla berlina.

Non per niente Jane Austen si firmava “By a Lady” e la Marchessa Colombi adotta uno pseudonimo, sia pure scherzoso.

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Amare sono le parole e la condizione paventata per Charlotte Lucas che accetta di sposare il ripugnante Mr. Collins in cambio di un futuro sostentamento garantito:

Senza avere un’alta opinione né degli uomini né del matrimonio, sposare era stato sempre il suo obiettivo; esso era l’unica onorevole sistemazione per giovani donne beneducate di modesti mezzi, e se incerto fosse che desse loro la felicità, doveva essere il modo più piacevole per preservarle dalla povertà. (Orgoglio e pregiudizio, cap. 22)

Nemiche del sentimentalismo e dei toni esageratamente drammatici, entrambe realizzano fotografie della condizione femminile dell’epoca colte nei loro aspetti più prosaici e quindi involontariamente comici.

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In  Un Matrimonio in provincia la Marchesa Colombi presenta le disillusioni romantiche della giovane Denza che a forza di aspettare il grande amore finisce per sposare un signorotto di provincia affatto affascinante commentando rassegnata:

“Così dopo tutti quegli anni d’amore, poesia, di sogni sentimentali, fu concluso il mio matrimonio.
  Ora ho tre figlioli. Il babbo, che quel giorno dell’incontro con Scalchi aveva accesa lui la lampada che mi consigliava, dice che la Madonna mi diede una buona ispirazione. E la matrigna pretende che io abbia ripresa la mia aria beata e minchiona dei primi anni.
Il fatto è che ingrasso”[3]

 

Penso che questa sia la dimostrazione inequivocabile dell’irresistibile modernità della Marchesa Colombi, dato che quella di Jane Austen è indiscussa.

Leggi anche:

https://ipiaceridellalettura.wordpress.com/2020/01/11/marchesa-colombi/

[1] https://rivistasavej.it/maria-antonietta-torriani-alias-la-marchesa-colombi-30bc08d293f3

[2] https://www.finzionimagazine.it/libri/the-godmother/marchesa-colombi/

[3] https://blog.libero.it/angolodijane/7075573.html

Curiosità su Louisa May Alcott tratte dalla biografia di Martha Saxton, edito da Jo March.

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Louisa sin da bambina era costantemente paragonata e preferita alla primogenita Anna che Bronson riteneva più docile e simile a sé anche fisicamente.

A sei anni scappò di casa: si era unita a un gruppo di bambini irlandesi fino a smarrire la strada; venne ritrovata il giorno seguente dal banditore che la cercava e ricondotta in famiglia dove per punizione Anna la legò al bracciolo del divano.

Pensava di essere stata in una vita precedente una renna o un cavallo perché correre era una gioia immensa per lei.

Louisa imparò ad amare la natura andando in giro con Henry David Thoreau che Hawthorne definiva “brutto come il peccato. Egli dischiuse davanti agli occhi ammirati della piccola Louisa le bellezze naturali di Concord e lei per questo se ne innamorò dedicandogli da grande il suo unico romanzo per adulti, Mutevoli Umori.

Da bambina Louisa scriveva nei suoi diari, che la madre Abba puntualmente leggeva, di desiderare “una stanza tutta per sé” dove poter nascondere il suo spirito inquieto e leggere i suoi autori preferiti; all’età di 13 anni la madre l’accontentò.

Quando arrivò alla pubertà e cominciò a turbarsi per i segni dei suoi cambiamenti fisici, la madre si limitò a regalarle una penna invitandola a scrivere poesie per canalizzare la sua passione.

Louisa cominciò a lavorare a 17 anni, insieme alla sorella Anna, quando Bronson e Abba si ammalarono di vaiolo.

Louisa andava matta per gli abiti e lo dimostra nei suoi romanzi dove si attarda in interminabili descrizioni di guardaroba forniti e gioielli, in questo instradata dalla sorella più piccola Abby.

Il racconto “Una Cenerentola moderna” è ispirato al corteggiamento tra Anna e John Pratt.

Nel fare domanda come crocerossina durante la guerra civile americana la vocazione di Lousia era influenzata dall’esempio di Florence Nightingale.

Quando partì per l’ospedale di Germantown dove era stata assegnata, il padre osservò con grande mancanza di tatto che stava mandando al fronte il suo unico figlio maschio.

Probabilmente si innamorò di un soldato ferito che curò e assistette fino alla morte, John Sulie che compare spesso in Scene da un ospedale da campo.

Il primo viaggio in Europa lo compie a ben 33 anni insieme a Anna Weld,  prestandosi come sua dama di compagnia, anche nella storia d’amore che nacque inizialmente tra Anna e Ladislas Wisniewski, un giovane polacco di 18 anni.

Lo rivedrà più tardi a Parigi dove proseguirà il suo viaggio da sola.

Il 17 maggio 1866 incontrò Mazzini a Londra che trovò romantico e affascinante mentre discusse con lei la situazione politica polacca (diversamente, rimarrà delusa dal suo grande mito, Dickens, che giudicò troppo dandy).

Prima di scrivere Piccole donne, Louisa abbozzò un racconto di quattro ragazze, Nan, Lu, Berth e May che offrivano in dono la loro colazione ai vicini poveri.

Soffriva tremendamente di mal di mare e i suoi due viaggi in Europa furono scontati a caro prezzo con emicranie e nausee e giornate trascorse chiusa in cabina.

Mentre Louisa, la sorella e un’amica stavano a Roma, avendo preso in affitto un appartamento di Piazza Barberini, ci fu un’inondazione che colpì la Città e in particolare il Ghetto ebraico; il 1 gennaio 1871 assistettero quindi al passaggio di Vittorio Emanuele, re d’Italia che veniva a ad offrire il suo aiuto alle popolazioni colpite.

Nel gennaio 1872 ricevette per alcune settimane di seguito dei grossi mazzi di rose che arrivavano ogni giorno da un ignoto ammiratore.

La protagonista di Work, si chiama Christie come lo pseudonimo che Louisa aveva deciso di adottare nel breve periodo in cui aveva tentato di fare l’attrice a Boston.

Dopo la morte della madre, Bronson scrive a Louisa una poesia che termina con la frase: “Ti stringo al cuore, mia coscienziosa figlia del Dovere”.

Morì da sola, il primo pomeriggio del 6 marzo 1888, a due giorni di distanza dal padre. Aveva solo 56 anni.

Louisa May Alcott. Una biografia di gruppo.

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Come al solito le Edizioni Jo March sono all’altezza del loro nome!

La lettura di questa biografia si è rivelata molto impegnativa perché la ricostruzione è ampia e articolata, oltre che pregna di informazioni interessanti.

A essere ricostruito è tutto il contesto umano, familiare, sociale, letterario, filosofico, politico in cui Louisa è nata e cresciuta e credo che sia per questo motivo che si sia deciso di cambiare il sottotitolo originale A Modern Biography, in  Una biografia di gruppo.

Di fatto è stata condotta un’analisi molto approfondita delle personalità, tutte straordinariamente eminenti, che Louisa ha incontrato sul suo cammino oltre a quelle che, determinanti, hanno influito direttamente e supervisionato la sua crescita e formazione.

I rapporti e il diretto influsso di Emerson, Thoreau, amici di Bronson, e le insegnanti Margaret Fuller ed Elizabeth Peabody, sono solo alcuni dei tasselli fondamentali che spiegano le molteplici sfaccettature  di Louisa, spugna iper-porosa, come donna e come scrittrice.

La grande incidenza che hanno avuto le figure genitoriali sul suo sviluppo e sulla sua personalità è qui messa in rilievo anche negli aspetti più morbosi e vessatori. Sia Abba che Bronson risultano due genitori molto ingombranti, per motivi completamente opposti, ciascuno a suo modo, con spiccate componenti egoistiche e narcisistiche. Louisa si è trovata dapprima a doverle subire e poi, avendo anch’ella una personalità forte, a provare a contrastarle.

Leggendo questa biografia, Louisa May Alcott è ancora più lontana dall’ideale di scrittrice che nell’immaginario collettivo si pensa abbia composto la saga di Piccole donne. Per comprenderla appieno non si può non tener conto di tutti gli altri romanzi che ha scritto, specialmente le storie gotiche che riflettono le sue paure e la sua rabbia, e considerare Piccole donne come una tappa del suo doloroso percorso.

L’eroina Jo March, in cui generazioni e generazioni di ragazze si sono immedesimate e hanno finito per confondere con l’autrice del libro, è tanto lontana da Louisa quanto le aspettative paterne su di lei.

Il successo la colse di sorpresa perché ella lo aveva scritto “come una sorta d’espiazione dei peccati che credeva di aver commesso nei confronti dei suoi genitori”. Louisa chiamava gli Alcott la famiglia patetica, per far capire l’accento sentimentale con cui  volutamente li avrebbe caratterizzati.

Il finale immancabilmente moralistico serviva a Louisa per far rientrare le sue storie nelle concezioni idealiste del padre.

Il legame a doppio filo di dipendenza che univa Louisa a suo padre era di ricerca della sua approvazione, che ella ha dovuto sempre guadagnarsi, e l’istintivo desiderio di infrangere tutto il sistema di regole da lui costruite come sovrastruttura condizionante e soverchiante la loro coscienza.

Al contrario di Anna, Louisa non fu mai in pace con la sua coscienza, non riuscì mai ad accettarsi e a ottenere il consenso paterno.

Il ritratto che viene fuori di Amos Bronson  da questa biografia è quella di un padre anaffettivo, che ha sicuramente preferito perseguire i suoi ideali trascendentalisti  a scapito persino del provvedere ai fondamentali bisogni primari della sua famiglia, delle sue figlie, e l’aggettivo più frequentemente usato per definirlo è, e non poteva essere che, egoista.

A questo tipo di rapporto con la figura paterna -e all’esperienza patita nella famiglia d’origine- viene fatta risalire la spiegazione del perché Louisa non abbia cercato per sé il matrimonio.

Di contro la madre, che di fatto si era dovuta tirar su le maniche per mandare avanti la famiglia, fare sacrifici, sforzi indicibili e umiliarsi a chiedere prestiti a familiari e amici, era stata da lei idealizzata e santificata; sul suo altare Louisa aveva immolato la sua vocazione a fare di tutto per sollevarla dalle preoccupazioni materiali e sostituirsi a lei, a caro prezzo.

Una vita raminga, piena di insoddisfazioni, mai paga dei risultati e di sé, costantemente alla ricerca di una serenità economica che avrebbe dovuto placare altre esigenze interiori irrisolte e inespresse.

Una personalità complessa, che siamo abituati a considerare circondata dagli affetti domestici ma fondamentalmente sola e recriminante, determinata e dotata di una straordinaria forza di volontà e coscienza del dovere sebbene martoriata da più di un serio problema di salute.

La considerazione finale di questo ritratto è molto amara:

Come tutti, Louisa fu il prodotto della sua esperienza di quella di coloro che l’avevano preceduta. Ma, diversamente da tanti altri, fu incapace di andare oltre la sua storia familiare e di lasciarsi alle spalle gli eventi che da piccola l’avevano segnata. Per tutta la vita provò gli stessi sentimenti e rimase preda delle stesse sofferenze. Piccole donne è l’esempio più amaro ed evidente dello sforzo perenne fatto da Louisa Alcott per dare un volto diverso alla propria storia.

Scheda del libro:

Martha Saxton
Louisa May Alcott. Una biografia di gruppo


Isbn: 9788894142891
Pagine: 380
Collana: Christopher Columbus

€ 19,00
Traduzione e cura di Daniela Daniele

Christopher Columbus è la  Collana Jo March che va alla scoperta delle vite, spesso straordinarie, degli autori che hanno creato indimenticabili romanzi della letteratura. Uno di questi romanzi è, senza dubbio, Piccole donne di Louisa May Alcott, un libro ancora oggi letto ed amato. In Jo March critici e lettori hanno però voluto individuare troppo presto l’alter ego immaginario di Louisa, che, in realtà, faticava moltissimo a riconoscersi nella sua eroina più nota e, ancor più, nella famiglia esemplare e unita che aveva costruito intorno a lei. Martha Saxton, al contrario, cerca la verità sull’Autrice lontano dal suo successo editoriale, bensì nelle zone d’ombra della sua produzione letteraria più inquieta, nel profondo e sofferto rapporto con i genitori, in quella sua personalità sfuggente che prese forma sotto la guida dei grandi  maestri del trascendentalismo americano, restituendo di Louisa May Alcott un ritratto intenso e del tutto inedito.


Informazioni sull’autore
Martha Saxton è nata a New York nel 1945. Dopo la laurea in Storia, conseguita all’Università di Chicago, ha svolto lavoro editoriale per la Massachusetts Historical Society e per varie riviste culturali. Nel 1975 ha pubblicato la sua prima biografia, Jane Mans-field e gli anni Cinquanta in America.
Louisa May Alcott. A Modern Biography (1977) le è valso il Boston Globe Book Prize. Dopo un Ph.D in Storia alla Columbia University (1989), ha insegnato Storia americana all’Università di Amherst e pubblicato Being Good: Women’s Moral Values in Early America (2003) e, più di recente, la biografia di Mary Ball Washington, The Widow Washington (2019).

Vi lascio il link della Casa Editrice:

https://www.jomarch.eu/index.php?content=scheda&id=580

Filmografia di Piccole Donne

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Se il libro di Piccole donne è stato ristampato innumerevoli volte e dopo poco essere stato pubblicato, è stato tradotto in più di 14 lingue, non potevano mancare anche i diversi tentativi di adattarlo al grande schermo facendone una trasposizione cinematografica.

Sorprende che i primi due adattamenti risalgano al cinema muto, perciò le prime due trasposizioni sono due film del 1917 e del 1918, il primo inglese, l’altro americano.

Little Women è un film muto del 1917 diretto da Alexander Butler, di fattura britannica. È il primo adattamento cinematografico del romanzo Piccole donne della scrittrice statunitense Louisa May Alcott. Il film è considerato perduto. Il cast:
Daisy Burrell: Amy March
Mary Lincoln: Meg March
Minna Grey: Marmie March
Ruby Miller: Jo March
Milton Rosmer: Theodore Lawrence
Muriel Myers: Beth March
Wyndham Guise: il professore
Roy Travers: John Brooke
Lionel d’Aragon: Mr. Laurence
Florence Nelson: zia March
Bert Darley: pastore March
Molly Vaughan: Sally Moffatt
Vivian Tremayne: Belle Moffatt
Sylvia Cavalho: Anne Moffatt
Nella foto Milton Rosmer, Ruby Miller nei panni di Jo March e la star della commedia musicale Daisy Burrell nei panni di Amy March.

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Little Women (1918)
Diretto da Harley Knoles, sceneggiatura di Anne Maxwell, è anch’esso un film muto.

Considerato anch’esso perduto è il primo adattamento americano, dal brillante nome Harley Knoles, un regista britannico che trascorse gli anni ’10 lavorando negli Stati Uniti.

Jo March è stata interpretata dalla regina del cinema muto Dorothy Bernard.

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Piccole Donne (1933)

Primo film vero e proprio, diretto da George Cukor con Katharine Hepburn e Joan Bennett.
Vincitore dell’Oscar 1934 per Miglior film con sceneggiatura non originale e sempre nel 1934 al Festival di Venezia fu riconosciuta la Miglior interpretazione femminile a Katharine Hepburn.

Il film venne proiettato per la prima volta il 16 novembre 1933 e riscosse subito un grande successo di pubblico, tanto da indurre i gestori della sala cinematografica a venir meno ad una regola rigorosa: quella di togliere i film dopo la prima settimana di programmazione. Piccole donne, infatti, restò in cartellone per tre settimane di seguito.

Essendo la versione più datata è quella alla quale si addice meglio la definizione di gioiellino classico in tutti i sensi, anche se sbilanciati i tempi narrativi, specialmente tra primo e secondo romanzo della saga.

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Piccole donne (1949) di Mervyn LeRoy.

Per quanto riguarda il cast, LeRoy sceglie per interpretare le sorelle March, 4 attrici che erano già sotto contratto con la MGM. Per la parte della dolce e bella Meg, la figlia maggiore,viene scelta la 22enne Janet Leigh,Per interpretare la 15enne ribelle Josephine (più semplicemente Jo) viene scelta la 32enne June Allyson che era naturalmente bionda e per la parte di Jo le furono tinti i capelli color castano.
Rispetto al romanzo, nel quale Amy è la figlia più giovane, nel film si decide che sia Beth la più piccola (e quindi la più fragile e innocente), e la parte viene data a Elizabeth Taylor che all’epoca ha 17 anni e questo sarà comunque il suo ultimo film adolescenziale. Per interpretare la piccola Beth viene scelta la 12enne Margaret O’Brien, orfana, che aveva fatto il suo debutto a 4 anni.
Ad interpretare  Theodore Laurence  viene scelto Peter Lawford, mentre il timido Professor Baher è interpretato da Rossano Brazzi.
I costumi sono di Walter Plunkett, lo stesso che aveva realizzato gli abiti della versione del 1933 di George Cuckor con Katherine Hepburn e Joan Bennet (e costumista di Via col Vento). La colonna sonora è realizzata da Adolph Deutsch, lo stesso compositore di Sette spose per sette fratelli e A qualcuno piace caldo.

Il film fu proiettato al Radio City Music Hall di New York nell’aprile del 1949, nonostante fosse pronto già dal 1948, perchè si volle sfruttare per il lancio il 25esimo anniversario dello Studios, incassando 3,6 milioni di dollari al botteghino.
Nel 1950 il film vince l’Oscar per la migliore scenografia. I set sono molto curati e ricchi di particolari; le stanze sono state arredate seguendo lo stile di Orchard House di Louisa May Alcott.

 

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Piccole donne  (1994).

Diretto dalla regista australiana Gillian Armstrong, il primo con una regia femminile.

Indimenticabili Susan Sarandon e Wynona Ryder, ma anche Gabriel Byrne e Christian Bale.

E’ la versione più convincente per la scelta e le interpretazioni degli attori, la sceneggiatura, la scenografia, i costumi.
Ha ricevuto 3 nomination per gli Oscar

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Little Women (1978)
Esiste anche un’altra miniserie degli anni Settanta, diretta da David Lowell Rich, sceneggiatura di Suzanne Clauser, le cui recensioni americane non segnalano per meriti particolari.

Susan Dey e William Shatner, nella foto, sono risultati credibili come Jo e il prof. Bhaer.

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Little Women (2017)
Diretto da Vanessa Caswill, sceneggiatura di Heidi Thomas

Questo recente adattamento in tre parti della BBC vede come protagonista Maya Hawke,  figlia di  Uma Thurman-Ethan Hawke, nel ruolo di Jo March. Emily Watson interpreta la matriarca zia March e di marzo, e Kathryn Newton è Amy March (che Greta Gerwig (!) aveva già diretto in Lady Bird).

Questa versione, che coscientemente sceglie un taglio più alleggerito ma non prescinde, anzi dà per scontato il testo scritto, può cogliersi una maggiore coralità d’insieme e una nota di freschezza dovuta alle giovanissime attrici emergenti che impersonano le quattro sorelle March, ai costumi e alla scenografia accattivante. I grandi nomi che sono stati loro affiancati, oltre ad arricchire il cast e impreziosire la caratterizzazione dei personaggi più adulti, hanno il pregio secondo me di non oscurare gli altri. Il film è stato interamente girato in Irlanda nel mese di agosto, lontanissimo quindi da luoghi e condizioni ambientali originali ma gli interni curatissimi e gli ambienti ricreati sapientemente confermano la famosa attenzione per i particolari e la ricostruzione storica della produzione inglese.

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La sceneggiatura non ha apportato novità significative, anzi piuttosto il contrario visto che, operando qualche taglio o salto temporale, si rivela a volte troppo sbrigativa o criptica. Ci guadagna in compenso la narrazione per immagini che invece sono molto evocative. Rispetto alle precedenti versioni cinematografiche, con le quali non ritengo opportuno stabilire paragoni, trattandosi di prodotti e fatture troppo diversi, alcuni personaggi sono stati meglio approfonditi (Mrs March per esempio ha i suoi momenti di debolezza che la rendono meno perfetta e più umana, e molto più somigliante alla vera Marmee), mentre altri, come Laurie, risultano penalizzati.

Il risultato finale è indubbiamente più vicino e rispondente al gusto moderno,  e tutt’altro che deludente nella sua visione complessiva, e anche se si tratta di una storia cara, più volte raccontata, beneficia di un’aurea di tenerezza e calore umano che circondano da sempre i valori familiari propugnati da Louisa May Alcott.

 

Little Women (2018)

Regia di Clare Niederpruem. Un film con Lea Thompson, Lucas Grabeel, Ian Bohen, Melanie Stone, Stuart Edge, Elise Jones.

Una nuova versione cinematografica del romanzo di Louisa May Alcott, che al Box Office Usa Little Women ha incassato nelle prime 2 settimane di programmazione 1,3 milioni di dollari e 747 mila dollari nel primo weekend, e che racconta la storia delle quattro sorelle March in chiave moderna.

Uscito in occasione del 150 ° anniversario della pubblicazione del romanzo, questa versione ottiene consensi per aver scelto Lea Thompson come Marmee ma convince meno per l’attualizzazione del romanzo che è stata scelta e che fa decisamente rimpiangere le atmosfere del romanzo classico.

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Osservazioni

Dopo tutte queste versioni cinematografiche direi che una costante le accomuna tutte e cioè il fatto di non aver mai azzardato l’uso di un diverso titolo: credo che sia uno dei rarissimi casi in cui  il titolo originale sia da considerarsi intoccabile!

Dalla seconda versione in poi, il paragone con il precedente è stato inevitabile ed è stato sempre pagato lo scotto a favore del primo, definito puntualmente indimenticabile, insuperabile.

Ciascuno di noi ha la sua versione preferita, il suo film del cuore. Gusti, impressioni, sensibilità diverse, fanno sì che una di esse rivesta per noi un valore speciale o sia legata a un ricordo particolare. Così come che si possa essere più o meno d’accordo con determinati aspetti, soluzioni, scelte dovute alla trasposizione su pellicola, non ultimo con il messaggio che il regista ha voluto di volta in volta comunicare.

Piccole donne rimane un gran bel libro, che fa parte della nostra vita,  in cui ogni  generazione di gioventù continua a ritrovarsi, un Classico con la maiuscola che come tale sarà Eterno, e difficilmente sarà eguagliabile. Non stupisca allora, ma anzi inorgoglisca, che anche il cinema del secondo millennio gli rende omaggio!

*****

Credo vada menzionato, per gli amanti del genere e per onorare i nostri ricordi d’infanzia, il Cartone Animato del 1987

Una per tutte, tutte per una (愛の若草物語 Ai no wakakusa monogatari?, lett. “Storia di gioventù e d’amore”), è un anime prodotto dalla Nippon Animation nel 1987 in 48 episodi e ispirato al romanzo Piccole donne di Louisa May Alcott e in piccola parte dal successivo Piccole donne crescono. Di questo anime è stato prodotto un sequel nel 1993 dal titolo Una classe di monelli per Jo tratto dai successivi romanzi, Piccoli uomini e I ragazzi di Jo.

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Link:

https://www.blogfrivolopergenteseria.it/2015/11/langolo-dei-film-piccole-donne.html?fbclid=IwAR0BhmccefFMLTDCqzv9ar8NsE0dX-hDTtCCcOTMRzrTF-h2_Q5HTLDEIFg

https://news.letterboxd.com/post/187019729548/ranking-little-women

https://ipiaceridellalettura.wordpress.com/2018/05/12/little-women-sceneggiato-bbc/

Piccole Donne – Versione del 2019

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Complessivamente il film mi è piaciuto moltissimo, è commovente, intenso, e la scelta dei flashback, che mi lasciava un po’ perplessa, invece mi ha convinto perché erano ben collegati e perché ha dato alla narrazione un taglio diverso rispetto alle precedenti versioni. Il film infatti inizia con Jo che si trova già a New York -siamo già in Piccole Donne crescono– e si guadagna da vivere impartendo lezioni alle figlie della sua pensionante e scrivendo racconti. Mano a mano si dipana il filo dei suoi ricordi e il passato spiega il presente.

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Per lo spazio riservato a Jo che è la figura centrale e saliente, lo avrei intitolato a lei, ma bisogna riconoscere che anche le altre sorelle hanno ricevuto la loro dose di attenzione prima fra tutte Amy che finalmente viene fuori come personaggio con una sua statura, adatta perfino a tenere testa a quello di Jo.

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Tra i personaggi che mi hanno deluso ci sono Mrs March e il prof. Bhaer. Ho trovato la prima inadatta al ruolo, e rispetto alle precedenti, e per come è stata caratterizzata: rideva troppo per i miei gusti, indossava abiti troppo eleganti ed è stata scelta un’attrice forse troppo giovane (almeno in riferimento alle figlie), come troppo giovane mi sembra Laurie. Devo comunque dare atto alla regista di aver ben messo in evidenza il particolare rapporto di complicità esistente tra lei e Jo che in realtà riflette quello tra Abba e Louisa!

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Altro sconosciuto è risultato il prof. Bhaer: è sparito il compassato professore tedesco con i suoi saggi consigli, la sua corte discreta, le sue piccole attenzioni; il doppiaggio è stato pessimo e l’avergli attribuito un accento francese ha peggiorato le cose.  Fisicamente il personaggio non assolve alle caratteristiche con cui tutti noi nel nostro immaginario ci siamo figurate il professore che fa capitolare Jo e la loro scena sotto l’ombrello ha perso parecchio da questo punto di vista, considerato anche l’incitamento dei familiari a inseguirlo (cosa che invece Jo fa spontaneamente nel libro) e la corsa in carrozza delle tre sorelle.

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Quando Jo scrive a casa per raccontare com’è la sua vita alla pensione e le sue nuove conoscenze, lo descrive così:

E’ il vero tipo tedesco, piuttosto massiccio, con capelli castani arruffati, una barba cespugliosa, un bel naso, gli occhi più dolci che abbia mai visto, e un magnifico vocione che fa piacere sentire dopo le nostre voci americane stridule e nasali. Abiti malandati, mani larghe, e tratti del volto che non si possono in verità dire belli, all’infuori dei denti magnifici. Tuttavia mi piace poiché ha una bella testa…

La maestria di Mery Streep mi fa superare le discrepanze rispetto al personaggio tratteggiato da Louisa Alcott riuscendo addirittura a strapparmi più d’un sorriso di simpatia.

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La regista Greta Gerwig si è presa parecchie libertà e licenze che escono dal seminato del libro e fanno storcere il naso ai puristi e agli estimatori  delle precedenti versioni cinematografiche ma sul finale ha esattamente rispettato quello del libro: il sessantesimo compleanno di Mrs March festeggiato a Plumfield!

Una costante rispetto ai precedenti adattamenti è rappresentata dal rev. March: lui sì che può essere considerato un punto fermo, la sua parte assolutamente secondaria è assicurata!

Saoirse Ronan è bravissima e coinvolgente: la sua Jo è spesso alter ego di Louisa May Alcott, stando alle affermazioni e ai sentimenti dimostrati. Ci sono infatti degli innesti biografici che mi inducono a crederlo, almeno sulla base del libro di Martha Saxton, Louisa May Alcott. Una biografia di gruppo, edito da Jo March, che sto leggendo proprio in questi giorni da cui sembra tratta in effetti l’emozionante scena in cui Jo, dopo aver scritto ininterrottamente per giornate intere, senza mai correggere o ripensare una sola parola, assiste alla stampa della prima edizione del suo Piccole Donne, forte di aver rifiutato di cedere al suo editore i diritti d’autore.

Prima di cimentarsi in un romanzo per ragazze Louisa, che nel frattempo aveva accettato di lavorare per la rivista Merry’s Museum, scrisse un racconto che  narrava di Nan, Lu, Beth e May che offrivano in dono la loro colazione ai vicini poveri. Contrariamente al suo solito ne fu soddisfatta e il giorno del suo trentacinquesimo compleanno contava i soldi guadagnati da poter inviare a casa. Fu questa la prova generale dell’inizio della sua carriera come scrittrice di successo proprio in un genere in cui non si sentiva portata.

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Consiglio a tutti di vedere il film -che è candidato all’Oscar!- e di non farsi distogliere dai giudizi altrui.

Non sono un critico cinematografico e i miei rilievi vanno considerate delle semplici osservazioni che mi sono sentita di condividere allo scopo di invogliare alla visione che rimane un’esperienza oltremodo emozionante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi Marchesa Colombi

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SINOSSI

Nella Milano dell’Ottocento, Fulvia e Massimo intrecciano una tormentata e appassionata storia d’amore. Fulvia è una giovane cantante di talento, in tournée teatrale. Moderna e originale, viaggia da sola ed è circondata da numerosi spasimanti. La presenza nella sua vita di Massimo, avvocato dal carattere ardente, la lontananza e la freddezza di Welfard, suo promesso sposo, e la malattia di un padre adorato ma depositario delle vecchie convenzioni sociali accenderanno in lei un conflitto di difficile risoluzione, che vedrà da un lato le sue aspirazioni personali e artistiche e dall’altro le aspettative esterne. In una società fatta di apparenze e preconcetti, il rapporto tra i sessi sembra trasformarsi in una messinscena che altera l’autenticità dei sentimenti e la naturalezza dell’esistenza. In questa complessità, la Marchesa Colombi accosta abilmente verità e finzione, elementi di vita possibile e scene da romanzo, non mancando di farci conoscere il suo punto di vista.

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Il romanzo si apre con un’atmosfera  da Rivista, perché lei è una cantante lirica contornata da uno stuolo di corteggiatori tra cui Max,un giovane avvocato viveur, e oscilla tra due poli antitetici di calma e passione, rassegnazione e impeto, o come meglio indica il titolo: Tempesta e Bonaccia.

Con questo titolo non solo credo che la scrittrice abbia voluto fare riferimento alla duplicità dei registri narrativi che si alternano nelle voci di Max e di Fulvia, ma anche dei loro stati d’animo continuamente cangianti e incostanti, ora in preda a sentimenti violenti, ora prostrati dal rimorso e dall’inedia.

L’ho trovato un romanzo molto vicino alla Scapigliatura, movimento culturale sviluppatasi a Milano in quel periodo, la cui poetica e certi accenti sentimentali  la Marchesa Colombi doveva aver assorbito.

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(Per approfondire la Scapigliatura: https://ipiaceridellalettura.wordpress.com/2018/08/13/la-scapigliatura-e-il-6-febbraio-1853-di-cletto-arrighi/)

Tempesta e bonaccia esprimono metaforicamente anche le contrapposte personalità dei due uomini tra cui Fulvia è combattuta, con una preoccupante oscillazione che non sono sicura abbia schivato  i colpi affilati dell’ironia tagliente della Marchesa.  L’esile  vascello di Fulvia ricerca l’avventura e l’emozione della Tempesta disdegnando inizialmente la Bonaccia ma poi imparando ad apprezzarne la pacifica certezza.

Max è lo spasimante impetuoso, passionale, irruente mentre il fidanzato, Welfard, suo insegnante di canto, è pacato, misurato, discreto, freddo anche perché di nazionalità tedesca,secondo lo stereotipo. Fulvia subisce il fascino del primo che inizialmente oscura le rassicuranti qualità dell’altro, ma una trama sufficientemente articolata e avventurosa le consente di giungere a una decisiva consapevolezza.

I due impersonano forse le due fasi dell’amore come Fulvia cerca di spiegare in questo passo?

Forse l’amore è un episodio tempestoso; non altro. Due persone s’incontrano; dopo un tempo più o meno lungo s’accorgono d’amarsi; se lo dicono; sono felici di quel sentimento: ma quello stato d’esaltazione non dura, e, cessata l’esaltazione, è cessato l’amore. La costanza, che si traduce in quell’affetto lemme lemme, da cui sono avvinti gli sposi, è un portato della civiltà, e ne abbiamo bisogno per la tutela della prole. Ma in natura non esiste. Ed infatti vediamo che tutti gli animali si amano per un dato periodo di tempo poi diventano stranieri gli uni agli altri (cap. VIII).

Il sottotitolo suggerisce anche un’altra chiave di lettura: Romanzo senza eroi, quasi volendo porsi in aperta antitesi a tutta la tradizione letteraria che aveva eletto a fulcri delle storie dei protagonisti nobili e senza macchia, indefessi e costanti, financo statici e perfetti.

Al cap. XXVII l’autrice sembra confermarlo:

E pensavo a quei romanzi che fanno tanto dispetto a leggerli, perché vi si vedono esseri che potrebbero essere felici purché si spiegassero francamente, ed invece si sacrificano per una fedeltà esagerata, ad un principio e ad una promessa che farebbero assai meglio a revocare, nell’interesse stesso della persona a cui l’hanno impegnata. Noi eravamo appunto in quella circostanza. Ci sacrificavamo; perché? Per fare un romanzo?

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In questo racconto non ci sono gesta eroiche né esseri umani ideali ma persone comuni, piene di difetti messi a nudo, nonostante essi facciano del tutto per dare bella mostra di sè e presentarsi al meglio, proclamare le più ardenti e fedeli manifestazioni d’amore e poi liquidare con poche parole i repentini voltafaccia e le promesse infrante.

Io non so dove trovino gli scrittori quei caratteri chiari, coerenti, che, una volta descritti, agiscono sempre a seconda delle passioni e dei sentimenti predominanti che hanno rivelati . Nel mondo non è così. Si trovano nature fluttuanti in una perpetua alternativa di bene di male, di coraggio e di debolezza, di passione generosa e prepotente, e d’egoismo calcolato e freddo (cap. XX). 

Definito una divertente commedia romantica, in cui Marchesa Colombi si fa beffe di un certo genere di sentimentalismo esasperato tipico del movimento romantico più estremo, lascia in bocca un retrogusto amaro dovuta alla rappresentazione di una società dalla morale e dai rapporti interpersonali discutibili.

https://blog.libero.it/angolodijane/10942200.html

Questo romanzo della Marchesa Colombi è stato pubblicato nell’alveo di nuovo progetto editoriale made in flower-ed: Scrittrici, una collana che ospiterà le opere di narrativa delle autrici italiane che scrissero tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, con l’intento di recuperare, conservare e diffondere una tradizione letteraria femminile ancora poco conosciuta.

La lettura di questo suo romanzo non ha fatto altro che stimolare la mia voglia di conoscere meglio questa singolare scrittrice italiana.

Marchesa Colombi, “Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi”, coll. Scrittrici, vol. 1, flower-ed 2019
https://www.amazon.it/dp/8885628680

Marchesa Colombi

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La Marchesa Colombi, al secolo Maria Antonietta Torriani, nacque il primo gennaio 1840 nel cuore del centro storico di Novara.

Morto prematuramente il padre, dopo sei anni la madre, Carolina, insegnante, che aveva cercato di tirare avanti mandando  le due bambine (Giuseppina e Maria Antonietta) in collegio, si risposa con un amico di famiglia, il settantenne Martino Moschini. Dalle loro nozze nacque Tomaso Giuseppe, preconcepito, che le due sorelle soprannomineranno il “vecchino”. Il matrimonio non fu di lunga durata. Carolina morì nel 1853 e il Moschini si trovò a dover tirare su i tre ragazzi con l’aiuto di alcune vecchie parenti. Questa condizione familiare ritornerà spesso nei romanzi della Marchesa Colombi così come la mentalità antiquata e ottusa del patrigno secondo il quale Giuseppina e Maria Antonietta erano destinate a diventare mogli, madri e massaie perfette.

Una donna non poteva pretendere di più, era stabilito dall’ordine naturale delle cose. La mente femminile, più sensibile e instabile rispetto a quella maschile, non era in grado di sostenere grandi sforzi, né di formulare pensieri razionali e aveva bisogno di essere guidata.

Nel romanzo Un matrimonio in provincia viene ben esplicitata:

E’ difficile immaginare una gioventù più monotona, più squallida, più destituita d’ogni gioia della mia. Ripensandoci, dopo tanti e tanti anni, risento ancora l’immensa uggia di quella calma morta che durava, durava inalterabile, tutto il lungo periodo di tempo, da cui erano separati i pochissimi avvenimenti della nostra famiglia.

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Questa concezione dell’intelligenza femminile era confermata anche dal sistema giuridico in vigore: la Legge Casati del 1859 escludeva le donne dall’istruzione superiore e il Codice Pisanelli del 1865, il primo Codice Civile dell’Italia unita, stabiliva che una donna non poteva fare nulla senza l’autorizzazione maritale.

Maria Antonietta compie i suoi primi studi a Novara alle scuole Cannobbiane e al Civico Istituto Bellini d’Arti e mestieri. A poco più di vent’anni, considerata dai suoi stessi familiari una zitella scriteriata e testarda, preferisce ritirarsi in convento che rassegnarsi a un matrimonio di convenienza. Viene spedita nel monastero di clausura benedettino Mater Ecclesiae, a Miasino sul lago d’ Orta, ma fin da subito soffre la stretta disciplina rigida e soffocante. Intanto studiava e scriveva.

Mentre Giuseppina si uniformò a quanto la società richiedeva da lei, alla morte di Moschini, Maria Antonietta, diplomata insegnante elementare, parte alla volta di Milano: ha 25 anni ed esordisce come giornalista scrivendo per numerose riviste Il Passatempo. Letture mensili per famiglie, La Donna, Gazzetta del PopoloL’Illustrazione ItalianaLa domenica letteraria,  Giornale dei bambini sono solo alcune testate. La sua produzione giornalistica era variegata, spaziava dai racconti alle poesie, dagli articoli di critica letteraria a quelli di costume fino alle recensioni.

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Ebbe alcune relazioni sentimentali con personaggi legati alla letteratura fra i quali Enrico Panzacchi e Giosuè Carducci che le dedicò Autunno romantico in Rime nuove.
La relazione con il Carducci finì quando la Torriani gli presentò la sua amica poetessa Carolina Cristofori Piva, la quale a furia di scrivergli lettere e poesie lo aveva sedotto al punto di diventare la Lidia delle Odi Barbare e la sua musa.

Sposò il 30 ottobre 1875, lei vestita con un abito rosa,  il giornalista napoletano Eugenio Torelli Violler, di alcuni anni più giovane. A chi le chiese come era andata la prima notte di nozze, rispose con quello spirito indipendente che la contraddistingueva: «La prima notte di nozze? Be’ non era la prima volta che dormivo con Eugenio».

Quando l’anno successivo uscì il primo numero de Il Corriere della Sera, Eugenio Torelli Violler volle che figurasse come prima giornalista donna proprio la moglie che curava la rubrica Lettera aperta alle signore.

Dagli anni ’70 dell’Ottocento la Torriani andò ad affiancare all’attività giornalistica anche quella narrativa, arrivando a pubblicare in volume oltre quaranta opere tra romanzi, raccolte di racconti, favole per bambini (In risaia. Racconto di Natale, 1877, Serate d’inverno, 1879, I bambini per bene a casa e a scuola, 1884, I ragazzi d’una volta e i ragazzi di adesso, 1888, Cara Speranza, 1888, Le gioie degli altri, 1900) e addirittura melodrammi (La creola e Il violino di Cremona, 1888).I suoi maggiori successi furono il galateo La gente per bene. Leggi di convenienza sociale, che raggiunse ben ventisette edizioni tra 1877 e 1901, e il romanzo Un matrimonio in provincia del 1885, considerato la sua opera più autobiografica, tradotto in varie lingue e da cui nel 1980 fu tratto anche uno sceneggiato per la televisione. Per il teatro scrive nel 1882 due testi, La creola, in collaborazione con Eugenio Torelli Violler, e Il violino di Cremona.

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Colonne portanti del lavoro della scrittrice erano lo stile ironico, usato per scardinare le consuetudini della sua epoca e che può ricordare la britannica Jane Austen; la predilezione per le tematiche veriste riguardanti la condizione femminile e la volontà di contribuire con i suoi scritti alla costruzione nelle donne di una coscienza basata sulla dignità e sulla consapevolezza di sé.

Nei suoi libri, più di 40 pubblicati, i ritratti di donne delle più svariate condizioni sociali, dalle mondine, alle serve, alle signore della alta e media borghesia, di provincia o di città, sono attraversati da uno sguardo lucido e disincantato che stupisce e che rivela la modernità della donna – autrice, dal carattere intraprendente, forte e disinvolto, gelosa della sua indipendenza.

La coppia condivideva la passione per la letteratura e l’attitudine alla riservatezza, che teneva i coniugi lontani dalla mondanità, ma non impediva loro di frequentare i salotti intellettuali in cui erano molto richiesti e dove potevano confrontarsi con artisti come Giovanni Segantini o scrittori del calibro di Giuseppe Verga.

Quella signora esile e spigolosa che Giovanni Segantini, amico della coppia, volle ritrarre à la parisienne, con un vezzoso ombrellino quasi per addolcirne i tratti (tela in mostra), sarà la signora Torelli per l’anagrafe, ma per tutti sarà la Titti o, meglio ancora, la marchesa Colombi, pseudonimo con il quale l’insegnante di (umili) origini torinesi firmò i suoi articoli sul principale quotidiano italiano.

Giovanni Segatini

Lei si firmava Marchesa Colombi e anche la carta da lettere che utilizzava riprendeva questo soprannome nell’intestazione, su cui erano raffigurate due colombe sormontate dalla corona. Questo nom de plume venne desunto dalla commedia storica in quattro atti intitolata La Satira e Parini dello  scrittore modenese Paolo Ferrari (1856) di cui uno dei protagonisti era proprio  il Marchese Colombi, famoso per il suo favellare spontaneo e bizzarro che catturò le simpatie della  scrittrice piemontese ironica e schietta. 

Donna emancipata (fu stretta collaboratrice della protofemminista Anna Maria Mozzoni), capace di passare con disinvoltura dalla scrittura alla pittura, dal romanzo sociale ai libri per fanciulli, alle operette morali; penna arguta, tanto da aver dato vita ad una delle chiuse più formidabili della letteratura italiana, proprio in Un Matrimonio in Provincia, con quel suo memorabile:

Il fatto è che ingrasso

L’unione non era destinata a durare e i due, senza figli, si separarono;  il loro sodalizio sentimentale e professionale finì a causa del suicidio di Eva, la giovane figlia della sorella Giuseppina, che avevano praticamente adottato. Le attenzioni di Torelli Voiller per Eva suscitarono ben presto la gelosia della Torriani, che la sentiva come una rivale. Le punzecchiature fra le due erano continue, finché una sera, la ragazza, umiliata dalla zia in casa di amici, colta da un raptus, si gettò dalla finestra, uccidendosi. Da quel momento marito e moglie si tormentarono con accuse reciproche fino ad arrivare, pochi mesi dopo la tragedia, alla separazione.

La Marchesa Colombi continuò la sua attività di giornalista e autrice, ma all’inizio del Novecento decise di ritirarsi dalla vita pubblica. Lasciò Milano e si stabilì a Torino dove comprò anche una villa a Cumiana per stare vicino al fratello Tomaso e ai nipoti. Si spense il 24 marzo 1920 e, dopo un lungo periodo di oblio, la Marchesa Colombi è stata riscoperta grazie a Natalia Ginzburg e a Italo Calvino che nel 1973 inserirono Un matrimonio in provincia nella collana Centopagine dell’editore Einaudi, definendo la Torriani “un’autrice che sa farsi ascoltare qualsiasi cosa racconti”, tra le più significative e originali nel panorama letterario italiano dell’Ottocento.

Una delle tante scrittrici italiane donne che hanno illuminato la letteratura italiana a cavallo tra la metà del XIX secolo e i primi decenni del XX e inopinatamente obliterate dalla lista del canone letterario del nostro paese (Antonia Arslan, nel suo saggio Dame, Galline e Regine – la scrittura femminile italiana tra ‘800 e ‘900, le ha definite «una galassia sommersa»).Trascurate, dimenticate, relegate a narratrici di terza classe, scribacchine per cameriere e casalinghe incolte, o cultori della scrittura femminile, per non dire femminista (che non sono sinonimi, attenzione),coprono, tuttavia, lo spazio che in altri paesi europei è stato occupato dal grande romanzo borghese, affrontando temi solo apparentemente popolari, ma di fatto qualitativamente rilevanti sia sotto il profilo sociale (basti pensare a un altro suo romanzo, In risaia, che affronta, in pieno clima neorealistico, il tema della condizione delle mondine), restituendo forse, al pari o più dei Verga e dei D’Annunzio, la reale fotografia dell’Italia di quei tempi.

Per la bibliografia:

http://www.maldura.unipd.it/italianistica/ALI/torriani.html

Per consultare le opere disponibili:

https://www.liberliber.it/online/autori/autori-m/marchesa-colombi-alias-maria-antonietta-torriani-torelli-viollier/

Seguite il blog: http://marchesacolombi.altervista.org/

e la pagina FB https://www.facebook.com/pg/marchesacolombi/posts/

Mi hanno aiutato a scrivere l’articolo: 

https://rivistasavej.it/maria-antonietta-torriani-alias-la-marchesa-colombi-30bc08d293f3

https://www.finzionimagazine.it/libri/the-godmother/marchesa-colombi/

https://40blogsite.wordpress.com/2019/03/08/un-matrimonio-in-provincia-di-marchesa-colombi/

Maria Antonietta Torriani

https://27esimaora.corriere.it/articolo/maria-antonietta-torriani-la-signora-delleditoria-paladina-delle-donne/

Quanti libri in uscita a gennaio 2020!!!

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EDIZIONI JO MARCH

Per le lettrici e i lettori appassionati di Lucy Maud Montgomery, l’anno 2020 si aprirà in bellezza: le Edizioni Jo March faranno uscire un’altra storia affascinante delle sue, Un’intricata matassa

Lucy Maud Montgomery, con questo nuovo romanzo per adulti, torna a stupirci e a farci ridere, ma soprattutto torna a farci riflettere sul profondo significato delle nostre esistenze.

La zia Becky, ormai prossima alla morte, indice un’ultima levée (riunione) in cui darà lettura del proprio testamento. Gli eccentrici membri delle famiglie Dark e Penhallow accorrono tutti alla chiamata, per sapere che cosa spetterà loro in eredità, ma soprattutto per conoscere il destino del cimelio più ambito, la vecchia brocca dei Dark, oggetto simbolo del clan.
Ma Zia Becky, che nella sua esistenza non ha mai perso occasione per essere mordace, per il suo gran finale ha in serbo un ultimo colpo di scena. Arrivati al momento più atteso lascerà tutti di stucco…

Un’intricata matassa vi aspetta -anche- in libreria da gennaio 2020, nella traduzione di Elisabetta Parri e con l’introduzione di Cristiano Ragni per Jo March 2020, pp. 332, al costo di euro 15,00.

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CARAVAGGIO EDITORE

A seguire, Caravaggio Editore ci delizierà con Kilmeny del frutteto, a cura di Enrico De Luca:

Kilmeny del Frutteto è il terzo romanzo di Lucy Maud Montgomery, scritto dopo l’enorme successo di Anne di Tetti Verdi e Anne di Avonlea e da novembre scorso, anche Cronache di Avonlea: DA NON PERDERE!

Ma torniamo a Kilmeny del frutteto: è ambientato sull’amata Isola del Principe Edoardo e… Indovinate un po’? Sarà la primissima uscita dei Classici Ritrovati nel nuovo anno!
Da fine gennaio 2020 sarà possibile leggere, per la prima volta in Italia in edizione integrale e annotata, questo bellissimo idillio che fu accolto all’epoca (1910) da recensioni entusiaste e che venne definito un poema in prosa.

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Nel frattempo, sempre rimanendo in casa Caravaggio Editore,  sono quasi terminati i lavori sulla prima Ametista della Collana GEMME, inaugurata nel dicembre dell’anno appena trascorso.

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Si tratta di un racconto del terrore davvero molto particolare, anche in questo caso, come per La Stanza rossa e altre storie di fantasmi di Lucy Maud Montgomery, scritto dalla penna di un’autrice insospettabile (!). Avremo presto la prima traduzione in italiano a cura di Enrico De Luca @lectorsapiens di un racconto riscoperto, in versione integrale, annotata e corredata da immagini.

Avremo modo di riparlare in seguito di questo racconto sempre su questo blog!

Come per le precedenti GEMME (L’amore dei libri di E. De Amicis e Rilevato dalla macchina fotografica di L. M. Montgomery) potrete acquistare la vostra copia (a tiratura limitata e numerata) esclusivamente sullo store online.

https://www.caravaggioeditore.it/bookstore/

FLOWER-ED

A breve dovrebbe essere disponibile  Il romanzo della foresta, primo grande successo di Ann Radcliffe. Pubblicato la prima volta nel 1791, sarà disponibile in italiano nella traduzione di Marianna Bellettini grazie a flower-ed. 

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Lo trovate alla sezione Libri in arrivo:

https://www.flower-ed.it/?route=information/information&information_id=20

A dicembre è stato annunciato  un nuovo progetto editoriale made in flower-ed: Scrittrici, una collana che ospiterà le opere di narrativa delle autrici italiane che scrissero tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, con l’intento di recuperare, conservare e diffondere una tradizione letteraria femminile ancora poco conosciuta. Attraverso la lettura dei loro romanzi e racconti potremo conoscere il mondo delle donne che vissero in quella nuova società post-unitaria, aggiungere ulteriori tasselli alla nostra formazione e, soprattutto, vivere con una maggiore consapevolezza personale. Il primo volume è firmato Marchesa Colombi, di cui flower-ed ha già pubblicato il delizioso galateo “La gente per bene“, e si intitola Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi. 

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Nella Milano dell’Ottocento, Fulvia e Massimo intrecciano una tormentata e appassionata storia d’amore. Fulvia è una giovane cantante di talento, in tournée teatrale. Moderna e originale, viaggia da sola ed è circondata da numerosi spasimanti. La presenza nella sua vita di Massimo, avvocato dal carattere ardente, la lontananza e la freddezza di Welfard, suo promesso sposo, e la malattia di un padre adorato ma depositario delle vecchie convenzioni sociali accenderanno in lei un conflitto di difficile risoluzione, che vedrà da un lato le sue aspirazioni personali e artistiche e dall’altro le aspettative esterne. In una società fatta di apparenze e preconcetti, il rapporto tra i sessi sembra trasformarsi in una messinscena che altera l’autenticità dei sentimenti e la naturalezza dell’esistenza. In questa complessità, la Marchesa Colombi accosta abilmente verità e finzione, elementi di vita possibile e scene da romanzo, non mancando di farci conoscere il suo punto di vista.

Ma in anteprima possiamo svelare che presto arriverà per noi anche In risaia, un altro romanzo della Marchesa Colombi. La storia di una giovane ragazza in età da marito che per va a lavorare nelle risaie per guadagnare il necessario per guadagnare il necessario per comprare gli spilloni d’argento da mettere fra i capelli. Era un’usanza contadina che stava a indicare che la ragazza era appunto in età da marito. Poi le cose non vanno per niente come previsto…

Vi ricordo che il sito della casa editrice flower-ed prevede anche una sezione dedicata ai libri in regalo: Potete andare a sbirciare se c’è qualche titolo che fa al caso vostro o stuzzica la vostra curiosità! E’ un regalo!

https://www.flower-ed.it/?route=product/category&path=105

LITERARY ROMANCE

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Sono da poco trascorse le feste natalizie e la giovane e dinamica collana editoriale Literary Romance, torna a proporci nuove storie appassionanti: per questo inizio d’anno ha in serbo per noi un romance storico di Marcella Ricci, un romance contemporaneo di Sabina Di Gangi  e uno ironico di Sarah Arenaccio che andranno ad implementare il già ricco catalogo: 

I nostri titoli

EDIZIONI CROCE

Le Edizioni Croce hanno risposto al nostro appello dandoci una importantissima anticipazione su quella che sarà la loro prossima pubblicazione:

Tutte le novelle di Maria Messina, un’opera monumentale che accoglierà tutta la scrittura breve della Messina, sia i titoli che ella aveva messo in raccolta, sia titoli finora usciti in rivista nei primi anni del Novecento. Il volume è curato da un importante studioso di Giovanni Verga, il quale ben conosce la scrittura verista, Antonio Di Silvestro, professore presso l’università di Catania.

Dopo i romanzi Alla Deriva, Le Pause della vita, Primavera senza sole, Un fiore che non fiorì, un’opera davvero considerevole, un libro di più di seicento pagine, con un corposo studio e la prima bibliografia critica completa di cui si sentiva decisamente la mancanza nel panorama letterario italiano. Fra pochissimi giorni saranno svelate sinossi e cover!

Tenete d’occhio il sito: http://www.edizionicroce.it/

ELLIOT EDIZIONI

Il 13 gennaio uscirà una nuova edizione Elliot di Nord e Sud scritto dalla incantevole penna di Elizabeth Gaskell:  traduzione a cura di Giancarlo Carnevale e Sara Staccone (p. 511, € 19,50).

Classico della migliore letteratura inglese, Nord e Sud racconta la travagliata storia d’amore tra John Thornton e Margaret Hale, complicata da orgoglio e pregiudizi di sapore austeniano e dalle nuove istanze sociali di un’Inghilterra in piena industrializzazione. Lui è un facoltoso proprietario di fabbriche tessili, simbolo della nuova borghesia capitalista di una cupa cittadina nel Nord industriale. Lei è la figlia di un curato trasferitosi dal Sud rurale e tradizionalista, intriso di morale cristiana e ancora governato dall’aristocrazia dei proprietari terrieri. Due caratteri lontani per indole, estrazione e cultura, che da subito si attraggono e respingono tra continui scontri e fraintendimenti in un rapporto complesso, la cui evoluzione appassiona i suoi lettori da oltre un secolo e mezzo. Pubblicato per la prima volta a puntate sulla rivista di Charles Dickens «Household Words» tra il 1854 e il 1855, il romanzo è stato trasposto in due serie televisive di successo della BBC.

Per gli altri titoli si può consultare la pagina web dell’editore, alla sezione news: http://www.elliotedizioni.com/categoria-prodotto/news/

Possiamo però fin d’ora anticipare che a quelli già presentati, si distinguerà L’inserviente di Leon Frapiè, bellissimo romanzo del realismo francese, già premio Goncourt.

NERI POZZA EDIZIONI

Neri Pozza è in uscita il 16 gennaio con l’ultimo romanzo storico, La ricamatrice di Winchester, di Tracy Chevalier (la cui intervista è uscita sul Corriere della Sera il 5 gennaio u.s.) e che ha firmato in passato romanzi molto intensi e coinvolgenti come Strane Creature, L’ultima fuggitiva, La ragazza con l’orecchino di perla, per citarne alcuni.

 

Tradotto da: Massimo Ortelio

Pagine: 288

Prezzo: €18,00

Winchester, 1932. A trentotto anni Violet Speedwell sembra ormai inesorabilmente destinata a un’esistenza da zitella. La Grande Guerra ha preteso il suo tributo: il suo fidanzato, Laurence, è caduto a Passchendaele insieme a migliaia di altri soldati, e ora le «donne in eccedenza» come lei, donne rimaste nubili e con scarse probabilità di convolare a nozze, sono ritenute una minaccia, se non una vera e propria tragedia per una società basata sul matrimonio.
Dopo essersi lasciata alle spalle la casa di famiglia di Southampton, e le lamentele della sua soffocante madre, ferma all’idea che dovere di una figlia non sposata sia quello di servire e riverire i genitori, Violet è più che mai intenzionata a vivere contando sulle proprie forze.
A Winchester riesce in breve tempo a trovare lavoro come dattilografa per una compagnia di assicurazione, e ad aver accesso a un’istituzione rinomata in città: l’associazione delle ricamatrici della cattedrale.
Fondata dalla signorina Louisa Pesel e diretta con pugno di ferro dall’implacabile signora Biggins, l’associazione, ispirata a una gilda medievale, si richiama a un’antica tradizione: il ricamo di cuscini per i fedeli, vere e proprie opere d’arte destinate a durare nei secoli.

A vent’anni dalla pubblicazione de La ragazza con l’orecchino di perla, Tracy Chevalier torna con un impeccabile romanzo, capace di evocare meravigliosamente l’atmosfera dell’Inghilterra degli anni Trenta e di offrire al lettore una storia senza tempo che «renderebbe orgogliosa Jane Austen» (USA Today).

FAZI EDITORE

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Per le nuove uscite Fazi Editore nel mese di gennaio, figurano diversi titoli ed è  possibile conoscerli consultando la sezione apposita del sito https://fazieditore.it/prossime-uscite/ dove compaiono i nomi di Fay Weldon con Le peggiori paure, Lionel Duroy con Eugenia e altri.

NEWTON & COMPTON

Torna nelle librerie Cinzia Giorgio con il suo ultimo romanzo,  previsto in uscita il 27 gennaio, intitolato: I migliori anni, per la Newton & Compton Edizioni (p. 320, € 9,90): un’appassionante saga familiare. Le vicende di una famiglia nell’Italia del Novecento. In un’epoca di violenza ha inseguito i suoi sogni e lottato per i suoi sentimenti. La storia di una donna forte e del suo coraggio.che porta con sé il ricordo di un grande amore. Di Cinzia Giorgio hanno detto che riesce sempre a farti sentire protagonista della storia,

Aprile 1975. A soli quarantotto anni, Matilde Carbiana sta per diventare nonna. Il nipote ha deciso di nascere proprio il giorno del suo compleanno. Eppure, quello che dovrebbe essere un momento di grande gioia pare turbarla. E il turbamento arriva da lontano…
Estate 1943. La cittadina di Venosa è occupata dai nazisti, che terrorizzano gli abitanti. Matilde, giovane e determinata, non ha intenzione di rimanere confinata nella provincia lucana: vuole convincere il padre, viceprefetto della cittadina, a lasciarla andare a Bari per completare gli studi. Fausto Carbiana accetta, ma a patto che la accompagni suo fratello Antonio. A Bari, nella pensione che li ospita, vivono altri studenti, tra cui Gregorio, un giovane medico. L’antipatia iniziale che Matilde nutre per lui si trasforma ben presto in un sentimento profondo. Ma la guerra e gli eventi avversi rischiano di separarli proprio quando hanno capito di non poter più fare a meno l’una dell’altro. Matilde si troverà suo malgrado di fronte a scelte più grandi di lei, che cambieranno per sempre la sua vita. E non soltanto la sua…

Mi pare abbastanza per ora.

Per il resto, mano al portafoglio o meglio, alla carta e…

 

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Perché questo è solo l’inizio. Preparatevi ad altre strabilianti novità che le varie sigle editoriali, fabbricatrici di felicità, hanno in serbo per noi.

 

Shopping natalizio Literary romance

Libri & nuvole

Avete già pensato ai regali per Natale ?

La Literary romance ha in serbo per voi due libri che potrebbero fare al vostro caso, da regalare alle vostre amiche innamorate dei romance o da comprare per voi!

SCARLETT DOUGLAS SCOTT

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data di uscita prevista per 02/12

Natale sta arrivando e, a casa di Alex, fervono i preparativi. Questa volta, Miss Gray ha deciso di fare le cose in grande accogliendo i suoi più cari amici sotto lo stesso tetto per festeggiare insieme la ricorrenza più speciale dell’anno.

La zia Celandine e Lord Clerke, appena tornati dal viaggio di nozze decidono di trascorrere le vacanze insieme ai loro parenti dell’Essex mentre Frank è atteso da un momento all’altro.

Non tutto va…

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La dodicesima notte

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La dodicesima notte è una festa che si svolge nell’ultima notte dei dodici giorni di Natale, segnando l’avvento dell’Epifania.

Nel 567 il Consiglio di Tours proclamò che l’intero periodo tra Natale ed Epifania doveva essere considerato parte della celebrazione, creando ciò che divenne noto come i dodici giorni di Natale, o ciò che gli inglesi chiamavano Christmastide. L’ultimo dei dodici giorni è chiamato Twelfth Night.

Una tradizione popolare della dodicesima notte era quella di avere un fagiolo e un pisello nascosti all’interno di una torta della dodicesima notte ; “l’uomo che trova il fagiolo nella sua fetta di torta diventa re per la notte mentre la signora che trova un pisello nella sua fetta di torta diventa regina per la notte”, nota anche come il Signore o la Signora della Misrule.

Al tempo di Shakespeare, c’era solo un Lord of Misrule, scelto dal fagiolo nascosto, riflesso nella sua opera teatrale  Twelfth Night . 

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La dodicesima notte, o What You Will, è una commedia romantica di William Shakespeare , che si ritiene sia stata scritta intorno al 1601-1602 come intrattenimento della dodicesima notte per la chiusura del periodo natalizio. Il gioco è incentrato sui gemelli Viola e Sebastian , che sono separati in un naufragio. Viola (travestita da Cesario) si innamora del duca Orsino, che a sua volta si innamora della contessa Olivia. All’incontro con Viola, la contessa Olivia si innamora del suo pensiero di essere un uomo.

La dodicesima notte o What You Will (per dare il titolo completo all’opera teatrale) fu probabilmente commissionata per esibirsi come parte delle celebrazioni della dodicesima notte tenute dalla regina Elisabetta I a Whitehall Palace il 6 gennaio 1601 in occasione della fine dell’ambasciata del diplomatico italiano , il duca di Orsino.

La prima esibizione pubblica ebbe luogo nella Middle Temple Hall , una delle locande di corte , il 2 febbraio (notte di Natale) nel 1602, registrata in un’iscrizione nel diario dell’avvocato John Manningham , che scrisse:

Alla nostra festa abbiamo fatto uno spettacolo teatrale intitolato “Twelve Night, o What You Will”, molto simile a ” La commedia degli errori ” o ” Menaechmi ” di Plauto, ma molto simile e vicino ad una commedia  in italiano chiamata ” Inganni”. Una buona pratica per far credere all’amministratore che la sua vedova fosse innamorata di lui, contraffacendo una lettera come da sua signora, in generale dicendogli cosa le piaceva di più in lui, nel sorridere, nel suo abbigliamento, ecc. e poi, facendogli credere che lo prendessero per matto.

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Questa festa viene celebrata in diversi paesi del mondo con cibi e bevande caratteristiche.

Il wassail  viene consumato soprattutto nella dodicesima notte e per tutto il periodo natalizio, specialmente nel Regno Unito, era un liquore che conteneva molto alcool (e che agiva un po’ come un pugno nello stomaco), portato a tavola nella caratteristica bowl (una grossa coppa) e bevuto caldo.  La parola wassail deriva dal saluto anglosassone Wæs þu hæl , che significa “be you hale”, ovvero “essere in buona salute”. La risposta corretta al saluto è Drinc hæl che significa “bevi e sii sano”.

Il wassailing viene chiamato l’andare porta a porta ad offrire questa bevanda alcolica ben augurale e cantando inni natalizi in cambio di piccoli doni (wikipedia)

Il piatto forte era la torta riccamente decorata, essenzialmente una ricca torta di frutta contenente brandy, coperta da uno strato di glassa reale dura come una roccia su cui poggiavano figure di zucchero e altre sculture intricate e decorazioni.  All’interno di ogni torta sarebbe stato nascosto, come da tradizione, un grosso fagiolo secco o un pisello.

Alcune torte erano estremamente costose e ogni panettiere o pasticcere  si prodigava al fine di esporne una vetrina maestosa, piena di torte di diverse dimensioni, tutte ricoperte da una meravigliosa lavorazione dello zucchero. C’era una forte competizione tra pasticceri per eccellere sugli altri sia in bellezza che in quantità;  non c’è da meravigliarsi, la vendita di un numero qualsiasi di queste torte su misura significava che un bel gruzzoletto era stato guadagnato quell’inverno!

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La torta della dodicesima notte ha avuto inizio – come hanno fatto molte torte tradizionali – come un pane con lievito, arricchito con frutta secca e birra (vedi anche torta Simnel). Nel corso del tempo, le torte si sono arricchite ulteriormente con brandy o rum e zucchero, conferendole una consistenza molto stretta. Alla fine, furono usati gli agenti lievitanti chimici.

Ecco una ricetta del 1604 di una signora chiamata Elinor Fettiplace:

Prendi un chilo di farina, un’oncia di Cannella, mezza oncia di zenzero, due noci moscate, due chiodi di garofano, di burro una libbra, mescola spezie e farina e frutta insieme, ma altrettanto barme [la schiuma di lievito dalla cima delle botti di birra in fermentazione] come lo illuminerà, quindi prendi una buona Birra, e mettici dentro il burro, lasciandone un poco che poi metterai nel latte, e lascia che il latte cuocia con di burro, per fare un posset  (In origine il posset era un dessert o una bevanda a base di latte cagliato arricchito con zucchero e alcool) con esso, e mettere un po ‘di zucchero.

La torta della dodicesima notte è diminuita in popolarità dall’invenzione della torta natalizia (che, per inciso, è un ibrido tra una torta della dodicesima notte e una torta Simnel, che invece è una torta tipicamente pasquale, la quale contiene molta frutta secca, è meno alcolica e contiene uno strato di marzapane sopra e all’interno ed è decorata con undici palline di marzapane, ciascuna simboleggia i discepoli di Gesù (meno il traditore Giuda ovviamente).

Fonte: https://britishfoodhistory.com/2019/…/05/twelfth-night-cake/

Alcuni giochi in voga:

Il foglio mostra anche numeri e simboli per una sorta di Oracolo della fortuna. Forse per consultarlo si bloccava in un punto scelto ad occhi chiusi dopo averlo  fatto girare su un perno  andando a consultare la risposta corrispondente al numero capitato. Le risposte tipiche erano “Una bionda è una testa di leone”, “Un uomo dai capelli scuri dubbioso”, “Avrai due mariti e dieci figli”.

Una curiosità: Nel riquadro in basso a sinistra è rappresentato il primo volo a motore che fu effettuato 60 anni prima dei fratelli Wright, da due uomini William Henson e John Stringfellow di Chard nel Somerset, Regno Unito.

Essi infatti nel 1840 lanciarono la prima compagnia aerea commerciale del mondo: “The Aerial Transit Company”, cercando di finanziare la compagnia vendendo biglietti per l’India. La loro macchina proposta era di pesare 3000 libbre con  6000 Mq. superficie di sollevamento e un motore a vapore da 30 cavalli.

Questi grandi pionieri furono ridicolizzati da molte persone. Questo disegno mostra  torte giganti agitando i passeggeri in cima alle ali.

Un anonimo contemporaneo così motteggiava:

Non importa, capisco, qualunque sia il vento,
ti faranno scendere in un giorno o giù di lì, proprio nelle Indie!
Oppure puoi cenare a Londra ora, e poi se sei romantico,
chiama una nave e fai un viaggio proprio sull’Atlantico.

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Le carte dei  “Personaggi” dovevano essere ritagliate e inviate agli amici con il loro invito alla  festa. Loro avrebbero dovuto vestirsi come il personaggio rappresentato, e interpretarne la parte,  fino a mezzanotte. La mancata osservanza dell’atto poteva comportare penitenze molto probabilmente!

Gli enigmi sotto ogni personaggio sono abbastanza sciocchi e danno il tono ilare di quel genere di feste.

Ecco quattro indovinelli di esempio:

14 Perché un amante è come un’uva spina?
15 Quando il formaggio assomiglia di più a un college?
16 Perché gli ebrei ad una festa sono come un birraio?
17 Perché un dandy è come una coscia di cervo?

Le risposte le trovate qui al link:

https://www.puzzlemuseum.com/month/picm08/2008-04-parks.htm