Archivio | agosto 2018

Un’estate in montagna di Elizabeth von Arnim

estate in montagna

Un’estate in montagna

Elizabeth von Arnim

Fazi editore

Il libro è stato recentemente pubblicato da Fazi ma era già uscito nella edizione tascabile economica di Bollati Boringhieri nel 2012 dal titolo Uno chalet tutto per me. Evidentemente ciascuna è la versione libera dell’originale In the Mountains che -bisogna riconoscere- meglio esprime con compiutezza e semplicità il senso del libro.

Uno chalet tutto per me

Senz’altro è la lettura ideale in questo periodo, per chi cerchi refrigerio dalla calura soffocante e dalla prosaicità della vita. La narrazione, benché priva di fatti eclatanti o avventurosi (se non si considera la mostruosa tragedia recente del conflitto mondiale) è ricca di stupore grato e veicolo di benessere contagioso.

La cornice maestosa e incontaminata delle montagne esalta percezioni e sentimenti in visioni gioiose e infinite.

Lo riprendo a distanza di tre anni e mi imbatto, anzi mi perdo ne…

l’azzurra vastità dell’aria riempiva la volta del cielo di un turchese sfumato di viola. La mia baita con il suo giardino si trova proprio sul ciglio della montagna, e lo spazio vuoto tra noi e la montagna di fronte trabocca di luce azzurro viola dall’alba al tramonto

Ed è subito amore.

È proprio vero che bisognerebbe leggere più volte i libri perché ogni volta essi hanno qualcosa di nuovo da dirci e Un’estate in montagna si coniuga perfettamente con la mia disposizione d’animo trascinandomi sulle vette incontrastate di un paesaggio incantevole mi restituisce la solitudine dei miei pensieri e mi circonda di luce baluginante.

In the Mountains – Elizabeth von Arnim | The Captive Reader

Dopo gli orrori della guerra Elizabeth torna piano piano padrona di sé, riacquista la consapevolezza della sua voglia di vivere attraverso un percorso che prevede poco intreccio e qualche incontro: le due sorelle vedove capitate per caso alla baita e invitate a restare, costituiscono un piacevole diversivo alla quiete solitaria del rifugio tra i monti. E costituiscono il risvolto divertente e assurdo di tutta la vicenda che da dramma intimistico diventa commedia con quell’inconfondibile tocco di leggerezza e ironia della scrittrice.

Esso è infatti un piccolo saggio dei suoi pregi: le rappresentazioni evocative, il potere ammaliante della scrittura, l’ironia sottesa, quel senso della misura tipicamente inglese, l’assoluta padronanza dello stile diaristico.

Le descrizioni vivide dei prati brillanti e del panorama sconfinato ricreano perfettamente il paesaggio dell’anima e quello circostante e palpitano dell’azzurro vibrante del cielo e del silenzio riposante dell’altitudine.

Il luogo che abbiamo scelto per fermarci è talmente bello che non sarebbe stato possibile passare oltre senza notarlo. Credo che siamo rimaste almeno mezz’ora ad assorbire la bellezza dei crochi sul quel pianoro soleggiato, ad ammirare il modo in cui le cime dei pini sul pendio sottostante spiccavano contro l’azzurra vastità della valle. Ci ha procurato un profondissimo senso di appagamento. Il sole era caldo, l’aria straordinariamente fresca e pura. Già solo respirare era felicità. Credo che la benedizione più grande nella mia vita sia stata proprio provare spesso la felicità di respirare.

Nella biografia della scrittrice, Chiamatemi Elizabeth, Carmela Giustiniani ci spiega che questo diario -perché tale è- ebbe un potere terapeutico su di lei prostrata “come una formica malata” al fine di elaborare i numerosi lutti accumulati durante gli anni della Guerra e “quel luogo incantato non tardò a esercitare il suo effetto benefico, e anche l’opera ne venne contagiata”: abbandonata gradualmente la malinconia iniziale il romanzo si trasforma in un’altra deliziosa commedia, in cui il consueto brio dell’autrice inizia a “carburare” nuovamente” (p. 49).

È tremendo assomigliare così tanto a Giobbe.

Come lui, sono stata spogliata di tutto ciò che rendeva la vita incantevole. Come lui, in un tempo brevissimo ma colmo di disastri ho perso quasi tutto quello che amavo. E non c’è stata soltanto la guerra, un uragano terribile che ha abbattuto ogni speranza e fatto strage delle ricchezze della vita, che mi ha travolto insieme a tutti gli altri e si è lasciato alle spalle sangue e rovine; oltre alla guerra, oltre all’angoscia di perdere gli amici, che pure era temperata dalla macabra consolazione di non essere soli nel dolore, c’è la mia esistenza, che è devastata. …Eppure, come Giobbe, mi aggrappo a quel poco di fiducia nella bontà che mi è rimasta, perché se la lasciassi andare rimarrebbe solo la morte.

Sinossi.

Estate 1919. Oppressa da una profonda tristezza causata dagli orrori della guerra, Elizabeth si rifugia nel suo chalet svizzero. Arriva sola, l’animo rabbuiato dalle pesanti perdite subite e consapevole della malvagità umana, nella casa tra i monti che fino a pochi anni prima riecheggiava della presenza e delle risate di numerosi amici. Vuole ritrovare la gioia di vivere, scuotersi dall’apatia, tornare ad amare la natura, ad apprezzare i fiori e i panorami incantevoli che la circondano. Non è un’impresa facile, ma lentamente comincia a riaccendersi in lei una sottile vena di energia. Anche per il suo compleanno è sola. Concede ai domestici un giorno di libertà e si accinge a dedicarsi a qualche lavoro pesante che la costringa a non pensare, quando le arriva un regalo inatteso: due donne inglesi, reduci da un’escursione e in cerca di una pensione dove trascorrere la notte, giungono per caso allo chalet. Elizabeth le invita a pranzo, poi per il tè, quindi a rimanere con lei per alcune settimane. E dalla loro presenza nascerà la promessa di una nuova felicità. Pieno di scene divertenti e intriso della solita lieve ma spietata ironia che contraddistingue lo stile di Elizabeth von Arnim, “Uno chalet tutto per me”, scritto in forma di diario, ci offre una serie di pensieri profondi sull’importanza del preservare la vita e sull’insensatezza della guerra.

Il mercante di Venezia

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Rileggendo Shakespeare.

Bella, complessa questa commedia, “di sostanza”, capisco perché tanto famosa. E ancora una volta ambientata in Italia, a Venezia, il mercante Antonio e l’ebreo usuraio Shylock, un famoso dottore della legge di Padova…

Il mondo è un teatro dove a ogni uomo tocca recitare una parte.
Il buon predicatore è quello che obbedisce alle prediche che fa.

 

Tutte le cose di questo mondo, la passione con cui si desiderano è più forte della passione con cui si godono.

Parliamone a tavola, così qualunque cosa tu abbia a dire, io me la digerirò col resto.

 

 

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Sogno di una notte di mezza estate

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Rileggendo Shakespeare

Dicono sia la commedia più famosa di Shakespeare. Sicuramente contiene molte immagini poetiche più che motti di spirito. Ilarità pura scatenano le parti recitate all’interno dal Leone, il Chiaro di Luna e il Muro nella tragedia allegra di Piramo e Tisbe.

Allora la luna, come un arco d’argento appena teso in cielo, proteggerà la notte solenne.

E’ più felice la rosa che si lascia distillare.

Mai è stato piano il corso d’un vero amore.

Quando Febe … spanderà liquide perle sui prati in germoglio

Il cancello d’aurora, tutto rosso di fuoco, s’apre per lasciar passare i raggi benedetti che mutano in oro i verdi flutti di Nettuno.

E il sonno, che qualche volta riesce a chiudere le palpebre di dolore, mi tolga per qualche istante da me stessa.

Le mie gambe non hanno la velocità dei miei desideri. 

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Pene d’amor perdute

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Rileggendo Shakespeare.

Una delle prime commedie composte dal Bardo che fa riferimento a personaggi storici coevi (Ferdinando di Navarra e la principessa di Francia, un vero tipetto) e non si conclude con il classico lieto fine matrimoniale.

L’ambientazione curtense e il complicato intreccio di parole e dialoghi della quale è composta fanno pensare che l’opera fosse indirizzata ad un pubblico colto e aristocraticamente elevato.

Ne è stata fatta una trasposizione cinematografica da parte di Kenneth Branagh secondo me meno riuscita rispetto alle altre.

Citazioni

Un cuore oppresso non tollera una lingua complimentosa.

Piace quel divertimento di cui meno si conosce.

Abbiamo attribuito tutto a galanteria, a gradevoli giochi di cortesie come bambagia per imbottire la fodera dell tempo. 

Non desidero una rosa a Natale più di quanto possa desiderar la neve a maggio: d’ogni cosa mi piace che maturi quand’è la sua stagione.

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Genova

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Oddo ne approfittò per visitare parecchi fra i piccoli principati a nord degli Appennini, prima di dirigersi verso Genova, da dove si doveva imbarcare per il sud. Quando lasciò monte Alloro, la campagna mostrava il volto sbiancato di febbraio, e i suoi occhi di nativo del nord rimasero stupefatti nel ritrovarsi, sulla costa marittima, nella piena esuberanza dell’estate. Adagiata su queste sponde alcionie, Genova, nel suo splendore scolpito e affrescato, proprio allora intenta a celebrare con il consueto rituale sfarzoso, l’ascesa di un nuovo doge, sembrava a Oddo la cornice riccamente intarsiata di certi “trionfi” del Rinascimento. Ma le sontuose dimore con i loro peristili di marmo, e le colorate ville immerse negli aranceti lungo la costa, ospitavano una società ottusa e dalle vedute ristrette, paga di ammucchiare ricchezze e giocare a biribì sotto gli occhi degli avidi ritratti di Van Dyck, senza alcun interesse per le questioni che si stavano dibattendo nel mondo. Una sorta di grassa insensibilità commerciale, una mancanza di distinzione personale, che giustifica la magnificenza, pareva a Oddo la nota prevalente del luogo (p. 285).

Molto rumore per nulla

 

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Rileggendo Shakespeare.

Un piccolo capolavoro, tantissime le influenze e le citazioni di opere precedenti tra cui anche l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e il Cortegiano di Baldassarre Castiglione.

Fuoco di fila di battute che smontano le dichiarazioni d’amore stucchevoli. Situazioni paradossali e comiche intermezzano quelle drammatiche sciogliendo nel sorriso la tensione contingente. Le citazioni non fanno giustizia all’intero testo teatrale disseminato di motti e metafore significative.

L’amicizia è fedele in ogni cosa fuorché in questioni e affari di cuore.

Parla pugnali: ogni parola trafigge.

Finchè tutte le grazie non saranno riunite in una donna sola, non una sola donna entrerà nelle mie grazie.

Non si apprezza il valore di quel che abbiamo mentre ne godiamo, ma appena lo perdiamo e ci manca, lo sopravvalutiamo, e gli troviamo il pregio che il possesso rendeva invisibile, fino a che era nostro.

Vi amo tanto con tutto il cuore che non me ne resta per dichiararvelo.

Tutti gli uomini sanno dare consigli e conforto al dolore che non provano.. non c’è mai stato filosofo che abbia sopportato il suo mal di denti con pazienza.

Allora è proprio uno spirito virile che non fa mai male a una donna.

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Ferragosto

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Il nome della festa di Ferragosto deriva dal latino feriae Augusti (riposo di Augusto), in onore di Ottaviano Augusto, primo imperatore romano, da cui prende il nome il mese di agosto.

Era un periodo di riposo e di festeggiamenti, istituito dall’imperatore stesso nel 18 a.C., che aveva origine dalla tradizione dei Consualia, feste che celebravano la fine dei lavori agricoli, dedicate a Conso che, nella religione romana, era il dio della terra e della fertilità.
In tutto l’Impero si organizzavano feste e corse di cavalli, e gli animali da tiro, esentati dai lavori nei campi, venivano adornati di fiori. Inoltre, era usanza che, in questi giorni, i contadini facessero gli auguri ai proprietari dei terreni, ricevendo in cambio una mancia.
Anticamente, come festa pagana, era celebrata il 1° agosto. Ma i giorni di riposo (e di festa) erano in effetti molti di più: anche tutto il mese, con il giorno 13, in particolare, dedicato alla dea Diana.

Poi c’è stato l’innesto della religione cattolica che ha fissato al 15 agosto la festa dell’Assunzione di Maria e durante il regime fascista nasce la tradizione popolare della gita turistica di Ferragosto. A partire dalla seconda metà degli anni venti, nel periodo ferragostano il regime organizzava, attraverso le associazioni dopolavoristiche delle varie corporazioni, centinaia di gite popolari, grazie all’istituzione dei “Treni popolari di Ferragosto”, con prezzi fortemente scontati.

L’iniziativa offriva la possibilità anche alle classi sociali meno abbienti di visitare le città italiane o di raggiungere le località marine o montane. L’offerta era limitata ai giorni 13, 14 e 15 agosto e comprendeva le due formule della “Gita di un sol giorno”, nel raggio di circa 50-100 km, e della “Gita dei tre giorni” con raggio di circa 100–200 km.

Non è vero che si festeggia solo in Italia perché anche altri Paesi hanno delle tradizioni legate a questo giorno, storiche e religiose, ad eccezione di Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Cina, per i quali non ha mai rivestito un significato particolare.
In Irlanda, l’Assunzione viene detta (in lingua gaelica) Féile Mhuire ‘sa bhFomhar ed è una festività che ha da sempre una particolare importanza.

Un’antica leggenda vuole che il bagno in mare il giorno di Ferragosto abbia un effetto benefico per la salute; in passato, pertanto, impiegati e servi nelle contee di Limerick e Kerry includevano negli accordi con i padroni la previsione della festività dell’Assunzione in modo da poter prendere parte al rituale.

 

 

Buon Ferragosto!

La Scapigliatura e il 6 febbraio 1853 di Cletto Arrighi

 

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Quando un libro ti spinge a riaprire i testi di scuola non soltanto conferma un’antica verità e cioè che non si finisce mai di imparare, ma attesta che il viaggio all’interno e attraverso di esso è stata un’esperienza totalizzante.

Questo è ciò che si prova alla lettura del romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio 1853 di Cletto Arrighi (anagramma di Carlo Righetti). Il testo rappresenta il manifesto programmatico del movimento politico-letterario della Scapigliatura che prese le mosse da Milano verso la metà dell’Ottocento. In un periodo di disordini e di messa in discussione dei rassicuranti ideali borghesi questo romanzo segna la presa di consapevolezza, con conseguente dichiarazione di intenti e di ideali, di questo gruppo di artisti dalla provenienza più disparata. L’autore ne fornisce la definizione: “In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui di ambo i sessi, fra i venti e i trentacinque anni, non più; pieni d’ingegno quasi sempre; più avanzati del loro tempo; indipendenti come l’aquila delle Alpi; pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati,… turbolenti -i quali- o per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato – vale a dire fra ciò che hanno in testa e ciò che hanno in tasca – o per certe influenze sociali da cui sono trascinati -o anche solo per una certa particolare maniera eccentrica e disordinata di vivere … meritano di essere classificati in una … casta sui generis… io l’ho chiamata appunto la Scapigliatura” (p. 15).

Le correnti sobillatrici della compagine europea dovevano raggiungere i cuori ardenti del braciere italiano che in Milano in particolare, vessata dal giogo austriaco, mostrava evidenti e recidivi segni di insofferenza.

In aperta contraddizione con il romanzo storico e i precetti romantici che mostrano la loro limitatezza nei riguardi della realtà, i poeti e scrittori scapigliati che si ispirano al tipo di vita bohemien francese, si allontanano dalle piste battute sotto l’egida dei principi classici, per dissentire e scandalizzare con i loro scritti, e taluni anche con la loro condotta, in una sorta di decadentismo precoce indotto dai Fiori del Male di Baudelaire. I personaggi di questo circolo teorico rispondono al nome di Arrigo Boito, Ugo Tarchetti, Emilio Praga e Carlo Dossi; Carlo Righetti ebbe il merito di tradurre in prosa la loro filosofia di vita e affidare a un romanzo il compito di fotografarne uno spaccato esemplificativo.

La storia qui rappresentata è un incastro avvincente che rispetta la verità storica dei fatti nel loro svolgimento nell’arco di quattro giorni (dal 3 al 6 febbraio 1853), ma che con un sapiente, quanto magistrale, uso della tecnica del flashback dilata e approfondisce la trama apparentemente breve della vicenda.

Se già questo modus procedendi non avesse già ricordato un’altra opera che si dipana tra andirivieni e digressioni, sarebbero state le frecciate apertamente rivolte ai Promessi Sposi a rivelare la chiara intenzione a guardare a essa e allo stesso tempo a prenderne le distanze. In molti passaggi, il narratore dimostra di aver ben presente il romanzo storico manzoniano: quando smette il suo compito per rivolgersi con le sue considerazioni al lettore, o per meglio dire, “alle sue lettrici” (che ammonisce per esempio a non giudicare la condotta di Noemi che trascurata dal marito si perde nell’amore per il giovane e irrequieto Emilio Digliani) o in quel paragone volutamente irriverente tra Lago Maggiore e Lago di Como: “Gli adoratori del lago di Como mi fanno ridere: dinanzi alla maestà del Verbano il povero Lario può andare a riporsi” (p.233).

Un libro conservato nella sua purezza originaria, che permette anche un itinerario curioso all’interno della lingua italiana ricca di citazioni latine, francesismi, neologismi desunti direttamente dal volgare e che sa riproporre a seconda delle ambientazioni il diverso registro linguistico: la conversazione alla tavola del conte Firmiani è molto diversa da quella all’interno della bettola, con un’ostessa definita la sorella carnale del famoso oste dei Promessi Sposi (cfr. p. 154).

Pieno di colpi di scena, avventure e quadretti d’interno che vanno dal palazzo nobiliare al retrobottega del tabaccaio, dalla casa sontuosa e senza gusto di Cristina Firmiani dove si conduce vita di società all’appartamento da giovane scapolo di Emilio fino alla triste stanzetta di Gigia. In un delicato e complesso gioco di reti e fili sottili tra i personaggi appartenenti a tutti questi livelli sociali viene imbastita una trama sottilissima eppure irriducibile.

Non è solo un romanzo politico né può dirsi esclusivamente un romanzo d’amore, è riduttivo chiamarlo manifesto letterario: è un romanzo che racconta le passioni degli uomini -e le inquietudini dei giovani di quel dato momento storico- lontano dalla morale manicheista del bene e male che non contempla l’ipotesi della debolezza e quindi del perdono e che non invoca alcuna Provvidenza se non la solidarietà e la comprensione umana.

Come un liquore molto intenso e strutturato che va dosato a piccoli sorsi ma dalla cui coppa non si riesce a staccare le labbra avide di assaporarne l’invitante nettare, le pagine si susseguono con ritmo incessante. Dopo essere stati inebriati e finanche storditi dal goccio finale della bottiglia bisognerà ricominciare dal principio per cercare di indovinare gli ingredienti di così stupefacente ambrosia.

Ma la felicità di quaggiù, per essere gustata, ha bisogno di confronti e di contrasti; e chi di sua vita non ha mai versato lagrime di sangue, non potrà dire d’essere stato qualche volta felice. Io per me, se, in un bel mattino d’autunno, dal cucuzzolo d’un monte del mio caro lago, m’avviene di mirare sorgere grado a grado il sole dall’opposta catena, e indorarsi all’intorno la vasta contrada, e allegrarsi del suo divino sorriso il vasto piano delle acque, e ascolto elevarsi il misterioso concerto di mille armonie all’intorno, quasi un saluto di gioia, provo nell’animo non peranco inaridita un palpito sempre nuovo e spontaneo, che mi parla di felicità e di speranza, di riconoscenza e di amore” (p. 155).

 

La commedia degli errori

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Rileggendo Shakespeare

La commedia degli errori

La commedia degli errori (The Comedy of Errors), o La commedia degli equivoci, è una delle prime commedie di Shakespeare; si crede sia stata scritta tra il 1589 e il 1594. È il più corto e il più farsesco dei suoi lavori: la maggior parte della comicità è data dallo slapstick e dallo scambio d’identità, in aggiunta ai giochi di parole e alle paronomasieLa commedia degli errori, (insieme a La tempesta) è uno dei soli due lavori di Shakespeare che osservi le unità classiche della tragedia.

Con evidenti richiami all’opera di Plauto, La commedia degli errori racconta la storia di due coppie di gemelli identici separati dalla nascita. Antifolo di Siracusa ed il suo servo, Dromio di Siracusa, arrivano ad Efeso, che si scopre essere la città in cui vivono i loro fratelli gemelli, Antifolo di Efeso ed il suo servo, Dromio di Efeso. Quando i siracusani incontrano gli amici e i familiari dei loro gemelli, inizia una serie di incidenti basati sullo scambio d’identità che portano a baruffe, seduzioni quasi incestuose, l’arresto di Antifolo di Efeso, e le accuse di infedeltà, furto, pazzia e possessione diabolica.

La libertà sfrenata, la frustra la giustizia. Nulla c’è sotto l’occhio del cielo, in terra, in mare e nel firmamento che non abbia il suo limite.

Quali rovine sono in me che non siano state devastate da lui? Sicchè è lui la cagione del mio sfacelo. La mia svanita bellezza sarebbe tosto restaurata da uno sguardo radioso.

La vergogna che sa destreggiarsi ottiene un buon nome spurio, ma le cattive azioni sono raddoppiate dalle cattive parole.

Il tempo fa sempre fallimento e deve all’occasione più di quanto non possa dare.