Archivio | ottobre 2019

Curiosità alimentari in epoca Regency

Il viaggio nell’alimentazione dell’800 è un percorso ad ostacoli nella chimica delle adulterazioni: il pane sbiancato col gesso e impastato con allume, per risparmiare sulla farina, tecniche di conservazione piuttosto precarie ed esposte ai microbi per il latte, e altri cibi freschi, birra resa più forte con l’aggiunta di intrugli come oppio ed erbe velenose, carni macellate provenienti anche da animali malati, per non parlare dell’ignoranza delle più elementari norme di igiene e refrigerazione
Gli ananas.
Ai tempi di Jane Austen, gli ananas erano così rari ed esotici che quando una padrona di casa era abbastanza ricca da procurarsene uno, esso veniva usato come un centrotavola e non veniva mangiato affatto! Anzi, poiché era così apprezzato, poteva passava ad altre padrone di casa fino a quando non marciva!
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Il gelato.
Uno dei dolci preferiti era il gelato all’epoca della Reggenza che veniva fatto con il ghiaccio conservato nelle ghiacciaie (oppure addirittura importato). Il gusto più popolare pare fosse il “parmesan cheese”, il formaggio parmigiano! De gustibus! Naturalmente anch’esso era un alimento solo per ricchi sia da acquistare sia da avere in tavola fatto direttamente dai propri cuochi a casa. 
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Ricetta per fare il gelato tratta da “The Art of Cookery Made Plain and Easy” di Hannah Glass:

“Tagliare a pezzi dodici albicocche, e scottatele, trituratele in un mortaio, aggiungete loro sei once di zucchero doppio-raffinato, e una pinta di crema sigillante, e lavoratele attraverso un setaccio; mettetele in una scatola con coperchio chiuso, e mettetele in una vasca di ghiaccio tritato piccolo, con quattro manciate di sale mescolate tra il ghiaccio; quando vedete la vostra crema crescere spessa ai bordi della vostra scatola, mescolate bene, e rimettetela dentro finché non è abbastanza densa; quando la crema è tutta congelata, toglietela dalla lattina, e mettetela nello stampo tenendo un’altra vasca di sale e ghiaccio pronta come prima; mettete lo stampo al centro, e adagiate il ghiaccio sotto e sopra di esso; lasciatelo riposare quattro ore, e non giratelo mai fino al momento in cui lo volete, poi immergete lo stampo in acqua fredda, e trasformatelo in un piatto. Si può fare con qualsiasi tipo di frutta allo stesso modo”.

 

 

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Un pasticcere italiano.
Al numero 7-8 di Berkeley Square nel West End di Londra Domenico Negri fondò nel 1757 la pasticceria originariamente chiamata “The Pot and the Pine Apple”; anni dopo James Gunter divenne socio di Negri e la chiamò Gunter’s Tea Shop.
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Master chef. La prima apparizione di uno chef-celebrità è stata durante il periodo della Reggenza. Si chiamava Marie-Antoine Careme e fargli cucinare un pasto sarebbe costato più reddito annuo di un modesto lavoratore. Come gli chef celebri che abbiamo oggi, Marie-Antoine aveva scritto molti libri di cucina di successo e lavorò sia per Napoleone che per Principe Reggente. Ha inventato il soufflé al cioccolato!
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Cioccolata. In epoca Regency avevano un palato molto diverso dal nostro. Il loro cioccolato era piuttosto amaro ed era bevuto come il caffè. Era considerata comunque una bevanda golosa e sorseggiata spesso al mattino.
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Bere il caffè. Non avevano solo il palato diverso dal nostro ma anche il modo di bere il caffè, come dei gattini affamati, dal piattino.
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La famose focaccine di Bath. di cui Jane Austen “amava” fare indigestione:
farò il possibile per rendere minima la differenza procurandomi dei disordini di Stomaco a forza di focaccine di Bath
(Lettera n. 29 (sabato 3 – lunedì 5 gennaio 1801) a Cassandra Austen, Godmersham) Trad. di G. Ierolli: jausten.it
Dose per 12
450 gr farina; 150 gr burro; 7 gr lievito in polvere; 2 cucchiai di zucchero; 225 ml latte; un pizzico di sale, un cucchiaio di semi di cumino.
Per la glassa: 2 cucchiai di zucchero fine; un cucchiaio di latte.
Aggiungere il sale alla farina e lavorare il burro nel composto; aggiungere lievito, zucchero, semi di cumino, mescolare bene. Scaldare il latte e aggiungerlo un po’ alla volta. Lavorare l’impasto per 10 minuti su un piano infarinato, poi lasciarlo riposare in una ciotola coperta con un panno fino a che raddoppia, anche per due o tre ore. Formare 12 focaccine e metterle su una teglia imburrata e infarinata. Coprire con uno strofinaccio e far lievitare ancora un’ora. Infornare per 15 minuti finché non saranno dorate. Intanto scaldate lo zucchero e il latte per la glassa, spennellate sulle focacce calde e cospargete con zucchero e semi di cumino.
(Ricetta procurata da Chiara Biscella in Non solo porridge, Letterati inglesi a tavola, a cura di Francesca Orestano)
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Sitografia:

Il giardiniere dello Scià e La gabbia di Cranford di Elizabeth Gaskell

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Lasciate velocemente le memorie de Il giardiniere dello Scià che racconta con puntualità documentaristica i suoi trascorsi a Teheran nel suo peculiare incarico, grazie al libro di Elliot Edizioni ritorno, anche se per poco, al magico mondo di Cranford, il paese delle nobili signore.

Un gioiellino, ecco cos’è The Cage at Cranford, che ci restituisce alla sua deliziosa atmosfera e a quei personaggi tanto amati che ci hanno conquistati e fatto sorridere con le loro ingenuità e i loro pregiudizi, incrollabili paladini della cara vecchia Inghilterra.

Anche questa volta si tratta di un divertente equivoco che arriva a turbare la tranquilla esistenza della signorina Pole la quale aspetta di vedersi recapitare da Parigi una gabbia nuova per il suo pappagallo. Inutile dire quanti discorsi, programmi e progetti inneschi questa erronea aspettativa e quale esito esilarante attenda tutti noi alla fine del racconto.

Ben fatte sia la traduzione che la prefazione. di Massimo Ferraris.

 

Sinossi

Mr Burton, inglese sano e di bell’aspetto nel fiore dei suoi anni, ha accettato un incarico che lo condurrà molto lontano da casa: partirà per Teheran, dove diventerà il giardiniere ufficiale dello scià di Persia. I problemi, però, iniziano non appena mette piede in terra straniera, perché lo scià nel frattempo è morto, e al suo nuovo sovrano non importa nulla né del giardinaggio, né degli impegni presi dal suo predecessore. Inizia così uno dei racconti più apprezzati di Elizabeth Gaskell, Il giardiniere dello scià, apparso per la prima volta nel 1852 nella rivista dickensiana Household Words, seguito da La gabbia di Cranford, edito dieci anni dopo in un’altra rivista dickensiana, All the Years Round, una sorta di piccolo sequel al mitico romanzo Cranford.

 

L’Autrice:  ELIZABETH GASKELL
Nacque a Londra nel 1810. Nel 1832 sposò il pastore William Gaskell, fortemente impegnato nel sociale, e la loro casa divenne un luogo di incontro per una cerchia di intellettuali anticonformisti. Dopo la morte del figlio, si dedicò alla scrittura a tempo pieno. Oltre a otto romanzi e a numerosi racconti, pubblicò nel 1857 la biografia dell’amica Charlotte Brontë (Castelvecchi, 2015). Morì ad Alton nel 1865. Nel 2015, Elliot ha pubblicato i romanzi CranfordIl paese delle nobili signore e Ruth, nel 2016 il romanzo Mary Barton, nel 2017 il racconto lungo Lois la strega e nel 2018 il romanzo La cugina Phillis.

Scheda del libro

Titolo: Il giardiniere dello Scià e La gabbia di Cranford

Autore: Elizabeth Gaskell

Traduzione e cura: Massimo Ferraris

Edizioni: Elliot

Pag. 45

 

La Chioma di Berenice di Amalia Frontali

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La vita è una Ghaziya,

concede a ciascuno solo un breve giro

di danza.

Solo per questo Proverbio egiziano andrebbe letto il libro di Amalia Frontali che in esso si rivela, nella sua elegante cura dei dettagli (in cui va inclusa a pieno titolo una superba copertina realizzata da Mirella Farchica).

Un romanzo storico quanto basta per essere precisamente documentato, avventuroso per la trama avvincente e i colpi di scena mozzafiato, romantico nel cuore più profondo della storia,  esotico per le atmosfere orientaleggianti che sa evocare perfettamente.

Anche se l’autrice prende le distanze dalle licenze poetiche che si è concessa, e ci ha regalato, discostandosi dalla tassatività delle date ed eventi di una ricostruzione biografica, ne La Chioma di Berenice nulla è lasciato al caso e ogni dettaglio è esattamente curato e restituito al proprio posto secondo un criterio di verosimiglianza che convince pienamente.

I personaggi si stagliano come le gigantesche statue egizie nascoste dalle dune di sabbia e si impongono all’attenzione con le loro solide e prorompenti personalità. Niente di loro è tralasciato: pensieri, moti dell’animo, emozioni, ci sono mostrate a tutto tondo con una profondità psicologica raffinata.

Risalgo le placide acque e insidiose del Nilo insieme ai coniugi Belzoni e come in una favola delle Mille e una notte attraverso deserti e cieli stellati nondimeno che templi, mercati affollati e luoghi promiscui come i serragli.

 

Una scrittura bella, raffinata e mai volgare, gradevole e discreta finanche nelle scene più intime. Uno stile che non conosce stonature e una straordinaria proprietà di linguaggio che  descrive un paesaggio egiziano con la stessa competenza e vividezza di uno stato d’animo turbato.

 

Prima di chiudere gli occhi il pensiero di Sarah andò a quello scherzo del fato per cui si nasceva in una città moderna e gremita di abitanti, piuttosto che su un’isola sperduta d’un fiume africano e solo in base a questo, il che pareva un azzardo da bisca seppure di mano divina, mutava interamente non solo il sistema dei valori e la percezione del mondo, ma le aspettative, le speranze, gli intenti. In breve, ogni cosa.

E si chiese, cosa di cui mai un tempo avrebbe dubitato, se quelle donne che filavano lana di pecora, partorivano figli e coltivavano durrah su un terreno infecondo non fossero più sagge di lei, a non nutrire aspettative o speranze che recassero delusioni, a prendere la vita, come un fiume, semplicemente nella direzione della corrente.