Archivio | luglio 2017

Jane Austen, i luoghi e gli amici

Pubblicato dall’Agenzia Letteraria Jo March.  

Questa giovane e targata al femminile Casa Editrice di Perugia, è stata definita da Giovanni Dozzini, in un articolo del sette gennaio scorso  su Donneuropa.it, un autentico caso editoriale per l’enorme successo riscosso con le sue precedenti pubblicazioni (fino a seimila copie vendute di Nord e Sud di E. Gaskell), senza alcun impianto promozionale e lontano dai grandi distributori nazionali.  

Con Jane Austen, i luoghi e gli amici, fatto uscire intenzionalmente il 16 dicembre 2013, giorno di nascita di Jane Austen, si è voluto rendere esplicitamente omaggio alla scrittrice inglese presentando  al pubblico di lettrici e lettori in italiano una biografia itinerante redatta da Mary Costance Hill (e illustrata dalla sorella Ellen) nel lontano 1901. La traduzione è stata curata dai soci fondatori (Mara Barbuni, Giuseppe Ierolli, Silvia Ogier, Gabriella Parisi) della JASIT, la prima Associazione italiana  dedicata allo studio di Jane Austen, che con la passione di ammiratori e competenti conoscitori della lingua e della materia si sono accostati con rispetto e deferenza a questo testo.

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Una storia nella storia: quella di due sorelle che partono su un calesse alla ricerca dei luoghi e delle persone che hanno avuto un qualche legame con Jane Austen, con un suo familiare, con gli edifici così come con le suppellettili, con le strade così come con le cittadine toccate dal passaggio o da una qualche relazione con gli avvenimenti della vita di lei. Ciascuna delle due ha tradotto sulla carta l’impressione e l’emozione prodotta da questa esperienza sensoriale e intima: Constance ha scritto, Ellen ha disegnato ciò che vedevano con gli occhi e con il cuore. Non si tratta di un testo rivolto solo ai fedeli ammiratori, ma uno spaccato di vita ed ambienti inglesi che coloro che amano l’Inghilterra, con  i suoi cottage e le sue campagne, e l’età previttoriana, di fine Settecento-primi Ottocento, non mancheranno di sicuro di apprezzare. Innegabile che poi da parte dell’autrice-biografa, e dei traduttori che lo hanno ripercorso passo passo, parola per parola, sia stato anche un sentimentale pellegrinaggio alla ricerca dell’influenza indiscussa ed evidente che hanno avuto i luoghi (in cui è vissuta) e gli amici (di cui si è circondata), sull’opera di Jane Austen, la scrittrice.

La regione geografica, letteraria e metafisica in cui spazia il racconto è stata definita dalla stessa Constance Hill: Austenland, un termine che racchiude tutto il mondo che gravita intorno a Jane Austen. Attraverso le testimonianze dirette, l’incastro degli opportuni passi tratti dalle lettere e la conferma delle memorie scritte dai familiari, sono state ricostruite le tappe di questo viaggio che ha toccato non solo Steventon, Bath e Chawton, dove Jane Austen ha effettivamente abitato, ma anche quelle località minori comunque interessate dal suo passaggio o soggiorno per andare ad un ballo o fare visita ad un’amica. Nell’introduzione al libro, Silvia Ogier dischiude delicatamente davanti ai nostri occhi curiosi  l’uscio sulle strade dell’Hampshire,  ammiccando con complicità e accompagnandoci per mano in questo itinerario:  ci ha provvisti di un bagaglio semplice e completo e di un biglietto non declinabile per questo Grand Tour da devoti Janeites.

LA STORIA DI UNA BOTTEGA – PICCOLE DONNE ANGLOSASSONI di Amy Levy

La storia di una bottega di Amy Levy, pubblicato nel 1888, e riportato in superficie dalle edizioni Jo March, non ambisce a essere considerato un classico ma Oscar Wilde la definì una storia “intelligente e brillante” nell’articolo dedicato all’autrice apparso su “The Woman’s World” (1890), e che indubbiamente ha due caratteristiche accattivanti: la semplicità dell’intreccio e la giovane età delle protagoniste. Immagine

La storia di una bottega è una sorta di Piccole donne in versione anglosassone, perché racconta di quattro sorelle inglesi –Gertrude, Lucy, Phyllis e Fanny (c’è anche il corrispettivo della zia March, la zia Caroline) – che già orfane di madre, dopo la morte del padre perdono anche la loro fonte di sostentamento e decidono, anziché accettare l’ospitalità dei parenti che necessariamente le dividerebbe, di rilevare con le ultime sostanze una bottega dove aprire uno studio fotografico e guadagnarsi da vivere da sole lavorando. La notizia crea scalpore nella cerchia familiare ancorata ai valori convenzionali ma le novelle business women superate le iniziali difficoltà raggiungono la tranquillità economica e anche il successo come brave fotografe professioniste (tranne Fanny la più vittoriana e  la meno intraprendente delle sorelle che fa da governante di casa).

La metafora della fotografia  consente alla scrittrice di  stabilire un parallelismo tra il modo del tutto nuovo con cui la tecnica fotografica riproduce l’immagine e quello della condizione femminile che si emancipa dal vecchio ruolo di depositaria passiva dei sentimenti. L’accostamento tra il termine “romance” e “shop” consente di coniugare il racconto delle aspirazioni di quattro giovani donne -prima fra tutte quella di determinare il proprio futuro prendendo parte attiva al processo produttivo-, con gli ideali della mentalità borghese.

Amy Levy nasce a Londra il 10 novembre 1861 da una famiglia borghese di religione ebrea; seconda di sette figli, scopre presto la sua passione per la scrittura e quando entra al Newnham College di Cambridge dà voce ai suoi ideali femministi e alla sua identità religiosa sotto forma di racconti e articoli per riviste. Insofferente all’ambiente universitario comincia a viaggiare in Europa, tra Germania e Svizzera; nel 1886 è in Italia dove conosce a Firenze, in casa Guidi, la scrittrice Vernon Lee. Nel frattempo si allunga la lista delle sue conoscenze di intellettuali e artisti prestigiosi (Eleonor Marx, Beatrice Webb, George Bernard Shaw). Nel 1888 l’editore Thomas Fisher Unwin pubblica The Romance of a Shop (La storia di una bottega) mentre il romanzo Reuben Sachs: A sketch (Reuben Saks; un bozzetto) accolto come ritratto dissacrante della famiglia ebrea e del culto religioso, esce l’anno dopo. Il 10 settembre 1889 muore suicida nella casa della sua famiglia a Londra.

Un ritratto quello proposto, delicato e intenso allo stesso tempo, tenero e drammatico, come la vita, che sempre si stupisce della morte così come dell’amore “perché la morte, come l’amore, è sempre vecchia e sempre nuova”.

Romina Angelici

Inchiesta a incastro ne La casa sfitta

download (1)La casa sfitta di Charles Dickens, edizioni Jo March, non è certo il suo romanzo più conosciuto ma forse quello più moderno.

Scritto a quattro mani insieme a tre suoi stimati collaboratori (Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins, Adelaide Anne Procter), La casa sfitta ha un taglio fortemente giornalistico nel modo in cui ciascuno dei quattro ha cercato di dare a suo modo e con gli strumenti della propria arte padroneggiata, una declinazione del tema lanciato loro dall’editor Charles Dickens: comporre un racconto attorno al vero o presunto mistero della House to let per il numero natalizio della sua rivista “Household Words” del 1858.
Come Dickens commissiona ai suoi fidati colleghi un lavoro corale e concentrico (tre racconti e un poema), così la ricca ma non più giovane signora Sophonisba incarica il fedele servitore Trottle e  l’antico spasimante Jarber di svolgere le indagini atte a svelare il mistero che avvolge l’antistante casa rimasta da sempre  sfitta. Si collegano così, uniti dall’unico filo conduttore, Il matrimonio di Manchester, L’ingresso in società, Tre sere nella casa, Il rapporto di Trottle,  scritti rispettivamente, nell’ordine, dalla Gaskell, lo stesso Dickens, la Procter in forma di poema, e infine Wilkie Collins, tutti autori pubblicati dal giornale da lui diretto.
L’esperimento andrà talmente bene da essere ripetuto l’anno successivo, sempre in occasione dell’uscita di Natale, con un altro collage “The Haunted House” (La casa stregata) di storie di fantasmi.
Siamo lontani dalle ampie atmosfere  di Grandi Speranze, la cifra stilistica è quella dei racconti a puntate,  conditi con ingredienti tipici del codice giornalistico: suspense e mistero per catturare e tenere desta l’attenzione del pubblico lettore.  Il tema di fondo è  però sempre la storia commovente di un’infanzia negata, di adulti senza scrupoli e malvagi che con la denuncia comporta la riflessione.  E’ il lavoro in cui si coglie meglio la vena giornalistica di Dickens, le sue qualità di editore e caporedattore, capace di indirizzare e convogliare l’energia creativa degli scrittori in prodotti riusciti, risultati sinfonici. E questa intuizione esprime  risvolti inaspettatamente moderni fruibili sia da un pubblico giovane amante del giallo, sia di quello appassionato di letteratura al quale era sfuggito questo piccolo gioiello, nascosto dagli splendori delle opere più famose del grande scrittore.
Wilkie Collins (1824 – 1889) è considerato il padre del romanzo poliziesco inventore della formula di intrattenimento programmatico per la classe media: “make’em laugh, make’em cry; make’em wait” (falli ridere, falli piangere, falli aspettare). Amico e collaboratore di Dickens, scrive per lui nella rivista Household Words per dieci anni e dopo aver pubblicato alcuni romanzi si dedica ai racconti del mistero che hanno trovato trasposizione cinematografica. “La pietra di luna” è uno di questi cui si aggiungono gli altri romanzi gialli La donna in bianco, La legge e la signora, La follia dei Monkton.
Elizabeth Gaskell (1810 – 1865), nota soprattutto per aver scritto la biografia della sua amica Charlotte Bronte (The life of Charlotte Bronte di prossima (ri)pubblicazione, in italiano dalla Casa Editrice Baldini & Castoldi) è stata di recente rivalutata per il quadro dettagliato e realistico che fornisce dei primordi della città industriale e della condizione femminile; moglie di un ministro di culto unitario, impegnata in attività umanistiche e filantropiche, conosce molto bene la vita grama di una classe lavoratrice povera e sfruttata fedelmente trasposta nei suoi romanzi, che invoca giustizia e umana comprensione. Mary Barton, North and South sono ambientati a Manchester, la città industriale del Nord dove la scrittrice vive e può osservare da vicino le terribili condizioni degli operai. In Ruth narra la storia di una donna caduta che riesce a riscattarsi con la penitenza e l’annullamento mentre il delicato affresco di Cranford, un  piccolo villaggio dove il tempo sembra essersi fermato,  apre lo sguardo su uno sparuto gruppetto di comari ridicole e tenere che si oppone in tutti i modi a qualsiasi cambiamento. Anche Wives and Daughters (Mogli e Figlie) riproduce la vita di provincia, fatta di pettegolezzi e distinzioni di classe, con i quali devono misurarsi due sorellastre frutto di un infelice secondo matrimonio.

Adelaide Anne Procter (1825 – 1864) iniziò presto la sua carriera letteraria come poetessa vedendo i suoi versi pubblicati da Dickens sulla sua rivista Household Words con lo pseudonimo Mary Berwick. In seguito  fu impegnata attivamente in gruppi femministi e dopo la conversione al cattolicesimo, in attività filantropiche a favore dei poveri senzatetto e donne disoccupate. Morì di tubercolosi i a 38 an senza essere mai stata sposata. Proveniente da una famiglia con stretti legami letterari (lo stesso Dickens, Gaskell, Charles Lambe, Wordsworth, Thackeray), dopo una preparazione da autodidatta si iscrisse al Queen’s College in Harley Street nel 1850. Editore a sua volta di una rivista vittoriana di stampo espressamente femminista “Victoria Regia” e successivamente nel 1858 ha contribuito a fondare la English Women Journal e nel 1859 la Società per la promozione del lavoro delle donne. I primi due volumi di poesie furono intitolati Legends and Lyrics e il terzo Una coroncina di versi pubblicato a beneficio di un ospizio cattolico per donne e bambini.

18 luglio 2017. Bicentenario della morte di Jane Austen.

foto-3Oggi più che alla scrittrice, rendo omaggio alla giovane donna, alla sorella, all’amica.

Lettera di domenica 20 luglio 1871, di Cassandra Austen a Fanny Knight

(traduzione Giuseppe Ierolli, dal sito jausten.it)

Ho perso un tesoro, una Sorella, un’amica che non potrà mai essere superata. – Era la luce della mia vita, rendeva preziosa ogni piccola gioia, alleviava ogni pena, mai le ho nascosto un mio pensiero, ed è come se avessi perduto una parte di me stessa. L’ho solo amata troppo, non più di quanto meritasse, ma sono consapevole che il mio affetto per lei mi rendeva talvolta ingiusta e negligente verso gli altri, e posso riconoscere, più che come un principio generale, la giustizia della mano che ha vibrato questo colpo. Tu mi conosci troppo bene per temere che possa soffrire materialmente per i miei sentimenti, sono perfettamente consapevole della misura della mia irreparabile perdita, ma non ne sono affatto schiacciata e pochissimo colpita nel fisico, nulla che in breve tempo, con il riposo e il cambiamento d’aria non si possa superare. Ringrazio Dio di essere stata in grado di assisterla fino all’ultimo e ai molti motivi di rammarico non devo aggiungere nessuna volontaria negligenza verso il suo benessere. Si è resa conto di stare per morire circa mezzora prima di acquietarsi e di perdere apparentemente conoscenza. In quella mezzora c’è stata la sua ultima lotta, povera Anima! diceva di non poter esprimere che cosa stava soffrendo, anche se non si lamentava di un dolore specifico. Quando le ho chiesto se desiderasse qualcosa, la sua risposta fu che non desiderava nulla se non la morte e queste sono state alcune delle sue parole “Dio concedimi di essere paziente, Pregate per me Oh Pregate per me”.