Archivio | ottobre 2022

Anne e Jane di Gill Hornby

Anne e Jane

Gill Hornby

Sinossi

Anne Sharp viene accolta da Mrs Elizabeth Austen in persona. Trentun anni, nel cuore il sogno di imparare il greco, studiare Eschilo, leggere tanti libri dai dorsi dorati, Anne è assunta a Godmersham Park con il compito di istruire la dodicenne Fanny, la figlia degli Austen. Un compito ingrato. Mrs Austen non vede di buon occhio un’istitutrice dalle «inclinazioni intellettuali», e l’atmosfera nella grande dimora non è priva di tensioni per una giovane donna che ha indossato i panni dell’istitutrice non per vocazione ma per necessità. In una casa in cui non si appartiene né alla famiglia né alla servitú, basta una parola detta con disattenzione per attirarsi le antipatie dei padroni ed essere etichettata come non abbastanza ragionevole, non abbastanza moderata, non adatta, insomma, a quel ruolo che è semplice fonte di sostentamento. E basta un passo falso per inimicarsi la cuoca e trovarsi a digiunare quasi ogni sera. Quando, però, a Godmersham arrivano gli zii di Fanny da Bath, Henry e Jane Austen, la vita di Anne nella dimora degli Austen cambia radicalmente di segno. Jane si dimostra subito una donna dall’ingegno strabiliante, con cui è piacevole conversare, discutere a lungo, intrattenersi al punto tale da scrivere opere teatrali insieme e diventare amiche. L’intelligenza di Anne, a lungo coltivata grazie alla testardaggine della sua cameriera Agnes, convinta che anche una donna abbia diritto all’istruzione, ha finalmente modo di brillare. Quella luce, tuttavia, non attira soltanto l’interesse di Jane, ma anche quello di Henry… Un interesse pericoloso a Godmersham Park.

Recensione

La storia ripercorre quindi il periodo in cui Anne Sharp fu istitutrice in casa del fratello maggiore di Jane Austen e si basa su una storia vera, tutti i personaggi sono realmente esistiti e gli avvenimenti sono tratti dall’accurato e resoconto nei dettagliatissimi diari di Fanny Austen, figlia di Edward Austen, terzo figlio del reverendo George Austen e di sua moglie, nonché fratello di Jane e padrone di Godmersham,

Ma quello che non sappiamo è chi era Anne Sharp. Qui si inserisce l’autrice Gill Hornby che ha provato a ricostruire il passato della trentenne diventata per necessità istitutrice di una ragazza di buona famiglia.

Ecco che l’esempio di Anne diventa occasione per raccontare il tipo di vita condotta da un’istitutrice, la cui intelligenza e preparazione erano motivi ulteriori per essere guardata in tralice. Il titolo originale è difatti Godmersham Park, per sottolineare l’appartenenza, precaria, dell’insegnante Anne Sharp a un luogo, alla nobile magione. Forse per ragioni editoriali nella versione italiana si è voluto porre l’accetto di più sulla presenza nel libro di Jane Austen, quando la scrittrice compare a partire dall’atto terzo della storia proseguendo nel quarto e ultimo.

Aveva bisogno soltanto di un angolino in cui raccogliersi e riflettere, in cui il suo intelletto potesse sperare di prosperare, nonostante la schiavitù imposta al suo corpo e al suo tempo.

Bisogna comunque considerare che per la storia costituisce un inestimabile valore aggiunto l’incontro con Jane Austen, la zia della ragazzina affidata alle sue cure, un incontro destinato a segnare per sempre le vite di queste due giovani donne rappresentando un duraturo legame.

Quella di Anne allora diventa anche un riflettore acceso sulla persona di Jane Austen, sul suo modo di comportarsi, di parlare, e quindi un particolare punto di vista da cui descriverla. Colpisce che Jane e il fratello Henry siano rappresentati come le due metà di uno stesso universo affascinante.

Del resto una delle sue ultime lettere, Jane la indirizza proprio alla sua cara Anne, a Doncaster, giovedì 22 maggio 1817

“La tua gentile Lettera mia carissima Anne mi ha trovata a letto, perché nonostante le mie speranze e promesse di quando ti ho scritto da allora sono stata davvero molto male. Un attacco del mio triste malanno mi ha colpita pochi giorni dopo – il più grave che abbia mai avuto – ed essendo arrivato dopo settimane di indisposizione, mi ha ridotta in uno stato pietoso. Sono rimasta confinata a letto dal 13 aprile, muovendomi solo per mettermi sul Divano. Ora, mi sto riprendendo, e nelle ultime tre settimane ho davvero recuperato le forze gradualmente anche se lentamente.

Spero che voi non abbiate avuto visite da qualche altra malattia mia cara Anne, sia tu che la tua Eliza. – Non devo tentare il piacere di scriverle di nuovo, finché la mia mano non sarà più forte, ma apprezzo l’invito a farlo. – Credimi, ho provato interesse per tutto ciò che hai scritto, anche se con tutto l’Egoismo di un’Invalida scrivo soltanto di me stessa. – Confido che la tua Carità verso quella povera Donna non manchi di avere più effetto, di quanto ne sono certa siano stati gli sforzi. Che interesse ci mettete tutti voi! e come sarei lieta di poter contribuire più dei miei migliori auguri, se fosse possibile! – Ma quanto ti dai da fare! Ovunque ci sia una Pena, ci si aspetta che tu fornisca Consolazione

Anche tu ne sono certa avresti serbato la memoria della tua amica Jane con tenero rimpianto. – Ma la provvidenza di Dio mi ha ridato la salute – e possa io essere più degna di apparire di fronte a lui quando sarò chiamata, di quanto lo sarei stata adesso! – Malata o Sana, credimi sempre la tua affezionata amica J. Austen” (trad. G. Ierolli).

La sovrana lettrice

La sovrana lettrice

Alan Bennett

Gli Adelphi

Pag. 95

Prezzo € 9,00

Sinossi

A una cena ufficiale, circostanza che generalmente non si presta a un disinvolto scambio di idee, la regina d’Inghilterra chiede al presidente francese se ha mai letto Jean Genet. Ora, se il personaggio pubblico noto per avere emesso, nella sua carriera, il minor numero di parole arrischia una domanda del genere, qualcosa deve essere successo. Qualcosa in effetti è successo, qualcosa di semplice, ma dalle conseguenze incalcolabili: per un puro accidente, la sovrana ha scoperto la lettura di quegli oggetti strani che sono i libri, non può più farne a meno e cerca di trasmettere il virus a chiunque incontri sul suo cammino. Con quali effetti sul suo entourage, sui suoi sudditi, sui servizi di security e soprattutto sui suoi lettori lo scoprirà solo chi arriverà all’ultima pagina, anzi all’ultima riga.

Recensione

Piccolo trattato di Alan Bennett sulla lettura sottoforma di racconto breve con protagonista illustre.

E’ infatti Elisabetta, la regina super impegnata, votata al senso del dovere e portata più all’azione che alal riflessione, a scoprire il meraviglioso mondo della lettura.

I suoi consiglieri più saggi diventano i libri che snocciola come ciliegie, si procura, accaparra, insegue, scova e porta dietro con sé dappertutto, come amici inseparabili, con grande disappunto del suo entourage e del protocollo reale che si sentono minacciati.

Quando si scoprono i libri, si assumono anche tutti i comportamenti e le abitudini tipiche del lettore dipendente che non può più separarsene.

Non ultimo effetto collaterale e naturale connesso e insito alla lettura è lo sbocco e lo sfogo nella scrittura. Ma in questo caso con effetti dirompenti.

Da brava inglese la Regina spazia dalla letteratura classica a quella contemporanea, ama la poesia di Hardy e si sente rassicurata e di buonumore con Trollope. Verso Jane Austen però avverte una distanza per il mondo da lei raccontato con una precisione e un’analisi da entomologa.

Dal momento che l’essenza di Jane Austen stava proprio nella sottigliezza delle sfumature sociali, e che agli occhi della regina esse avevano ancora meno importanza che per il lettore comune, la letture le riusciva particolarmente faticosa. I libri di Jane Austen erano praticamente dei trattati di entomologia; i personaggi non erano proprio formiche, ma alla regina apparivano così simili fra loro che ci sarebbe voluto un microscopio. Fu solo con l’approfondirsi della sua comprensione sia della letteratura sia della natura umana che essi acquistarono individualità e fascino.

Credo che sia un ottimo e ironico omaggio alla Regina che ci ha appena lasciati.

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Xingu di Edith Wharthon

Alcune donne della buona società di Hillbridge, desiderose di stare al passo con le mode del momento più che spinte da un reale interesse culturale, si preparano a ricevere la celebre scrittrice Osric Dane, per discutere del suo ultimo romanzo in uno degli incontri del Lunch Club. Ma il giorno dell’appuntamento niente va come sperato: la scrittrice si mostra distaccata e altezzosa, e la conversazione langue sotto il peso delle sue domande a cui le signore non sanno come rispondere. A rovesciare la situazione interviene inaspettatamente Mrs. Roby, l’outsider del gruppo, che lancia una sfida ammantata di finta cortesia: sostenendo che il Lunch Club nell’ultimo periodo è stato assorbito nello studio di Xingu, chiede alla scrittrice un parere in merito. Il mistero avvolge l’oggetto della discussione, non senza un alone di sensualità: cos’è questo Xingu posto improvvisamente al centro del dibattito?

La storia viene spesso definita come una satira dell’alta società e del suo approccio superficiale alla letteratura, ma dietro il sarcasmo si cela una questione molto profonda e drammatica: quella del mondo femminile teso tra i rigidi dogmi dell’età vittoriana e l’emancipazione della modernità. Xingu fu pubblicato per la prima volta in volume nel 1916 dalla Charles Scribner’s Sons di New York. L’edizione offerta ai lettori dalla casa editrice flower-ed è arricchita dal saggio Il vizio della lettura, in cui Edith Wharton esplora con una certa preoccupazione un mondo letterario sempre più volgarizzato, esaminando in particolare l’approccio alla lettura da parte del “lettore meccanico” e del “lettore nato”.

RECENSIONE

Anche senza essere una famosa scrittrice come Osric Dane, personaggio del racconto Xingu di Edith Wharton, può capitare di ritrovarsi nel bel mezzo di una conversazione, più o meno di spessore, e di fingere di conoscerne l’oggetto per la presunzione di non voler ammettere il contrario.

Ebbene sarebbe preferibile confessarlo subito, perché altrimenti potrebbe accadere -come nel romanzo- di trattenersi e dilungarsi parlando a vanvera, attribuire questa o quella qualità all’oggetto in discorso, senza averne la minima cognizione di causa. Ammettendo subito la propria ignoranza, che solo davanti alla legge non excusat, si possono evitare tanti equivoci e brutte figure, fugare fraintendimenti e giudizi equivoci. In certi casi il silenzio vale più di mille parole.

La romanziera del racconto arriva già annoiata in un salotto bene di signore che formano un club della lettura e proprio quella meno stimata tra loro, la signora Roby, interviene a incentrare la conversazione sul famoso Xingu. Riesce così finalmente a destare l’attenzione della scrittrice snob che fino a quel momento aveva saccentemente boicottato ogni argomento proposto. Costei, interrogata sulla conoscenza di Xingu, risponde prontamente di sì, pensando si tratti dell’ultimo libro appena uscito e dovendo sfoggiare la propria cultura libresca. Viene però trascinata in una intervista che non le svela nulla e che la lascia interdetta, assolutamente ignara ma incuriosita circa Xingu. Alla serie di domande su quanto è lungo, quanto è profondo, i passaggi difficili, dei casi in cui ha cambiato un’intera esistenza, le acute lettrici a turno lasciano cadere le loro impressioni del tutto a casaccio, perché anche loro non hanno la minima idea di cosa sia Xingu. La scrittrice se ne va con la coda tra le gambe decisa a saperne di più. L’equivoco ha il potere di lievitare ma non di rovinare la serata che comunque le signore del circolo considerano vinta. Almeno finché una di loro decide di consultare la piccola enciclopedia che porta sempre con sé e scoprire che cosa è veramente.

La lezione è stata però di scarso insegnamento perché nemmeno a questo punto si riconoscono impreparate ma si dichiarano solennemente abbindolate.

L’edizione Flower-ed è ottimamente rifinita, completa com’è di cronologia, bibliografia, prefazione e appendice con il saggio de “Il vizio della lettura”. A essere analizzati sono i comportamenti del lettore meccanico e tutte le conseguenze nefaste sul mondo della letteratura derivanti da tale tipologia di consumatore di libri, a cominciare dalla proliferazione di scrittori “meccanici” e della diffusione di opere e di un gusto popolare e dozzinale qualitativamente scarso.

Considerazioni quanto mai in linea con i tempi odierni dal punto di vista letterario.

Grafica, colore e fiori della copertina si sposano perfettamente al titolo del racconto e rimandano per associazione d’idee a qualcosa di esotico, di raro e suggestivo difficile da definire e da cogliere, come avviene per le signore del circolo letterario nei riguardi dell’essenza della lettura.

L’autrice

Edith Wharton nacque a New York il 24 gennaio 1862. Discendente dei Newbold-Jones, antica e ricca famiglia newyorchese, non frequentò mai una scuola, ma ricevette sempre un’istruzione privata incentrata soprattutto sullo studio dell’arte, delle lingue e dei grandi autori del passato. Il 29 aprile 1885 sposò a New York Edward Wharton, un banchiere di Boston. Purtroppo, nonostante le ottime premesse, la loro unione non fu felice: il loro matrimonio divenne con il tempo una separazione di fatto che si concluse con un divorzio formale. Edith Wharton pubblicò il suo primo romanzo nel 1902, The Valley of Decision, seguito da The House of Mirth (1905), Ethan Frome (1911), Bunner Sisters (1916) e The Age of Innocence (1920), solo per citarne alcuni. Quest’ultimo, senz’altro il più famoso, le valse il Premio Pulitzer nel 1921. Fu la prima donna a ricevere tale onorificenza. È stata autrice di romanzi e racconti, saggi e poesie, incentrando gran parte della sua produzione sul tema della rottura delle costrizioni imposte dalla società. Edith Wharton morì a Saint-Brice-sous-Forêt l’11 agosto 1937 .

Un gentiluomo imperfetto

Stefania De Prai Sidoretti

 Trama

1897 Gabriele è un affascinante ufficiale reduce dalla battaglia di Adua, deciso a godersi la vita e le belle donne. Giuditta si traveste da uomo per realizzare foto artistiche, lotta per i diritti femministi e per la giustizia. Uno scatto rubato, un incontro rocambolesco, due cuori che si riconoscono. Ma lei è ebrea. I pregiudizi e le violenze riusciranno ad avere la meglio? O il sentimento di Lele e Giudi sarà più forte del mondo che li vuole separati? Tra tensioni sociali, attentati al re e duelli, un amore puro e contrastato sullo sfondo della Roma di fine Ottocento.

Il romanzo di Stefania De Prai Sidoretti è uno storico che non rinuncia a essere romantico e divertente.

L’apertura, dall’impatto molto teatrale, è accompagnata dalla famosa esclamazione vecchia quanto il mondo, “Cielo, mio marito!”, scopre il nobile Gabriele nel letto della sua amante e lo costringe alla fuga.

Un simile incipit poteva solo immetterci in una serie di avventure movimentate per le vie della Roma umbertina di cui l’autrice dimostra una formidabile conoscenza e capacità descrittiva.

La sua scrittura si rivela ancora una volta ammiccante e fluida come una rivista da Belle Epoque dagli esiti però, meno leggeri.

Gabriele, detto Lele, è un nobile decaduto, orfano dei genitori e allevato dal nonno, che sbarca il lunario spacciandosi per giornalista e accaparrandosi servizi e sopralluoghi degli eventi di maggiore interesse.

Ma Gabriele non corre dietro solo alle notizie ma anche alle sottane ogni volta che ne incontra una.

Quale non è il suo sconcerto quando invece si imbatte in una fanciulla particolarmente affascinante, armata di macchina fotografica, che si nasconde dietro a un paio di calzoni da ragazzaccio.

Giudì è ebrea e appartiene a un’altra classe sociale, perciò i due incontrano subito delle difficoltà per far accettare il loro fidanzamento.

E Lele si trovò a fissare gli occhi sbarrati del giovanotto. Erano grandi, belli, dalle ciglia lunghe, di un color ambra che ricordava quello di un gatto. Le sopracciglia color Tiziano erano eleganti come ali di gabbiano.

Sullo sfondo di quella che potrebbe essere una comunissima storia d’amore tra due giovani ragazzi si profilano i moti popolari di fine Ottocento, l’attentato al re e i successivi arresti, l’irruzione nella sede dell’Avanti e  la soppressione del Ghetto.

Molto interessante lo spaccato di storia italiana di fine Ottocento e in particolare di storia di Roma, da poco diventata capitale, del malcontento sociale, dell’eterna crisi in cui il malgoverno mette contro i ceti più deboli, una Roma che si sta espandendo e secondo una precisa e ricca topografia contempla palazzi storici ed edifici moderni, per assolvere alle sue crescenti funzioni politiche.

La riflessione amara su questa pagina di storia si accompagna alla vicenda di due ragazzi come tanti che vorrebbero solo immaginare il loro futuro ma che devono fare i conti con accadimenti più grandi di loro. Purtroppo, sappiamo che d’ora in poi gli eventi potranno solo degenerare.

Nel romanzo di Stefania De Prai Sidoretti tutto trasuda storia e il suo amore per Roma; non è un caso che la sua vena creativa sia stata stuzzicata da alcune foto d’epoca. Gli stessi protagonisti, che si mischiano a personaggi realmente esistiti come D’Annunzio, Felice Cavallotti, sono tratti da figure storiche vere.

Nell’appendice dedicata ai lettori ripercorre le sue fonti storiografiche di ispirazione e il risultato è encomiabile.  

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In Inghilterra con Jane Austen

Giuseppe Ierolli

Giulio Perrone Editore

Descrizione

Jane Austen racconta ciò che conosce: i luoghi e l’ambiente sociale che  frequentava durante i suoi spostamenti dovuti a viaggi o cambi di residenza. A fare da sfondo ai suoi romanzi è l’Inghilterra del sud. Dallo Hampshire rurale dove nacque e trascorse i primi venticinque anni alla scintillante vita mondana di Bath, lasciata
per tornare nella contea nativa, prima sul mare e poi nuovamente in campagna. Senza tralasciare le visite a parenti e amici durante le vacanze estive, il Kent, con la fastosa residenza del fratello ricco, e la capitale, dove Jane mescolava con gioia esperienze editoriali, spettacoli e frequenti visite nei tanti negozi londinesi. Guardare da vicino i luoghi che la scrittrice ha vissuto, rintracciare il suo passaggio in luoghi ormai spariti o totalmente trasformati, diventa allora un modo per rileggere la sua opera con una diversa consapevolezza. Giuseppe Ierolli, attraverso le lettere, le opere e le testimonianze dell’epoca, ci accompagna in un viaggio letterario tra le pagine e la vita di una delle scrittrici più importanti di tutti i tempi.

Commento

Interessante viaggio sulle orme di Jane Austen nei suoi spostamenti/trasferimenti/vacanze per l’Inghilterra meridionale, registrati nelle lettere. Il libro è anche la ricostruzione di una mappa tracciata delle ambientazioni dei suoi romanzi, tutti immaginati svolgersi in contee diverse.

I cambi di residenza hanno scandito le diverse fasi della vita di Jane Austen mentre Londra ha rappresentato un luogo di affari e divertimenti perché sede editoriale e di intrattenimento con spettacoli e teatri, oltre che per lo shopping.

Le località di mare erano molto frequentate dalla famiglia Austen per le vacanze ma quella che ricorre di più in assoluto, anche per essere stata scelta come sede di trasferimento dal padre, è Bath. Verso tale cittadina, famosa, frequentatissima e alla moda già da allora, non è chiara la posizione di Jane Austen. Il silenzio di quegli anni può essere interpretato in modi completamente opposti.

Il testo di Giuseppe Ierolli va seguito tappa per tappa, suffragato da prove precise e circostanziato da puntuali citazioni. Si percepisce che l’intero viaggio di conoscenza è stato compiuto in prima persona dall’autore con opportuni e mirati sopralluoghi. Non ultimo quello commovente e doverosamente pietoso a Winchester dove giacciono le spoglie della nostra amata Jane.

Un viaggio letterario che finisce troppo presto nella vita e nel mondo di Jane Austen, se non per continuare idealmente tra le pagine dei suoi romanzi.

Nei sei romanzi canonici, infatti, i luoghi reali o immaginari in cui si svolge l’azione sono tutti nell’Inghilterra del sud, mai molto distanti da quelli effettivamente frequentati dalla scrittrice. Nello stesso tempo, è interessante notare come le ambientazioni siano quasi sempre in contee diverse, come se JA, pur rimanendo in una zona ben definita, non volesse privilegiare un luogo rispetto a un altro.

I Watson di Jane Austen

Il manoscritto è una prima stesura senza data, priva di titolo e con numerose cancellature e correzioni: non reca nessuna indicazione di eventuali suddivisioni (capoversi, capitoli). Il titolo The Watson è presumibilmente una invenzione del nipote J. E. Austen-Leigh, il quale pubblicò il romanzo in appendice alla seconda edizione del suo Memoir nel 1871.

L’edizione autonoma a cura di A. B. Walkley, Leonard Parsons, London, 1923, si limita a ristampare tale testo; la prima edizione ad adoperare il manoscritto della Austen è a cura di R. W. Chapman, The Watsons, a fragment by Jane Austen, now reprinted from the manuscript, Clarendon Press, Oxford, 1927 che poté consultarlo perché fino a 1978 era di proprietà degli eredi di William Austen-Leigh.

Il manoscritto è diviso in due parti: sei fogli dell’originale sono custoditi alla Pierpoint Morgan Library di New York: la parte rimanente alla Bodleian Library dell’Università di Oxford[1].

I Watson con l’eroina che si chiama Emma e il padre malato è stato alle volte interpretato come un prototipo del successivo Emma. Ma sarebbe più esatto dire che ha aspetti di somiglianza piuttosto evidenti con tutti i romanzi di Jane Austen al punto che se fosse semplicemente spuntato fuori dal nulla, non ci sarebbero stati dubbi sull’autore. A parte il nome, le due protagoniste vivono condizioni un po’ diverse: Emma Watson, dopo quattordici anni di assenza, fa ritorno nella sua famiglia d’origine e si ritrova a dover assistere il padre, ormai vecchio e molto malato, e farsi accettare dai fratelli, tra i quali i rapporti sono inquinati da piccole gelosie e invidie meschine.

Mr. Watson ricorda molto il rev. Austen e poiché la morte di lui, avvenuta a Bath il 21.1.1805, segna un brusco silenzio letterario o comunque un vuoto di notizie su Jane Austen in quel periodo, si è ipotizzato che fosse il doloroso ricordo provocatole dall’analoga condizione tratteggiata nel padre di Emma Watson a impedirle di portare a compimento il frammento abbozzato nel periodo intorno alla morte del proprio.

Jane non dovette essere sempre d’accordo con le decisioni prese dal rev. Austen, come quando decise il trasferimento a Bath per lasciare la parrocchia di Steventon a James o morendo lasciò moglie e sorelle in balia della generosità dei fratelli maschi. Verso di lui esprime sentimenti di rispettoso affetto ma non autentico slancio: lascia pensare la duplice versione della lettera con cui annuncia la morte del genitore e allo stesso tempo cerca di consolare il fratello minore Frank:

Dobbiamo sentire il peso della perdita di un tale Genitore, altrimenti saremmo dei Bruti[2].

Della sua tenerezza di Padre chi potrà renderne giustizia… Conserva il sorriso dolce e benevolo che l’ha sempre contraddistinto[3].

In seguito ne accennerà in una lettera, sempre con termini di stima e tradendo un po’ di nostalgia quando le viene richiamato alla mente l’interesse di lui per gli studi umanistici e l’ambiente universitario, caratteristiche che ritroviamo anche in Mr. Watson:

Mr. W. è stata un’utile aggiunta, dato che è un Giovanotto disinvolto e un piacevole conversatore – è molto giovane, forse a malapena ventenne. È del St John  di Cambridge, e ha parlato molto bene di H. Walter come studioso; – ha detto che era considerato come il miglior classicista dell’università – Quanto sarebbe stato interessato il Babbo a una descrizione del genere![4].

Non dobbiamo pensare però che la scrittura sia malinconica perché comunque il guizzo allegro di Jane Austen trova comunque il modo di fiorire qua e là come margherite in un prato.

Non mancano infatti battute di spirito come quella contenuta nella conversazione con Lord Osborne a proposito dell’economia domestica:

L’economia femminile può fare moltissimo, milord, ma non può trasformare un’entrata piccola in una grande.  

Come anche quell’annotazione divertita sul percorso della vecchia cavalla evidentemente abituata a fermarsi davanti alla modista:

La vecchia cavalla continuava col suo trotto pesante, senza bisogno di guidarla con le redini per farla girare nei punti giusti, e fece un solo errore, fermandosi davanti alla modista, prima di accostarsi all’ingresso della casa di Mr. Edwards[5].

 

Per non parlare del tenero episodio con il signorino Blake che sembra uscito direttamente da una delle tante serate di ballo a cui Jane Austen stessa partecipava.

Cassandra Austen raccontò ai nipoti qualcosa della progettata conclusione de I Watson: Emma avrebbe “declinato una proposta di matrimonio da parte di Lord Osborne, e gran parte dell’interesse del racconto sarebbe ruotato intorno all’amore di Lady Osborne per il signor Howard, per contro innamorato di Emma che avrebbe comunque finito per sposare”. I lettori hanno spesso ritenuto per scontato che “Lady Osborne” equivalga in questo caso a Miss Osborne, il che risponderebbe benissimo alla tipica struttura delle trame di Jane Austen, lasciando alla matura Lady Osborne forse un ruolo di ostacolo come quello di Lady Catherine de Bourgh in Orgoglio e pregiudizio. Ma è possibile che non vi sia confusione di nomi e che la bellissima Lady Osborne si sarebbe servita di tutta la dignità del rango nel tentativo di accalappiare il semi-dipendente signor Howard.

Nello stile, come nella trama e nella caratterizzazione sembra probabile che I Watson avrebbe retto il confronto con gli altri romanzi di Jane Austen, se lo avesse finito[6].

Virginia Woolf ci invita proprio a rilevare il valore de I Watson  in quanto opera incompiuta:

Le opere secondarie sono sempre interessanti perché mostrano il metodo con cui procede lo scrittore: l’aria scarna e dura dei primi capitoli ci dimostra che Jane Austen era uno di quegli scrittori che nella prima stesura espongono sommariamente la vicenda, ma poi ripetutamente vi ritornano finché questa acquisti rilievo e atmosfera. [… ] doveva prima creare l’atmosfera in cui avrebbe poi fruttificato il suo genio peculiare […] non c’è tragedia, non c’è eroismo, eppure chissà perché la piccola scena è molto più commovente di quanto non possa far supporre la sua superficiale solennità […] Ci incita a suggerire ciò che manca. Ciò che lei ci offre è apparentemente una trivialità, tuttavia composta di elementi che si espandono nell’immaginazione del lettore e investono di durevole vita quelle scene[7].

Sicuramente quelle pagine abbozzate sarebbero state ampliate e sviluppate, o per meglio dire cesellate, per diventare un altro grande romanzo dei suoi e questo ci fa dolere per l’ennesima volta della sua prematura scomparsa. Una vita più lunga e soprattutto più serena, in quelle condizioni ideali che aveva trovato in Chawton, le avrebbero permesso di rimaneggiare il lavoro interrotto e dargli una forma completa.


[1] Consultabile al sito: Jane Austen Fiction Manuscripts.

[2] Jane Austen, Lettere, trad. Giuseppe Ierolli, edizioni ilmiolibro.it, Roma, 2011, L. 40 di lunedì 21 gennaio 1805, p. 150.

[3] Jane Austen, Lettere, cit., L. 41 di martedì 22 gennaio 1805, pp. 151-152.

[4] Jane Austen, Lettere, cit., L. 78 di domenica 24 gennaio 1813, p. 290.

[5] Jane Austen, The Watsons, trad. Giuseppe Ierolli, jausten.it

[6] John N. Davie, Introduzione a Jane Austen, Sanditon, Lady Susan, I Watson, Edizioni Theoria, Roma, 1990.

[7] Virginia Woolf, Per le strade di Londra, Il Saggiatore, Milano, 1963, pp.35 e ss

C’è posta per te e Orgoglio e Pregiudizio

Le versioni di Orgoglio e pregiudizio sono ormai diventate dei film-culto esse stesse. Di ciascun romanzo canonico di Jane Austen si può poi confrontare la versione sceneggiato targata BBC e quella cinematografica, e ognuno di noi ha le sue preferenze e le sue critiche da fare. Sarebbe infinito l’elenco dei film, dei telefilm o delle miniserie – tanto in voga ora -, in cui Jane Austen viene continuamente citata, confondendola con un’icona del romanzo rosa o metonimicamente attraverso il suo romanzo più famoso, che viene fatto leggere ad adolescenti o meno.

C’è però un film che mi è rimasto nel cuore, in cui è innegabile l’ispirazione di matrice austeniana: è C’è posta per te, o You’ve got mail, uscito nel fortunatissimo Natale del 1998. Lo ritengo un omaggio, che risplende di luce propria e che mi è caro per quel senso di meraviglia che si rinnova ad ogni visione alla scoperta di felici assonanze e citazioni che rimandano a Jane Austen.
Penso possa essere interessante andare ad analizzare come è stata utilizzata dalla regista Nora Ephron, la trasposizione di Orgoglio e Pregiudizio, almeno per quanto riguarda la caratterizzazione dei due protagonisti: lui, Joe Fox, figlio di un magnate dell’editoria, e lei, Kathleen Kelly, figlia di una semplice libraia. Lui è così orgoglioso della sua catena di librerie da non vedere e cogliere al primo sguardo la bellezza e l’originalità del “negozio dietro l’angolo” e della sua proprietaria. Anzi, alla precisa domanda del dipendente, curioso su come sia lei fisicamente, il rampollo della casata Fox la definisce “sì, bella”, ma in un modo sdegnoso che assomiglia tanto al giudizio di “appena passabile” riservato da Mr Darcy a Lizzie al loro primo incontro. Lei, dal canto suo, è prevenuta e convinta che, poiché lui è ricco, non sia capace di apprezzare un bel libro e i buoni sentimenti.
Difficilmente nel plot possono rintracciarsi delle somiglianze, anche perché C’è posta per te si presenta dichiaratamente come un remake del film del 1940, Scrivimi fermo posta, ma la presenza simbolica del libro di Orgoglio e pregiudizio usato come segno di riconoscimento da Kathleen (altrimenti detta “Commessa”), nella scena del caffè, quando ha fissato l’appuntamento al buio con il suo chatfriend “NY152”, si impone come vera e propria citazione esplicita. Dapprima Kathleen confessa per email al suo interlocutore sconosciuto, che ha letto questo classico “almeno 200 volte”, che il lessico usato nel romanzo la fa impazzire: “parole come laddove, iattura, tripudio…”, e che patisce le pene dell’inferno nel domandarsi se Elizabeth e Mr Darcy alla fine “vivranno insieme?”. Poi adotterà proprio questo segno distintivo per essere riconosciuta all’appuntamento. Purtroppo, o meglio, per fortuna, entra il suo rivale e concorrente antipatico, Joe Fox, che smonta tutto il romanticismo che con la rosa poggiata sul libro lei aveva voluto creare. A lui piace vincere facile perché è in vantaggio su di lei: ormai ne ha scoperto l’identità e può approfittare di tutte le confidenze che si sono scambiati per email, nascosti dai rispettivi nickname. Si siede lo stesso al tavolo impegnato per due e butta là noncurante:


“Scommetto che te lo rileggi almeno una volta l’anno… scommetto che adori quel tuo Mr Darcy e che il tuo sentimentale cuoricino batte al pensiero che lui e… beh… comunque si chiami lei, alla fine vivranno per sempre felici e contenti”.
Tanto basta a far ergere la dolce Kathleen in tutta la sicurezza che le viene dalla conoscenza di Jane Austen, e a farla reagire così:
“L’eroina di Orgoglio e pregiudizio è Elizabeth Bennet. È uno dei personaggi più grandiosi e complessi mai scritti” e poi, preso definitivamente coraggio, gli infligge l’affondo finale, liquidandolo sprezzante: “ma tu non puoi saperlo”. Questa volta lui vorrebbe stupirla controbattendo: “A dire la verità io l’ho letto”, ma ormai è inutile, lei non gli dà alcuna soddisfazione: “Buon per te”.
Il guanto è stato gettato, la sfida raccolta. Joe si legge tutto il libro ed è in grado, sull’avvicinarsi del finale, quando passa a trovare Kathleen costretta a casa da un raffreddore, di chiosare: “Io ti ho fatto fallire e tu non mi perdonerai mai. Come Elizabeth, Elizabeth Bennet, in Orgoglio e pregiudizio… era troppo orgogliosa… oppure lei aveva troppi pregiudizi e Mr Darcy era troppo orgoglioso… io non me lo ricordo…”.
Lo sguardo eloquente di Kathleen che comincia a capire, conferma tutto; Joe Fox, improvvisamente divenuto premuroso e gentile, denuncia apertamente la dinamica che si è innescata tra loro due: un circolo vizioso di orgoglio e pregiudizio che ha solo complicato l’inizio di quella che diventerà e rimane una stupenda e perfetta storia d’amore. Come quella di Elizabeth Bennet e Mr Darcy.
La passeggiata conclusiva a Central Park, quando si disvelano le loro identità e i loro cuori, non ci ricorda quella analoga compiuta dai loro predecessori nel giardino di Longbourn? Lizzie e Darcy, dopo che lui si è dichiarato per la seconda volta e viene finalmente accettato, si interrogano sul momento preciso in cui è avvenuta la scoperta dei rispettivi sentimenti. Questa assonanza è colta e resa ancora più evidente nel film del 2005 di Joe Wright che utilizza la stessa inquadratura di un Mr Darcy che sopraggiunge tra i campi verso Elizabeth, che nell’attenderlo prende consapevolezza di volerlo con tutta se stessa.
Non sono forse le parole che la sconcertata e arrendevole Kathleen riserva a Joe?
“Volevo tanto che fossi tu, lo volevo con tutta me stessa!”


Trovo che le citazioni siano molto più efficaci quando sono così suggestive perché sanno evocare un mondo, un’atmosfera, delle sensazioni impalpabili e intraducibili a parole e allo stesso tempo sanno stabilire assonanze di forte impatto emotivo. Queste sono le risorse e le opportunità insite nella multisensorialità stimolata dalla visione di una opera cinematografica che in quanto forma d’arte reputo assolutamente complementare a quella letteraria.

Spezie e desideri – Spices and Wishes

Titolo: Spezie e desideri 

Autore: Jane Rose Caruso

Editore: Self publishing 

Serie: Miss Garnette Catharine Book Vol. 1 

Trama

Un Diario, dove iniziamo a conoscere gli abitanti della Contea di Beltory e tutte le mille sfaccettature. Raccontato in prima persona da Miss Book.Miss Garnette Catharine Book è una donna straordinaria: i suoi deliziosi manicaretti hanno un potere speciale, curano i malanni dell’anima. Gli abitanti di Beltory, la tranquilla cittadina sul mare dove Miss Catharine Book vive, lo sanno benissimo, ecco perché si rivolgono a lei quando qualcosa non va: che si tratti di stanchezza, tristezza o affari di cuore, Miss Garnette Catharine Book troverà la soluzione con le sue spezie. Morti sospette, cuori infranti, visite a sorpresa, infusi speciali e profumate torte sono gli ingredienti di questo bizzarro e dolcissimo ricettario del cuore, il primo volume delle avventure di Miss Garnette Catharine Book.

RECENSIONE

Un libro da portare sempre con sé, che fa bene al cuore, infonde un senso di pace con il potere corroborante del tè servito in modo speciale da Miss Garnette.

Questo è il primo volume che apre la serie e grazie al quale impariamo a fare la conoscenza di questo straordinario personaggio. Piano piano veniamo introdotti nel suo mondo, semplice e avvolto in un alone di mistero allo stesso tempo. Beltory del resto è proprio questo: una cittadina ideale, un rifugio dell’anima, dove hanno ancora un valore le buone maniere e i buoni sentimenti. Miss Garnette è la persona a cui si rivolgono tutti per un consiglio, un rimedio naturale, un aiuto, un lavoro: quelli che dispensa sono preziosi suggerimenti offerti con grazia e generosità, e un pizzico di magia.

Questo è il primo libro della serie, realizzato con una cura dei particolari deliziosa e una grafica accattivante. Immaginiamo subito che le avventure di Miss Garnette non finiscono qui e pregustiamo con trepidante attesa di vederla all’opera nelle intriganti situazioni successive.

L’originale progetto di Jane Rose Caruso strizza l’occhio ad ambientazione e realtà tipicamente inglesi, realizzando allo stesso tempo un genere cozy mistery nostrano che ha tutto il sapore autentico dei valori familiari e solidali universali.  

Nata sull’ispirazione di un ricettario di famiglia, la serie di Miss Garnette esprime appieno l’amore da parte dell’autrice con cui è stato concepito e concretizzato, ma anche l’amore per la scrittura in generale, un potente antidoto contro le brutture della vita.

Impossibile poi resistere all’impulso irresistibile di infornare una torta soffice e profumata, accompagnata da un tè fumante.

English Version

Spices and Wishes of Jane Rose Caruso

(Vintage Reverse) 

REVIEW

A book you should always have with you, that comforts you and makes you feel peaceful through the revitalizing power of Miss Garnette’s special tea. 

This is the first volume of the series where we meet this amazing character. We are gradually introduced to her world, which is simple but at the same time wrapped up in an air of mystery. After all Beltory is exactly this: an ideal town, a refuge for the soul, where good manners and honest feelings still hold value. 

Miss Garnette is the person everyone goes to for advice, natural remedies, help, a job: what she hands out is precious advice given with gratefulness and generosity, and a dash of magic. 

This is the first book of the series, written with a wonderful attention to detail and eye-catching artwork.

It’s immediately clear that Miss Garnette’s adventures do not end here and we look forward to seeing her deal with the intriguing situations that follow. 

Jane Rose Caruso’s original project takes inspiration from a typical English setting, while creating a homegrown cozy mystery genre which is why we find universal solidarity and family values.

Inspired by a family recipe book, Miss Garnette’s series fully shows the author’s passion in conceiving and producing it. The same is true for her passion for writing, which is an effective antidote against life’s hardships. 

It’s clearly impossible to resist the urge to bake a fluffy and delicious cake served with a cup of steaming tea.

Romina 

Inseguendo l’amore di Nancy Mitford

Nel primo romanzo del 1945, di Nancy Mitford, in parte autobiografico, l’autrice ci offre un ritratto irriverente dei vizi e delle virtù della nobiltà inglese nella prima metà del nostro secolo: al centro della narrazione si trova la famiglia dei Radlett, signori di campagna dai gusti un po’ eccentrici, presso i quali la nipote Fanny trascorre lunghi periodi della propria infanzia e adolescenza. Nei ricordi di Fanny ormai adulta spicca la cugina Linda, bella, passionale, sventata e coraggiosa: è proprio lei a “inseguire l’amore”.

La seconda guerra mondiale segna la fine di un’epoca, ma non appanna mai l’umorismo irresistibile e la frizzante ironia con cui le stravaganze dei Radlett meritano di essere raccontate.

Recensione

La narrazione è disincantata e briosa ma non riesce a sconfiggere quell’ombra nera che la seconda guerra mondiale decide di gettare sulla storia. L’autoironia che Fanny rivolge agli altri, alla propria madre e agli zii, in particolare lo zio Matthew che si vanta di aver ucciso dei tedeschi a colpi di picconate e tiene appeso il detto piccone in bella vista per ricordo, non manca di usarla anche verso se stessa.

Le due cugine da piccole sono inseparabili seppure dai caratteri completamente diversi: compassata e tranquilla Fanny, irrequieta e romantica Linda.

Su un secondo piano vengono messi a confronto due mentalità e classi sociali tra cui l’Inghilterra si è sempre dibattuta: la nobiltà e la borghesia. E gli Alconleigh sono una delle ultime roccaforti della gentry terriera e il loro mondo costellato di pregiudizi e tradizioni antiche rischia di scoprirsi anacronistico quando si imbatte nella realtà e questo loro lo scoprono fatalmente attraverso i i figli. Fanny registra tutto questo dalla sua prospettiva privilegiata di una maggiore apertura mentale.

Da poco uscita la serie The Pursuit of Love coglie e ripropone la stessa vena ironica e dissacrante che percorre le pagine del romanzo. Si tratta di una miniserie in tre puntate prodotta dalla BBC  che propone uno sguardo potenzialmente interessante sui grandi cambiamenti che caratterizzano la condizione femminile nell’Europa occidentale della prima metà del secolo scorso. La regia è stata tacciata di indulgere a eccessi ed eccentricità gratuita che fanno l’occhiolino allo stile Bridgerton: sfavillante ma inconcludente ai fini dell’approfondimento dei personaggi.

Linda Radlett e Fanny Logan sono due cugine molto unite, ma opposte in tutto. Costrette a seguire le regole di una famiglia aristocratica e fondata sulla tradizione, cercheranno di trovare un nuovo senso di libertà, proprio negli anni in cui un’altra, temibile, costrizione sta per calarsi su di loro: la guerra.

La direzione che prenderanno le loro vite sarà molto diversa e rispecchierà la loro indole. Alla tranquilla sistemazione di Fanny corrisponderà una tormentata e irrequieta vita matrimoniale e sentimentale di Linda che passerà da un amore all’altro fino a trovare quello giusto o quello vero?

La guerra arriverà a gettare un’ombra cupa e minacciosa su tutti offuscando i sogni di gioventù una volta per tutte.

L’isola delle fate di J. Ann

Titolo: L’isola delle fate

Autore: J. Ann

Editore: More Stories

Formato: cartaceo ed ebook

Trama

 Il legame con alcuni posti è davvero indissolubile, ed è per questo che Aine è tornata a vivere sulla sua isola, a Skye, dove sono le sue radici. Lei, che ha un nome importante, che in celtico significa “Regina delle Fate” un po’ fata lo è davvero, con le sue pozioni, le tisane e le erbe che raccoglie con le sue mani. La vita l’ha ferita, ma le ha anche insegnato come essere felice e indipendente, col cuore al sicuro, dove nessuno potrà mai trovarlo. Dell’amore dice che può fare a meno, fintanto che a circondarla ci saranno gli affetti: la nonna, che le ha insegnato quasi tutto ciò che sa della sua arte, e poi gli amici. Ma l’amore ha i suoi modi magici e misteriosi e se ti vuole ti trova, anche quando sembra impossibile. Così, quando Patrick arriva sull’isola per studiare le aquile per conto dell’università dove insegna, a Oxford, l’aria tra i due si fa subito elettrica. E anche se entrambi non sembrano disposti a voler rinunciare alla loro libertà, tenere a freno i sentimenti diventerà sempre più difficile. Sullo sfondo dell’isola di Skye, tra distese erbose, seducenti pozze d’acqua cristallina, montagne da esplorare e vecchi cimiteri incantati, l’amore assume sfumature magiche, facendo coincidere realtà e leggenda.

Recensione

Aine vive nell’isola di Skye dove è tornata a cercare le sue origini. Qui vive sua nonna che gestisce un B&B poco frequentato e aleggia l’arcana presenza di sua madre.

Capitolo dopo capitolo, intitolato a un’erba officinale e a un fiore selvatico che abitano le foreste insieme alle fate, scopriamo il suo carattere schivo e spigoloso, le sue emozioni e i suoi segreti.

Poco dopo arriva anche l’amore ma la vera protagonista questa volta è l’isola, così magica e inaccessibile, affascinante e impenetrabile.

Tutto sulla nostra isola ha un appellativo fairy, relativo alle fate. Leggenda narra che un membro del clan ManLeod abbia sposato una principessa delle Fate. Da allora Skye è stata definita l’Isola delle Fate. Di conseguenza abbondano piscine naturali “delle fate”, prati “delle fate”, addirittura abbiamo la potente Fairy Flag, una bandiera magica in grado di proteggere un clan per tre volte durante altrettante battaglie, e così via. Non c’è da stupirsi se anche oggi siamo propensi ad attribuire un tale appellativo alla nostra terra e agli elementi naturali che vi si trovano.

J. Ann ha una scrittura davvero suggestiva e coinvolgente che lascia ben poco da aggiungere.

Il suo è un vero e proprio viaggio magnifico in cui conduce per mano il lettore. Sento di essere stata veramente a Skye, ne ho assaporato gli odori e ho bevuto le tisane ritempranti di Aine. Ho visto le nebbie dissolversi e ho udito il frusciare tra gli alberi insieme alle risate cristalline delle fate. Le erbe aromatiche e i fiori incantati non mancano di sprigionare i loro effluvi portentosi, adatti a curare ogni malanno umano, del corpo e dello spirito.

Ogni problema ha la sua erba. Questa più o meno è la mia filosofia di vita.

Ma non sono una fattucchiera. Unisco le tradizioni della mia terra e della mia famiglia ai miei studi universitari. Così possono realizzare unguenti, miscele per infusi e qualsiasi altra cosa si possa fare con erbe, piante e fiori per aiutare gli abitanti di Elgol e non solo.

Quello che Aine non sa è che anche lei ha bisogno di una medicina speciale per il suo male, un male che le ha corroso il cuore e lo ha indurito rispetto a ogni sentimento di debolezza come potrebbe rappresentare innamorarsi di qualcuno.

L’unico legame che accetta e che sente veramente forte è quello alle proprie origini e alla propria isola dove, del resto, risiedono tutti i suoi affetti: lo spirito della madre, la nonna Brighit.

Mi sono affezionata a nonna Brighit e mi mancheranno i suoi rimbrotti simpatici e le sue osservazioni perspicaci così come quel mondo di serendipità che con sapienti tocchi e pennellate descrittive J. Ann ha saputo creare.

Indubbiamente l’aitante Patrick arriverà a movimentare molto la tranquillità della vita di Aine e il loro approccio inizialmente è molto fisico, sensuale. Ma le regole che Aine si è imposta vietano ogni coinvolgimento più profondo.

La conoscenza reciproca, l’incanto dell’isola, e anche qualche aiutino esterno, compiranno la magia?

Molto simpatico il cameo riservato al precedente romanzo di J. Ann, Finalmente a casa, che crea uno speciale filo rosso tra le opere dell’autrice.