Quando ho letto per la prima volta un romanzo di Barbara Pym, ho subito pensato di ritrovarci l’influenza di Jane Austen sulla sua conterranea. D’altronde me l’avevano raccomandata diverse definizioni che la volevano proprio come “la moderna Jane Austen”, o che la paragonavano a lei per la capacità e la grazia sopraffine con cui ritrae il quotidiano e le relazioni umane.
Non accosterei i nomi delle due autrici per metterle a confronto -perché possono benissimo coesistere per registrare opinioni e pareri differenti, di maggiore e minore gradimento-, ma terrei presente che la Pym “proviene” e “discende” dalla Austen: perciò la collocherei sicuramente nel firmamento delle scrittrici inglesi per definizione.
Poi, a mano a mano che conoscevo i suoi romanzi, la sensazione iniziale ha trovato una conferma sicura nella citazione esplicita di opere e personaggi di Jane Austen, e l’ipotesi è diventata reale. Anche se cento anni dopo, Barbara racconta la vita di signorine nubili e signore vedove intorno ad una canonica, con ironia e trame imbastite spesso su poco o niente.
Le sue vicende affatto eclatanti, le tranquille atmosfere di ambienti medio-borghesi, i pettegolezzi serpeggianti tra vedove e nubili signorine, la presenza costante di curati appetibili, sembrano ricreare il piccolo mondo antico di Jane Austen e soprattutto obbedire al consiglio dato da lei alla nipote Anna: quello di scrivere di ciò che si conosce senza imbarcarsi in grandi imprese impossibili:
Ora stai radunando i tuoi Personaggi in modo delizioso, mettendoli esattamente in un posto che è la delizia della mia vita; – 3 o 4 Famiglie in un Villaggio di Campagna è la cosa migliore per lavorarci su – e spero che scriverai ancora moltissimo, e li sfrutterai pienamente ora che sono sistemati in modo così favorevole[1].
Leggendo i giudizi di alcuni lettori i commenti non sono sempre entusiastici perché Pym non gode della stessa lucentezza di Austen, ed anzi incorre in quello che è il possibile rischio insito in una scelta monotematica, risultando a volte ripetitiva, monotona. Ed è per questo motivo che sarebbe necessario conoscere il più possibile la sua produzione narrativa per comprendere appieno il suo stile e il peculiare genere.
Quando la si incontra in Crampton Hodnet, si ha proprio l’impressione di un romanzo ben orchestrato, denso di personaggi interessanti e divertenti, che funzionano perfettamente accordati tra loro, il tutto sulla chiave di un misterioso luogo –Crampton Hodnet appunto- che funge da valvola di sfogo e origina la commedia degli equivoci attorno alla quale è costruito il bluff della storia. I personaggi sembrano usciti dalla penna di zia Jane: l’insopportabile signorina Doggett, la sua dama di compagnia Jessie Morrow, che non conta niente, Francis Cleveland, nipote della signorina Doggett, stanco della vita matrimoniale, e sua figlia Anthea, che invece sogna l’amore romantico. L’arrivo in questo monotono e composito ménage del signor Latimer, il curato scapolo, Barbara Bird, studentessa attraente, e Simon Beddoes subito affascinato dalla bella Anthea, dà vita a simpatici quadretti d’interni…
Ma Pym non è sempre frizzante come in questo romanzo corale; lo è sicuramente meno, in Tutte le virtù e in Qualcuno da amare dove un po’ delude: racconti semplici, lineari, circolari e apparentemente banali, in cui la scrittrice, con il suo ristretto ambito parrocchiale tra zitelle e curati, è ripetitiva, risulta leggermente pedante come loro, ma tutto sommato anche rilassante.
Nei due racconti citati, la vita di paese scorre rassicurante e immobile finché a movimentarla non arrivano nuovi personaggi. Cassandra, una donna giovane e graziosa, sa di possedere tutte le virtù, perché la gente non fa che ripeterglielo. Adam, il marito, un vero gentiluomo benestante che scrive poesie e qualche romanzo, le è devoto ma è assai egocentrico e leggermente pedante. Ma ecco l’imprevisto. Uno straniero alto e affascinante viene ad occupare una casa vicino alla coppia. Per fargli piacere Cassandra organizza un party di benvenuto. Lo straniero si innamora di Cassandra a prima vista e questo produce situazioni imbarazzanti, insidiosi pensieri e qualche pettegolezzo ma poi, nella migliore tradizione della Pym, tutto finisce bene e la virtù trionfa.
Harriet Bede sa come prendersi cura dei curati della sua parrocchia per i quali è molto più che ospitale con calzini e sciarpe fatte a maglia e ottime cene. La sorella Blinda coltiva invece da trent’anni un amore impossibile per l’arcidiacono, che, sposato a una donna intrigante e ambiziosa, non disdegna talvolta di scaldarsi al tranquillo calore dell’affetto di lei. La vita in paese: un bibliotecario incline tanto ai libri quanto alle pinte di birra e un vescovo di un’esotica diocesi africana ansioso di accasarsi.
Il fatto è che spesso la corrispondenza si percepisce dalle atmosfere e dallo stile, da qualcosa di impalpabile che caratterizza i due tipi di scrittura, diversi eppure appartenenti alla stessa matrice originaria, forse allo stesso tipo di humour.
Le Donne eccellenti della Pym, devote e virtuose, non saranno quelle di Jane Austen -perché siamo più avanti con gli anni e il tipo di società di cui si parla-, ma la tagliente ironia è la stessa e a volte fa capolino e costringe ad un sorriso complice. Identico è anche il pudore -che adoro- con cui si parla d’amore: senza svenevolezze e languori. Si può essere eccellenti anche con una vita semplice; che poi la vita semplice non è mai…
Si tratta di una commedia romantica dal gusto dolce-amaro perché lascia intendere come il matrimonio non sia necessariamente il sogno e la meta di tutte le donne, o almeno non di Mildred che raggiunge lo stesso una realizzazione, ha una vita “piena”.
Siamo in un’epoca molto diversa da quella in cui scriveva e ambientava i suoi romanzi Jane Austen: nella Londra postbellica, all’inizio del femminismo e alla fine del colonialismo, in questo suo la Pym offre attraverso un umorismo derisorio e leggermente perfido una critica sociale che al tempo stesso illumina e intrattiene, prendendo di mira proprio gli stereotipi e i luoghi comuni.
Ma le lapidarie sentenze professate da miss Lathbury in fatto di nubilato sono sicura che avrebbero trovato d’accordo anche zia Jane: ‹‹Io non mi sono sposata, ecco forse un motivo di felicità, o di infelicità prontamente evitato››[2]. Modesta e autoironica, non si faceva illusioni sul proprio ruolo sociale: ‹‹Sono una donna che nei momenti delicati prepara sempre una tazza di tè››[3].
Con la lettura di Jane e Prudence tutte quelle che all’inizio appunto potevano sembrarmi impressioni soggettive, hanno ricevuto una prova oggettiva ed è stata la stessa Pym ad offrirmela. A questo punto le coincidenze non sono risultate solo nominative: la coprotagonista di questo romanzo infatti si chiama Prudence Bates, è nubile e viene spesso chiamata “Miss Bates” con il seguente commento esplicativo:
A Prudence non piaceva essere chiamata signorina Bates; se assomigliava a qualche personaggio letterario, questo non era certo la povera sciocca signorina Bates, ma come altrimenti avrebbero potuto chiamarla la signorina Trapnell e la signorina Clothier?[4].
L’amicizia tra le due donne risale a quando Jane era tornata per un paio di anni a Oxford a insegnare, e Prudence era sua allieva. Ma le due non potrebbero essere più diverse: Jane, quarantenne, è un’accademica dal viso struccato e dall’abbigliamento dimesso, non se la cava troppo bene neanche nelle sue funzioni di moglie di un ecclesiastico; Prudence è al contrario bella, neanche trentenne, schizzinosa, vestita in modo squisito, ha un appartamento così elegante. Ha pure l’abitudine di preferire relazioni insoddisfacenti: l’ultima infatuazione è per il suo orribile capo, che neanche si accorge della sua presenza.
Quando la sua amica Jane cerca di combinare per lei un matrimonio, è questa stessa ad autoparagonarsi alla nostra Emma:
Forse Fabian e Prudence avrebbero potuto vedersi a Londra. Incominciò a progettare pranzi e cene per loro. Davvero, mi sento quasi come Pandaro, si disse, solo che questo sarebbe stato un corteggiamento e un matrimonio secondo le convenzioni. Fabian era vedovo, e Prudence nubile; non c’era neppure l’imbarazzo di un divorzio. No, ripensandoci, Jane decise di essere molto più simile a Emma Woodhouse[5].
In questo caso la Pym doveva avere non solo presente l’omonimo romanzo di Jane Austen, ma addirittura lo aveva ben aperto davanti agli occhi per attingervi a piene mani e così dichiaratamente.
Sempre ad Emma, o meglio alla sua propensione a combinare matrimoni, si ispira Dulcie la protagonista di Amori non molto corrisposti, che, come si può evincere facilmente dal titolo, non riscuoterà molto successo né per la sua amica Viola, né per sua nipote Laurel, sue coinquiline, entrambe invischiate con Aylwin, un uomo sposato che si sta separando. L’imprevisto quanto improvviso cambio di sentimenti di quest’ultimo, inopinatamente verso Dulcie appunto, è accostato, come a per trarne legittimazione, al finale di Mansfield Park, ed è proprio curioso che sia l’uomo a farlo:
Quanto al palese cambiamento di sentimenti, si era ricordato del finale di Mansfield Park, quando Edmund si disamorava di Mary Crawford e cominciava ad amare Fanny. Per certo Dulcie conosceva bene il romanzo, e avrebbe capito. Che sorpresa sarebbe stata, soprattutto per la sua famiglia e per Dulcie stessa, che l’aveva così spesso esortato a fare un matrimonio “sensato”, se, una volta libero, avesse proprio fatto un matrimonio del genere! Eppure era fedele al personaggio dopotutto[6].
Il resto delle affinità lo stabilisce l’impressione tutta soggettiva e personale di trovarsi a che fare con due scrittrici veramente divertenti e ironiche, di quelle che ti strappano un sorriso anche senza volerlo e senza alcuno studio per risultare simpatiche, men che meno per produrre battute. Unica accortezza: prestare attenzione anche al più piccolo particolare e non tralasciare alcuna parola o dialogo, perché proprio lì può nascondersi una trovata o un’arguzia esilarante. Il che capita leggendo sia l’una sia l’altra.
[1] Jane Austen, Lettere, trad. Giuseppe Ierolli, edizioni ilmiolibro.it, Roma, 2011, L. 107 di venerdì 9-domenica 18 settembre 1814, p. 404.
[2] Barbara Pym, Donne eccellenti, trad. Bruna Mora, Milano, edizioni Astoria, 2012, p. 119
[3] Barbara Pym, Donne eccellenti, cit., p. 213
[4] Barbara Pym, Jane e Prudence, trad. Lidia Zazo, Milano, edizioni Astoria, 2015, p. 33.
[5] Barbara Pym, Jane e Prudence, cit., p. 95.
[6] Barbara Pym, Amori non molto corrisposti, trad. Bruna Mora, Milano, edizioni Astoria, 2014, p. 253.