
Leggendo le biografie di Jane Austen o la Raccolta delle sue lettere l’impressione che subito colpisce è quella di avere davanti come un altro dei suoi romanzi, purtroppo privo di quel finale rassicurante che zia Jane inseriva per accontentare tutti, romantici e benpensanti.
E’ l’impressione che accomuna tutti, dal semplice lettore al curatore delle lettere. Chapman come Deidre La Faye fanno notare come alla fine non è più importante distinguere più se Mansfield Park fosse più o meno reale di Godmersham o Chawton, perché Jane Austen ha permeato di sé le sue opere riversandoci per osmosi i fatti, lo stile, i ritmi, le usanze, della sua vita. Vogliamo bene a Cassandra, stiamo in ansia per i fratelli in mare, registriamo la nascita di un nuovo nipotino e stasera andiamo a teatro con Henry con lo stesso entusiasmo.
Ma più di tutti riusciamo ad entrare nel cuore di colei che scrive, a condividere le sue opinioni, a schierarci con i suoi giudizi, ad assorbirne l’umore, a sorridere delle sue battute nascoste tra le righe.
Quando scrive alla sorella Cassandra è come se parlasse a se stessa domandandosi:
“Abbiamo lasciato Guildford alle 12 meno 20 – (spero che qualcuno apprezzerà queste minuzie)” (L. 84 del 20.5.1813).