
Nel giugno 1844, Dickens si recò in Italia con la famiglia: in realtà si trattava di dodici persone in tutto, compresi i domestici più un cane. Si stabilì a Genova, prima ad Albaro, a Villa Bagnarello, e poi a Palazzo Peschiere in centro, e da qui si recò nelle principali città della ridente penisola: Bologna, Venezia, Verona, Milano, Roma, Napoli (con il Vesuvio ancora molto attivo), Firenze.
Per trovare casa Dickens aveva chiesto informazioni ad amici e conoscenti e poi si era rivolto direttamente ad Angus Fletcher che si trovava a Carrara il quale aveva preso in affitto per loro una grande casa, Villa Bagnarello, ad Albaro, all’epoca un borgo alle porte della città di Genova. La villa era collocata sul fianco di una collina e vi si accedeva da un piccolo e stretto sentiero che si snodava dalla costa fino in cima alla strada: una grande casa, ma non grandiosa, affacciata sul golfo di Genova, che però non soddisfece Dickens il quale la soprannominò “prigione rosa”.
Sebbene il panorama sia dei più suggestivi, la casa è ritenuta decrepita, tetra, echeggiante e disadorna, perciò esauriti i tre mesi di affitto e aver esplorato a fondo i dintorni circostanti, Dickens pensa a trasferirsi.

Riuscì a prendere in affitto un palazzo al centro città, Palazzo delle Peschiere così chiamata per via delle due grandi vasche ornamentali piene di pesci rosse antistanti alla casa. Costruita nel tardo XVI secolo la dimora scelta questa volta aveva dimensioni grandiose: dall’atrio al pianoterra, coperto di affreschi, ai vasti e numerosi ambienti e stanze in cui si dispiegava.
Per consegnare e far pubblicare il libro di Natale di quell’anno, che aveva composto proprio a Genova, intitolato Le campane, Dickens si recò a Londra; compie il primo tratto da solo con il fido Roche, da lui soprannonimato il Bravo Corriere, e dà appuntamento alla moglie a Milano il 2 dicembre. Nel frattempo, attraversa l’Emilia per giungere a vedere finalmente Venezia il cui primo impatto è violentissimo!
Passando per Verona, Mantova e Milano Dickens lascia il confine italiano attraverso il Passo del Sempione per sbrigare gli affari che lo richiamano a Londra.
Dopo questa breve parentesi in cui, Dickens fece ritorno a villa delle Peschiere per festeggiare il nuovo anno (1845) e il 20 gennaio erano di nuovo in viaggio in giro per l’Italia, questa volta diretti a Roma (con un viaggio di ben dieci giorni) e successivamente a Napoli.

Nelle sue Impressioni italiane mette subito in chiaro che non vuole soffermarsi sulle opere d’arte, pur essendone estimatore, ma sulla vita vera perché da quella è venuto a trarre ispirazione e nuova linfa vitale per i suoi romanzi. Di contro, rimaneva sempre molto interessato agli aneddoti e ai tipi caratteristici che incontrava piuttosto che alle opere d’arte inanimate. La sua presentazione dell’Italia complessivamente intesa, e già solo per questo, risulta però estremamente riduttiva e troppo semplicistica. Ma il suo stile è inconfondibile e i suoi giudizi assomigliano più a delle visioni che a dei resoconti di viaggio. Ripercorriamoli con lui.
Genova è inizialmente stigmatizzata per lo sporco e le puzze, i vicoli strettissimi e il suo disordine anche se Dickens non manca di coglierne l’affascinante colpo d’occhio d’insieme:
Laggiù si stende Genova in bella confusione, con le sue molte chiese, i monasteri e i conventi che additano il cielo soleggiato…
Piacenza è definita come la “scura, decadente, vecchia Piacenza”, piena di erbacce sporcizia e pigrizia.
Un luogo deserto, solitario e pieno di erbacce, con delle fortificazioni in rovina; con i fossati seminterrati, che offrono un magro pascolo agli sparuti bovini che si aggirano nei pressi; e strade di austere case, che guardano in cagnesco le case dirimpetto.
Parma riscuote un diverso apprezzamento:
Parma ha strade allegre ed animate, per una città italiana; e di conseguenza è meno caratteristica di molti posti di minor fama. Sempre però eccettuato la Piazza, appartata, dove la Cattedrale, il Battistero e il Campanile -antichi edifici anneriti dal tempo, adorni di innumerevoli mostri grotteschi di figure trasognate scolpite in marmo e pietra rossa – sono radunati in un grandioso e magnifico riposo.
Un tempo piacevolissimo li accoglie a Modena:
dove la penombra degli scuri portici sopra i marciapiedi… era resa gradevole e rinfrescante dal cielo luminoso, così meravigliosamente azzurro. Ed io passai da tutta la gloria della luce del giorno all’interno di una buia cattedrale dove si celebrava messa grande, deboli candele bruciavano, la gente era inginocchiata in tutte le direzioni davanti ogni sorta di altare e i preti officianti borbottavano il solito canto, nel solito basso, sordo, strascicato e melanconico tono.
Di Bologna gli rimane l’immagina di una seria e dotta città, con le due torri spendenti di mattoni, inclinate di traverso, “come se stessero rigidamente inchinandosi l’una all’altra”, piena di turisti, lasciata per la vecchia e tetra Ferrara, solitaria e spopolata, dove l’erba cresce talmente nelle strade silenziose che “chiunque potrebbe far fieno qui, letteralmente, mentre il sole brilla” e meritano una visita la casa dell’Ariosto, la prigione del Tasso e l’insolitamente antica cattedrale gotica.
Oltrepassato il Po, Dickens si imbarca in direzione di Venezia dove arriva direttamente in barca la sera dell’11 novembre 1844. Venezia lo affascina, con la sua insuperabile bellezza, la maestosità della Piazza e la grandiosità della cattedrale. Nondimeno Dickens rimane attratto dalla visita alle Prigioni, le strette viuzze, i canali e i ponti che li attraversavano come balconi in pietra.

Verona come già prima Venezia fa parte delle reminiscenze shakespeariane:
Avevo un certo timore ad andare a Verona, per tema che potesse lasciarmi completamente insoddisfatto di Romeo e Giulietta. Ma non avevo fatto in tempo ad arrivare nella vecchia piazza del mercato che la mia apprensione svanì. È un posto così fantasmagorico, singolare e pittoresco, formato da una varietà così grande e straordinaria di edifici fantastici, che nulla di meglio potrebbe trovarsi nel centro di una città, anche romantica come questa: scenario di una delle più belle e delle più romantiche storie.
A Mantova si affida a un cicerone sui generis che, dopo sommarie spiegazioni della Basilica di Sant’Andrea, sotto la quale è conservato il Santo Graal degli antichi romanzi cavallereschi, la Piazza del Diavolo, costruita dal Diavolo in persona in una sola notte senza una particolare ragione, la Piazza Virgiliana con la statua del poeta, si dirigono verso Palazzo Te dove gli affreschi di Giulio Romano colpiscono per le figure dilatate ed esagerate. Nessun rimpianto quindi per la paludosa città nel dirigersi verso Milano fermandosi a dormire a Cremona, da ricordare per le sue scure chiese di mattoni e la torre immensamente alta, il Torrazzo, per non parlare dei suoi violini.
A Milano “la nebbia è così fitta che la guglia del famoso Duomo poteva anche essere a Bombay per quel che se ne vedeva in quel momento” ma la vista dell’Isola Bella sul Lago Maggiore ricompensa di tutte le visioni confuse della città.
Quando poi i Dickens ripartono da Genova verso Roma, passano per “Spezzia” che è un buon posto per sostarvi per il suo bellissimo golfo, il suo albergo abitato da fantasmi e l’acconciatura delle donne.
Carrara, tutta circondata da alte colline, è una città chiara e pittoresca; la torre pendente di Pisa è meno alta di quella vista sui libri scolastici; diversamente,
l’insieme degli edifici raggruppati sopra ed intorno a questo tappeto verdeggiante, compresi la Torre, il Battistero, la Cattedrale e la Chiesa del Camposanto, è forse il più bello ed il più notevole che ci sia al mondo.
Da Pisa si muovono per visitare i dintorni toscani; la bella e antica città di Siena è definita “come un pezzetto di Venezia senza l’acqua”, Bolsena avvolta nella malaria, Viterbo famosa per le sue fontane, l’arrivo nella Campagna Romana fa da anticamera quieta e desolante alla Città Eterna che avvolta in una densa nuvola, con innumerevoli torri, e campanili, e tetti di case, che si ergevano nel cielo e alta sopra tutti, una Cupola. somiglia incredibilmente a Londra.
