Austen Society è un gruppo di sette autrici indipendenti di romanzi rosa con un’esperienza pluriennale in Case Editrici e unite da un’unica grande passione per Jane Austen.
2) Cosa stanno combinando?
Stanno per pubblicare una serie di SETTE romanzi.
3) Di cosa si tratta?
Sono tutti: Contemporanei Autoconclusivi ispirati a un romanzo di Jane Austen.
4) Quali sono i romanzi di Jane Austen oggetto dei retelling di Austen Society?
I sei romanzi pubblicati dall’autrice più il racconto epistolare Lady Susan.
5) Chi ri-scriverà cosa?
🔸Emma – Daniela Volontè
🔸Lady Susan – Raffaella “Velonero” Poggi
🔸Mansfield Park – Amabile Giusti
🔸Northanger Abbey – Angela Contini
🔸Orgoglio e Pregiudizio – Bianca Marconero
🔸Persuasione – Patrisha Mar
🔸Ragione e Sentimento – Laura Mercuri
6) Quando escono i retelling di Austen Society?
Il primo sarà Northanger’s Secret ad aprire le danze l’11 aprile!
Tutti coloro che amano Jane Austen sanno che I Watson e Sanditon non sono nati sotto la stessa buona stella di Ragione e sentimento, Orgoglio e pregiudizio, Mansfield Park, Emma, Persuasione e L’abbazia di Northanger. In questo volume Romina Angelici ci presenta i due frammenti austeniani nell’eccellente traduzione di Giuseppe Ierolli, intervallandoli a parti di narrativa nate dalla sua penna. Le pagine perdute di Jane Austen è infatti un’opera in cui l’autrice immagina un potenziale finale per I Watson e una fittizia avventura di Jane Austen che sarebbe stata poi la fonte di ispirazione per Sanditon. Attraverso questo gioco letterario, Romina Angelici crea un collegamento tra i due romanzi incompiuti dando loro nuova linfa vitale. Omaggia così un’autrice immortale come Jane Austen e regala a ogni Janeite la possibilità di trascorre qualche ora nel mondo Regency rivivendo ancora una volta l’incanto austeniano.
Ebbene sì, Orgoglio e Pregiudizio festeggia oggi, 28 gennaio 2023 il 210^ compleanno e può ben spegnere con soddisfazione le sue altrettante candeline!
Tante le edizioni che hanno lastricato il percorso di stampa fino a oggi, tante le copertine che hanno cercato di catturare l’essenza del romanzo.
E’ il romanzo a cui sono affezionata, che ha fatto scoccare il colpo di fulmine con Jane Austen, che ha orientato i miei gusti letterari e ha deciso il mio futuro da lettrice.
Per me, tutto iniziò con questa copia, affrontata nel 1985 come compito delle vacanze estive e nonostante i nomi improponibili, Giovanna, Guglielmo, ma anche Carlo, la storia mi piacque sin da subito.
Poi lo rilessi tante e tante volte, con traduzioni diverse, in edizioni più o meno commentate, e l’amore è cresciuto a dismisura. Posso confermare che è tutto vero quel che Calvino dice dei classici.
Perché questo, Signore e Signori, è il Classico per eccellenza.
Non solo ha tutte le caratteristiche per essere intramontabile, ma ha una modernità e una verve che non passeranno mai di moda e saranno sempre di un’attualità disarmante.
Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
Se c”è un libro a cui calza alla perfezione questa massima è Orgoglio e Pregiudizio.
Che non mi stancherei mai di rileggere, all’infinito, che porterei con me su un ‘isola deserta e che a ogni rilettura mi riserva sempre un piacere sempre nuovo.
Jane Austen, nella lettera del 29 gennaio 1813 scrive a Cassandra dell’arrivo della sua copia personale:
Voglio dirti che ho avuto il mio adorato Bambino da Londra.
Nella lettera si racconta anche dello scherzo giocato ai danni di Miss Benn che ospite al cottage, non sa di avere davanti l’autrice del libro che stanno leggendo in salotto:
Miss Benn era a pranzo da noi proprio il giorno dell’arrivo del Libro, e nel pomeriggio ci siamo completamente dedicate a esso e le abbiamo letto la metà del 1° volume – premettendo che essendo state informate da Henry che quest’opera sarebbe stata presto pubblicata gli avevamo chiesto di mandarcela non appena uscita – e credo che ci abbia creduto senza sospettare nulla. – Si è divertita, povera anima! che non potesse che essere così lo sai bene, con due persone del genere a condurre il gioco; ma sembra davvero ammirare Elizabeth.
Fu sempre in questa lettera che Jane Austen dichiarò la sua passione per Elizabeth:
Devo confessare che io la ritengo la creatura più deliziosa mai apparsa a stampa, e come farò a tollerare quelli a cui non piacerà almeno lei, non lo so proprio.
Orgoglio e Pregiudizio ha avuto tanti figli, derivati di tuti i tipi: seguiti, spin off, riscritture, mash up, adattamenti, di tutto di più; e in questo senso continua a proliferare più che mai.
Un derivato particolarmente originale e frutto dei nostri tempi è stato quello dei The Lizzie Bennet Diaries: una riscrittura recitata moderna pubblicate a puntate su youtube.
Se non c’è un collegamento diretto, allora c’è un riferimento o una citazione o un omaggio implicito.
Da ultimo, per citare un esempio, il successo di Felicia Kingsley, Non è un paese per single che è una sorta di Orgoglio e Pregiudizio rivisitato in chiave moderna e trasportato sulle colline del Chianti.
Le sue versioni televisive hanno fatto sognare spettatrici di tutte le generazioni convincendo anche gli spettatori e se quella cinematografica accontenta meglio chi predilige la storia romantica, nella serie BBC le Janeites doc hanno riscontrato maggiore aderenza e rispetto al testo scritto.
La trasposizione filmica ha fatto sì che Mr Darcy diventasse nell’immaginario collettivo l’incarnazione dell’uomo ideale, affascinante e irraggiungibile ma anche un po’ rude; poi anche in questo caso ci sono stati dei riadattamenti.
Una cosa è certa: auguriamo a Orgoglio e Pregiudizio la fama indiscussa e imperitura di cui già gode, mantenendo sempre la sua eterna giovinezza e freschezza!
E come si dice in questi casi: 210 anni e non sentirli!
Il manoscritto è una prima stesura senza data, priva di titolo e con numerose cancellature e correzioni: non reca nessuna indicazione di eventuali suddivisioni (capoversi, capitoli). Il titolo The Watson è presumibilmente una invenzione del nipote J. E. Austen-Leigh, il quale pubblicò il romanzo in appendice alla seconda edizione del suo Memoir nel 1871.
L’edizione autonoma a cura di A. B. Walkley, Leonard Parsons, London, 1923, si limita a ristampare tale testo; la prima edizione ad adoperare il manoscritto della Austen è a cura di R. W. Chapman, The Watsons, a fragment by Jane Austen, now reprinted from the manuscript, Clarendon Press, Oxford, 1927 che poté consultarlo perché fino a 1978 era di proprietà degli eredi di William Austen-Leigh.
Il manoscritto è diviso in due parti: sei fogli dell’originale sono custoditi alla Pierpoint Morgan Library di New York: la parte rimanente alla Bodleian Library dell’Università di Oxford[1].
I Watson con l’eroina che si chiama Emma e il padre malato è stato alle volte interpretato come un prototipo del successivo Emma. Ma sarebbe più esatto dire che ha aspetti di somiglianza piuttosto evidenti con tutti i romanzi di Jane Austen al punto che se fosse semplicemente spuntato fuori dal nulla, non ci sarebbero stati dubbi sull’autore. A parte il nome, le due protagoniste vivono condizioni un po’ diverse: Emma Watson, dopo quattordici anni di assenza, fa ritorno nella sua famiglia d’origine e si ritrova a dover assistere il padre, ormai vecchio e molto malato, e farsi accettare dai fratelli, tra i quali i rapporti sono inquinati da piccole gelosie e invidie meschine.
Mr. Watson ricorda molto il rev. Austen e poiché la morte di lui, avvenuta a Bath il 21.1.1805, segna un brusco silenzio letterario o comunque un vuoto di notizie su Jane Austen in quel periodo, si è ipotizzato che fosse il doloroso ricordo provocatole dall’analoga condizione tratteggiata nel padre di Emma Watson a impedirle di portare a compimento il frammento abbozzato nel periodo intorno alla morte del proprio.
Jane non dovette essere sempre d’accordo con le decisioni prese dal rev. Austen, come quando decise il trasferimento a Bath per lasciare la parrocchia di Steventon a James o morendo lasciò moglie e sorelle in balia della generosità dei fratelli maschi. Verso di lui esprime sentimenti di rispettoso affetto ma non autentico slancio: lascia pensare la duplice versione della lettera con cui annuncia la morte del genitore e allo stesso tempo cerca di consolare il fratello minore Frank:
Dobbiamo sentire il peso della perdita di un tale Genitore, altrimenti saremmo dei Bruti[2].
Della sua tenerezza di Padre chi potrà renderne giustizia… Conserva il sorriso dolce e benevolo che l’ha sempre contraddistinto[3].
In seguito ne accennerà in una lettera, sempre con termini di stima e tradendo un po’ di nostalgia quando le viene richiamato alla mente l’interesse di lui per gli studi umanistici e l’ambiente universitario, caratteristiche che ritroviamo anche in Mr. Watson:
Mr. W. è stata un’utile aggiunta, dato che è un Giovanotto disinvolto e un piacevole conversatore – è molto giovane, forse a malapena ventenne. È del St John di Cambridge, e ha parlato molto bene di H. Walter come studioso; – ha detto che era considerato come il miglior classicista dell’università – Quanto sarebbe stato interessato il Babbo a una descrizione del genere![4].
Non dobbiamo pensare però che la scrittura de I Watson sia malinconica perché comunque il guizzo allegro di Jane Austen trova comunque il modo di fiorire qua e là come margherite in un prato.
Non mancano infatti battute di spirito come quella contenuta nella conversazione con Lord Osborne a proposito dell’economia domestica:
L’economia femminile può fare moltissimo, milord, ma non può trasformare un’entrata piccola in una grande.
Come anche quell’annotazione divertita sul percorso della vecchia cavalla evidentemente abituata a fermarsi davanti alla modista:
La vecchia cavalla continuava col suo trotto pesante, senza bisogno di guidarla con le redini per farla girare nei punti giusti, e fece un solo errore, fermandosi davanti alla modista, prima di accostarsi all’ingresso della casa di Mr. Edwards[5].
Per non parlare del tenero episodio con il signorino Blake che sembra uscito direttamente da una delle tante serate di ballo a cui Jane Austen stessa partecipava.
Cassandra Austen raccontò ai nipoti qualcosa della progettata conclusione de I Watson: Emma avrebbe “declinato una proposta di matrimonio da parte di Lord Osborne, e gran parte dell’interesse del racconto sarebbe ruotato intorno all’amore di Lady Osborne per il signor Howard, per contro innamorato di Emma che avrebbe comunque finito per sposare”. I lettori hanno spesso ritenuto per scontato che “Lady Osborne” equivalga in questo caso a Miss Osborne, il che risponderebbe benissimo alla tipica struttura delle trame di Jane Austen, lasciando alla matura Lady Osborne forse un ruolo di ostacolo come quello di Lady Catherine de Bourgh in Orgoglio e pregiudizio. Ma è possibile che non vi sia confusione di nomi e che la bellissima Lady Osborne si sarebbe servita di tutta la dignità del rango nel tentativo di accalappiare il semi-dipendente signor Howard.
Nello stile, come nella trama e nella caratterizzazione sembra probabile che I Watson avrebbe retto il confronto con gli altri romanzi di Jane Austen, se lo avesse finito[6].
Virginia Woolf ci invita proprio a rilevare il valore de I Watson in quanto opera incompiuta:
Le opere secondarie sono sempre interessanti perché mostrano il metodo con cui procede lo scrittore: l’aria scarna e dura dei primi capitoli ci dimostra che Jane Austen era uno di quegli scrittori che nella prima stesura espongono sommariamente la vicenda, ma poi ripetutamente vi ritornano finché questa acquisti rilievo e atmosfera. [… ] doveva prima creare l’atmosfera in cui avrebbe poi fruttificato il suo genio peculiare […] non c’è tragedia, non c’è eroismo, eppure chissà perché la piccola scena è molto più commovente di quanto non possa far supporre la sua superficiale solennità […] Ci incita a suggerire ciò che manca. Ciò che lei ci offre è apparentemente una trivialità, tuttavia composta di elementi che si espandono nell’immaginazione del lettore e investono di durevole vita quelle scene[7].
Sicuramente quelle pagine abbozzate sarebbero state ampliate e sviluppate, o per meglio dire cesellate, per diventare un altro grande romanzo dei suoi e questo ci fa dolere per l’ennesima volta della sua prematura scomparsa. Una vita più lunga e soprattutto più serena, in quelle condizioni ideali che aveva trovato in Chawton, le avrebbero permesso di rimaneggiare il lavoro interrotto e dargli una forma completa.
Cresciuta dai suoi ricchi zii, Emma Watson ha vissuto una vita molto diversa dalle sue sorelle e dai suoi fratelli. Ma dopo la morte dell’amato zio e le seconde nozze della sconsiderata zia, si troverà costretta a far ritorno nella più modesta casa paterna, dove avrà modo di conoscere la propria famiglia e confrontarsi con uno stile di vita e una mentalità completamente diverse dalle sue. In una famiglia di umili condizioni, in cui il matrimonio sembra essere l’unica speranza di salvezza per le sorelle, l’orgoglio di Emma non mancherà di creare stupore e ammirazione. La sua bellezza e il suo carattere deciso la metteranno fin da subito sotto gli occhi attenti dei giovanotti del circondario, arrivando a stuzzicare l’interesse anche dei membri della society. Ma se gli occhi possono essere accecati dal bagliore dello sfarzo, al cuore a volte basta un sussurro sincero per cedere definitivamente…
Volume II
Anche nel secondo volume di questa storia sarà la morte di un personaggio a rimescolare le carte e definire la sorte degli altri. La morte del vecchio Mr Watson, infatti, oltre a spezzare il cuore dei propri cari, porterà inevitabilmente a rivoluzionare il destino già incerto dei figli, in particolare quello delle quattro figlie ancora senza marito. Con la morte del padre, Emma rivive lo stesso dolore della perdita dell’amato zio e ne subisce le identiche drammatiche conseguenze. Ancora una volta tutto è destinato a cambiare e di nuovo nulla può essere certo per una fanciulla in età da marito che non è disposta a cedere al dovere e che reclama la propria indipendenza. In una società rinomata per le proprie rigide e insindacabili regole, però, potrà mai una giovane donna decidere del proprio destino con uno spirito d’indipendenza completamente sconosciuto all’universo femminile del tempo?
RECENSIONE
La sorella minore è la prosecuzione del frammento incompiuto I Watson di Jane Austen, da parte della nipote della stessa autrice. Come ben sottolineato nell’introduzione è esso stesso un pezzo di storia perché l’opera è stata scritta nel 1850 ancora prima che venisse alla luce il manoscritto tramite il pronipote James Austen-Leigh curatore del Ricordo di Jane Austen.
La Casa Editrice Vintage dedica giustamente di rispettare la consueta suddivisione in tre tomi del romanzo, come già era avvenuto per le altre opere di zia Jane. Si tratta di una prosecuzione dell’incompiuto di Jane Austen, ma Catherine Hubback, proprio perché non ne esisteva ancora copia pubblicata, non riscrive i capitoli abbozzati, anzi, basandosi su quanto ha conosciuto e ascoltato in famiglia a proposito del romanzo iniziato dalla zia, li rielabora dando loro la propria impronta, il proprio stile e creando un unicum assolutamente prezioso. Perché anche se non ritroviamo esattamente le parole, la forma, di Jane Austen, il senso generale della storia è pienamente rispettato e la narrazione acquista un’uniformità e un ritmo ininterrotto godibilissimi e che ne ricordano molto lo stile.
Guardato a se stante, il romanzo può essere considerato un prezioso documento storiografico perché registra e rendiconta abitudini, alimentazione, vestiario, giochi di società in modo molto dettagliato: laddove zia Jane sorvola, la nipote fornisce descrizioni precise e accurate dei capi di abbigliamento indossati, degli orari, delle pietanze, delle usanze e dello stile di vita dell’epoca.
Dire che la lettera e lo spirito e finanche lo humour di Jane Austen sono stati rispettati, è poco. Lo si percepisce benissimo da questa osservazione ironica riferita all’atteggiarsi vanesio di Tom Musgrove:
Era evidente che il suo non aver cenato gli dava una felice consapevolezza di superiorità mentale sui suoi compagni (Volume I)
Sembra di leggere uno dei suoi romanzi, di riconoscere i suoi inconfondibili personaggi, tanto le sue tipiche atmosfere e situazioni sono state ben ricreate. Non solo Emma è tale e quale alla protagonista originale, ma gli altri personaggi sono assolutamente coerenti e riconoscibili nel loro sviluppo naturale e logico, senza stravolgimenti o colpi di testa da parte di alcuno.
Bisogna dare atto a Mrs Hubback che man mano che prosegue la narrazione si rende più visibile la sua mano sia per alcune dichiarazioni più indipendenti e “moderne”, sia per precisi riferimenti all’età vittoriana in corso (come ad esempio l’accenno alla frenologia, nel volume II). Così Emma non viene lasciata a crogiolarsi nei suoi pensieri contemplanti solo il matrimonio ma oi suoi progetti possono riguardare anche altro:
Il suo piano per il futuro era di cercare un posto come insegnante in un collegio o come istitutrice privata. Qualsiasi cosa che le permettesse di sentire che si stava guadagnando da vivere, piuttosto che diventare, come diceva suo fratello, un peso per la sua famiglia (Volume II)
Questo brano in particolare, riferito alla nostra eroina, la dice lunga sul temperamento della sua autrice che sembra volerle infondere la sua tenacia e la sua forza d’animo:
Stava imparando a vedere la vita, i suoi doveri e le sue prove , sotto una nuova luce: aveva scoperto che la sofferenza non era una circostanza accidentale, come una malattia passeggera, da curare e dimenticare al più presto, ma era la condizione della vita stessa, la pace era l’eccezione, e lei aveva già goduto della sua parte. Da quel momento in poi avrebbe dovuto guardare avanti verso prove e resistenze, lottare, come milioni di persone avevano fatto prima di lei, e imparare a trarre soddisfazione non dalle circostanze ma dal temperamento della mente (Volume II)
La scelta editoriale di riproporre la suddivisione in tre volumi tipica dell’epoca, da parte della Vintage Editore, mi ha piacevolmente sorpreso e pur recando entrambi i primi due libri segni evidenti di appartenenza a un medesimo progetto grafico, ho apprezzato maggiormente, ai fini della lettura, il formato maneggevole e il nitido carattere tipografico del secondo.
La magia del ricordo ci trasporta in un piccolo villaggio inglese, nel cuore di una famiglia di cui la grande scrittrice illumina la scena, in giorni che scorrono a ritmi pacati, di naturale bellezza. Rievocata dalla memoria diretta delle nipoti Caroline e Anna, Jane Austen è una donna adorabile e arguta, incline a esilaranti facezie ma sempre benevola. Una zia che educa e intrattiene i bimbi di casa, che esercita la sua arte con assiduità e discrezione, lavorando ai suoi capolavori nella stessa stanza dove cuce per i poveri o spia il traffico di carrozze lungo la strada. Quel che va componendosi è un privato memoir, imperdibile per chi voglia conoscere gli aspetti più intimi e umani di un’icona della letteratura. “Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura” recita la frase di un suo romanzo, che si adatta perfettamente al talento di una donna il cui genio si è unito a una straordinaria, generosa umiltà.
Recensione:
Preziose e interessanti le annotazioni delle nipoti che l’hanno conosciuta di persona e i loro ricordi sono ancora più affascinanti e affettuosi, benché di stampo vittoriano.
Il loro comunque emerge come un ritratto meno ammantato di perbenismo ma autenticamente preoccupato del giusto riconoscimento.
Sebbene nascano e confluiscano nel Ricordo del nipote James Edward Austen-Leigh le testimonianze delle due nipoti rivelano quell’attenzione tutta femminile ai dettagli, quell’indugiare sull’avvenenza fisica, come a esprimere tutta la loro solidarietà di genere per la condizione sociale.
La sua calligrafia resta a testimoniare la propria eccellenza, e ogni suo biglietto o lettera era rifinito splendidamente. A quel tempo ripiegare e sigillare le lettere era un’arte, non c’erano buste adesive che rendessero tutto più facile; le lettere di certa gente apparivano sempre slegate e sciatte, ma i suoi fogli potevano essere certi di prendere la giusta piega, e la sua ceralacca di cadere nel punto giusto.
Per il loro ereditario riserbo, ci parlano poco della sua formidabile arguzia ma a saper leggere bene tra le righe, siamo sicuri di riconoscerne i segnali evidenti.
Caroline preferisce descriverne la vita facile e piacevole, per quanto poco varia, le doti di camminatrice, la capacità di declamare, l’estraneità alle questioni politiche, l’affetto tra fratelli, il legame speciale con Cassandra.
Zia Jane era la favorita di tutti i bambini. Il suo atteggiamento con loro era così giocoso, e le sue lunghe ed elaborate storie così deliziose!, annota Anna Lefroy che ricorda come le due zie venissero considerate in casa sempre le eterne ragazze.
Ne emerge il quadro di una famiglia, gli Austen, numerosa, allegra e arguta, che avrebbe potuto benissimo essere la protagonista di uno dei romanzi della zia Jane Austen.
Un irresistibile giallo regency che è anche un gioco letterario in cui figurano tutti, ma proprio tutti, i personaggi più amati di Jane Austen.
Il mondo regency si tinge di giallo. Il romanzo che sarebbe stato scritto se jane austen e agatha christie avessero preso un tè insieme. E se i più famosi e amati personaggi di Jane Austen si scoprissero detective… o magari assassini? È un’estate molto calda a Donwell Abbey, residenza di Emma Knightley e marito, che, ormai sposati da sedici anni, si godono la meritata felicità, su cui nessuno avrebbe scommesso. Nonostante il caldo, però, i doveri della vita sociale non si fermano: Mrs e Mr Knightley stanno organizzando un summer party, i cui invitati, ivi compresi Elizabeth Bennet e il marito, Mr Darcy, sono pronti a godersi chiacchiere e socialità, conditi naturalmente di tè e buone maniere. Ma c’è qualcuno che non è affatto bene accetto: Mr Wickham, il personaggio più cattivo di Orgoglio e pregiudizio, l’odioso amico di Darcy, che gli altri ospiti, in barba al bon ton, sarebbero ben felici di vedere morto. Eppure restano tutti a bocca aperta quando si ritrovano davanti nientedimeno che il suo cadavere. Adesso che ci è scappato il morto, gli invitati sono tutti nella lista dei sospettati, e tutti sono ugualmente prigionieri della splendida casa di campagna dei signori Knightley, consapevoli che tra loro c’è un assassino. Tra Emma, L’abbazia di Northanger, Ragione e sentimento e naturalmente l’intramontabile Orgoglio e pregiudizio, un irresistibile giallo regency che è anche un gioco letterario in cui figurano tutti, ma proprio tutti, i personaggi più amati di Jane Austen.
Recensione
Come in un revival incontriamo vecchie conoscenze austeniane riunite a casa dei coniugi Knightley, a Donwell Abbey. Tute le coppie formatesi nei romanzi di Jane Austen vengono invitate da Emma e consorte per trascorrere un mese di vacanze. Hanno tutte un legame particolare tra di loro, legami che servono a tessere l’intreccio della storia il cui bandolo è tenuto da quel furfante di Mr Wickham.
Quest’ultimo, vedovo di Lydia, è ben lungi dall’essersi redento e si presenta non atteso per reclamare prestiti e ricatti per cui tiene sotto tiro alcuni degli ospiti, compresi i coniugi Darcy, con i quali non è mai scorso buon sangue.
Una lettura estremamente piacevole che fa ritrovare intatti e coerenti protagonisti austeniani amati, con le loro caratteristiche e idiosincrasie. La cura dimostrata verso di essi tradisce l’amore dell’autrice per Jane Austen di cui conosce benissimo tutte le opere.
Alcuni dei protagonisti si mantengono intatti nel loro carattere originale, altri li scopriamo affetti da piccole manie: Wentworth è piuttosto collerico, Fanny è ipersensibile, Brandon recrimina in continuazione.
Divertente scoprire come le coppie “storiche” hanno impostato i rispettivi ménage coniugali senza rinunciare ad alcuno dei prevedibili sviluppi caratteriali. Per fare un esempio: i coniugi Darcy sono così diversi, eppure così complementari da scontrarsi con lo stesso trasporto con cui si amano. E con quale pudica delicatezza l’autrice ce lo ricorda:
Forse è meglio se li lasciamo qui, nell’intimità dei loro sentimenti. Ci basti sapere che la distanza tra moglie e marito è finalmente superata. Non sarà certo l’ultima incomprensione tra di loro -hanno due temperamenti troppo diversi per poter vivere in perfetta pace- ma non saranno mai più tanto distanti.
L’omicidio che avviene a casa Knightley e che rovina il ritrovo dei loro ospiti aggiunge il tocco di mistero da risolvere, come nella migliore tradizione inaugurata da Agatha Christie. L’immancabile ballo però, supremo avvenimento sociale, è l’ennesimo tributo a Jane Austen.
La morte è una delle più gravi preoccupazioni umane. Il ballo no. Verrebbe dunque logico pensare che l’idea di un ballo non sarebbe bastata a distrarre e svagare gli ospiti di Donwell Abbey, incupiti com’erano dall’omicidio irrisolto del signor Wickham. Ma niente è logico in un ballo.
Inoltre, inserto non meno importante, i due personaggi nuovi, ossia i rampolli Darcy e Tilney, conferiscono quel sapore di novità che mancava e il collante che cementa la storia.
Le premesse ci sono tutte per più di un seguito che sinceramente mi auguro.
si sa pochissimo della Sua vita, delle Sue abitudini e soprattutto delle Sue opinioni, ma credo che qualcosa si possa arguire leggendo in modo approfondito i Suoi scritti e provando a scoprire chi è Lei proprio attraverso le Sue parole.
Sebbene Lei si sia vantata di essere con tutta la possibile presunzione, la donna più illetterata e disinformata che abbia mai osato diventare un’autrice, le Sue doti sono di gran lunga superiori alla media.
La Sua falsa modestia la porta a sostenere che nessuna può essere veramente considerata istruita se non va ben oltre quello che si vede di solito, poiché una donna deve avere una profonda conoscenza della musica, del canto, del disegno, della danza e delle lingue moderne, per meritare questa parola; e oltre a questo deve possedere un certo non so che nell’atteggiamento e nel modo di camminare, nel tono della voce, nel modo di rivolgersi agli altri e di esprimersi, altrimenti la parola non sarà meritata che a metà.
E comunque a parlare per Lei è il Suo successo che dura ormai da oltre due secoli e La fa essere una scrittrice letta e ammirata non solo in Irlanda, ma in tutto il mondo. Sicuramente L’ha aiutata la Sua propensione a farsi una bella risata, a sorridere cioè ogni volta possibile, di stravaganze e sciocchezze, capricci e assurdità, di cui peraltro il mondo è pieno; l’immaginazione ha fatto il resto.
Capisco che per Lei sarebbe più facile riconoscere di essere un’ottima governante, detenendo la peculiare eccellenza di avere sempre molta cura di provvedere al suo appetito, principale merito nel governo di una casa.
Questa dote avrebbe conquistato anche un giovanotto bello, simpatico, ineccepibile (come non ne abbondano nella vita reale) ma avendo declinato più di una proposta, credo si sia trattato di una decisione sufficientemente razionale e di buonsenso, destinata eventualmente a estinguersi in modo molto ragionevole.
Sono certa che Lei non fosse una di quelle signorine (se esistono signorine del genere) da essere così audaci da affidare la propria felicità alla possibilità di una seconda proposta. La vedo infatti estranea ai colpi di testa, più vicina al buonsenso che alla sensibilità, convinta che i giovanotti belli devono avere qualcosa per vivere, esattamente come quelli brutti.
Credo di capire che la vita casalinga più delle occasioni mondane, le fosse congeniale e apprezzasse particolarmente, come una sensazione voluttuosa, sedere senza far niente davanti a un bel fuoco in una stanza ben proporzionata. Più delle quattro mura per Lei hanno rappresentato una solida certezza gli affetti domestici al pari dell’insoddisfazione per l’incoerenza della natura umana.
La definirei una persona poco incline ad allacciare amicizie essendo piuttosto avvezza a vedere subito del ridicolo nella gente e a trattarla come merita.
Vorrei che non avesse avuto alcun rimpianto anche se qualche desiderio, qualche desiderio predominante è necessario per dare vivacità all’animo di ciascuno; mi auguro non in relazione al matrimonio non essendosi dimostrata -mi pare- sensibile a nessuna delle attrattive al matrimonio e senza amore, assolutamente non disposta a modificare la Sua situazione. La Sua mente attiva e indipendente ha costituito senz’altro la Sua migliore risorsa.
Se è stato difficile rispetto ai suoi colleghi uomini affermarsi come scrittrice di romanzi, avendo loro da sempre avuto ogni vantaggio nel raccontare la loro storia, forti del privilegio dell’istruzione, la Sua penna si è rivolta ai romanzi intenzionata a garantire con essi una tollerabile serenità e a finirla con il resto.
Le assicuro che se a Lei hanno procurato una rendita piuttosto modesta, a noi hanno portato una duratura felicità.
Dall’autrice del bestseller Matrimonio di Convenienza
Belvedere in Chianti, piccolo borgo sulle colline toscane, dove abbondano ulivi e vigne ma di scapoli nemmeno l’ombra, è in fermento: Charles Bingley, nipote del defunto conte Ricasoli, sta arrivando dall’Inghilterra per prendere possesso dell’eredità, la tenuta Le Giuggiole. La notizia ha scatenato le potenziali suocere, disposte a tutto pur di sistemare le figlie con Charles o con il suo altrettanto affascinante, ricco e single amico Michael D’Arcy. A chi, invece, questa caccia al marito non interessa, è Elisa, amica d’infanzia di entrambi i giovani, con i quali passava tutte le estati alla tenuta, dove ora vive e si occupa con passione della vigna e della produzione del vino. Mentre tutte le ragazze di Belvedere si contendono i due appetitosi single, Elisa cerca di capire cosa ne sarà della tenuta, dato che Charles e Michael sembrano arrivati in Toscana con intenzioni poco chiare. Sono passati molti anni da quando lei e Michael erano compagni di giochi, la vita li ha cambiati e molti segreti si sono annidati tra le pieghe del tempo, che però sono sempre più difficili da nascondere. Possibile che due amici affiatati come loro possano ritrovarsi nemici? E se tra bicchieri di Chianti, scorpacciate di pappardelle e molti malintesi Elisa e Michael finissero a fare i conti con sentimenti tanto forti quanto imprevisti e forse impossibili da reprimere? A Belvedere, terra di pettegolezzi, tutti vogliono sapere…
RECENSIONE
Simpatica rivisitazione di Orgoglio e pregiudizio ambientato nel Chianti.
Tra tutte le versioni e gli adattamenti questa è decisamente la più nostrana e la più divertente che ho letto!
E’ stato molto spassoso andare a curiosare come i personaggi del classico di Jane Austen fossero stati calati nei corrispettivi ruoli moderni.
Accanto allo spocchioso Michael Darcy, il bonaccione Carletto Bingley & co., ritroviamo persino Mr Collins declinato in chiave senese: Elmo Colli, spilungone panciuto, che gestisce un’allettante impresa di pompe funebri.
L’incipit dice tutto:
Una credenza universalmente condivisa è quella per cui un uomo scapolo in possesso di un’ampia fortuna debba essere in cerca di una moglie.
Non siamo nell’Hertfordshire e non è il 1812: Belvedere in Chianti è un paesino di tremiladuecento abitanti al confine tra le province di Firenze e Siena ed è il XXI secolo.
In base a un arrangiamento decisamente moderno, il romanzo di Felicia Kingsley contiene un concentrato di toscanità, a volte anche piccante, e nel contempo offre un tour enogastronomico di tutto rispetto delle eccellenze e prelibatezze del Chianti: vino di riserva, pici al ragù di verdure, formaggi e affettati succulenti da far venire l’acquolina in bocca!
Irresistibili i dialoghi che rendono ancora più realistico il contorno di personaggi e di vita di paese dove la Wi-fi non prende e la palestra è surclassata dalle corse per i campi dissodata. Una Meryton decisamente più vivace, via!
Accattivante lo stile allegro ma non troppo, che sa arrestarsi davanti a un tema un po’ più serio: Elisa Benetti è una ragazza madre alle prese con tante decisioni difficili che ha dovuto prendere da sola per sé e per la sua bambina, sotto l’occhio giudicante dell’ambiente sociale in cui è immersa fino al collo.
Reattiva e combattiva la nuova Elisa-Lizzie, che non pensa di doversi arrendere a ciò che gli altri hanno stabilito per lei né tantomeno di doversi vendere per scendere a compromessi; no, a Elisa, così come alla nostra Lizzie, i compromessi non sono mai piaciuti e con nessun pelo sulla lingua si premura di dirlo appena possibile.
Michael è il nuovo dandy, passa da una donna all’altra così come cambia i fondi di investimento e se all’inizio ha giudicato Elisa niente di che, poi dovrà rimangiarsi le parole con tutto il piatto! Demi Moore e Patrick Swayze dovranno cedere il loro primato per la scena erotica a Michael ed Elisa che impastano i pici!
Entrambi quindi non sono affatto interessati al matrimonio e all’amore, quello serio e impegnativo.
Le priorità sono rappresentate dalla realizzazione professionale e il matrimonio è un affare da comari, difficile anche da riconoscere presi come sono dal proprio orgoglio e pregiudizi vari.
Il libro è un tributo a Jane Austen nelle intenzioni dell’autrice e un omaggio al nonno e alla sua passione per il vino e la sua vigna che arriva a destinazione in modo immediato e tenero.
La passeggiata tra le viti nell’alba novembrina ne è un piccolo e prezioso esempio:
Passeggiare tra le viti all’alba è il mio momento privato. E’ metà novembre, da terra si alza una nebbia bassa e sottile, è il velo da sposa della vigna, illuminata dalla luce lattiginosa dell’autunno.
Ambientato tra le dolci colline del Chianti e la frenetica e affascinante Londra, è un piccolo e confortevole vascello per viaggiare con la fantasia, il romanticismo e il buonumore.
Citazione da ricordare:
Perché la cioccolata è la miglior colla per riattaccare i cuori infranti
Era il 1803 quando Jane Austen mise mano alla stesura di un romanzo che non avrebbe mai trovato compimento e sarebbe stato pubblicato per la prima volta solo nel 1871, a cura del nipote dell’autrice, James-Edward Austen-Leigh, il quale lo intitolò “I Watson”. Un’opera che gli amanti della grande scrittrice avrebbero sempre desiderato leggere per intero, avendo tutte le caratteristiche delle sue opere più mature (infatti fu scritta dopo la stesura di “Ragione e sentimento” e “Orgoglio e pregiudizio”). Finora, quindi, le avventure di Emma, l’eroina del romanzo, si interrompevano bruscamente lasciando nei lettori un misto di delusione e di curiosità insoddisfatta. Finora. Adesso, grazie alla straordinaria e felice creatività di Joan Aiken, famosa e apprezzata autrice di sequel austeniani, quelle vicende trovano compimento in un romanzo che riprende esattamente da dove la vicenda si era interrotta, intrecciando le vicende di nuovi e vecchi personaggi. E così sapremo finalmente cosa succede a Emma quando, dopo quattordici anni di assenza, fa ritorno nella sua famiglia d’origine e si ritrova a dover assistere il padre, ormai vecchio e molto malato, e farsi accettare dai fratelli, tra i quali i rapporti sono inquinati da piccole gelosie e invidie meschine. Ma la giovane Emma è all’altezza delle grandi eroine austeniane e affronterà con coraggio e determinazione le difficili prove che la vita ha in serbo per lei.
Recensione
Questo derivato austeniano si dichiara il seguito dell’incompiuto The Watson e per una considerevole parte lo sviluppo e la caratterizzazione dei personaggi sono coerenti e convincenti con quelli del filone originario. Vengono rispettate le premesse poste nel manoscritto con evidenti richiami e precise citazioni.
All’improvviso però gli eventi precipitano verso il dramma e il naturale tramonto di Mr Watson (motivo per cui forse Jane Austen si era arrestata dal narrare) viene aggravata dalla accidentale morte di Mrs Blake e figlioletto Charles: un accanimento di cui non si vede la ragione né si sentiva il bisogno, un accanimento perpetrato ai danni di personaggi compresi nel cast originario e inspiegabilmente soppressi senza motivo.
Trovandosi senza padre, Emma ed Elizabeth sono costrette a vagare di fratello in fratello in cerca di ospitalità (replicando in un certo senso la sorte di Jane e Cassandra alla morte di Mr Austen). Questo sfogo la dice lunga anche perché riecheggia quello di un’eroina austeniana, Anne Elliot:
Vengono qui a compiere le loro opere buone, ma non sono loro a essere in procinto di perdere la casa. Non sono loro a essere in balia dei capricci di mariti che sperperano il loro denaro e si comportano sgarbatamente. Non sono loro a essere arbitrariamente privati della loro sicurezza e del loro futuro.
Il personaggio di Emma sembra intraprendere un percorso di affrancamento dalla condizione femminile di dipendenza quando decise di provvedere al proprio mantenimento attraverso le lezioni di musica, destino a cui Jane Fairfax non guardava con cuore troppo leggero.
In questo caso Emma con sensibilità e slancio di un’eroina brontiana, sembra coglierne le potenzialità:
Vivere in casa per una donna, anzi, per chiunque, è troppo tranquillo. Ci si sente rinchiusi, si ha soltanto la compagnia dei propri sentimenti, che tendono a diventare ossessivi e tormentosi. Per me le lezioni di musica sono un modo per tenere spalancata una finestra sul mondo. Talvolta le lezioni sono difficili, fastidiose e la prospettiva che la finestra rivela non è gradevole, eppure è pur sempre una prospettiva, e io ne traggo uno stimolo vigoroso ad ampliare la coscienza. Apprendo qualcosa di nuovo.
Nel loro insieme eterogeneo le sorelle Watson ricordano un po’ le colleghe Bennet mentre il fratello Robert adombra similarmente John Dashwood
I riferimenti a Jane Austen sono così precisi e specifici da creare un patchwork un po’ contaminato con gli episodi biografici dell’autrice. Penso alla lettera del bibliotecario di Carlton House ricevuta da Emma con l’espressa autorizzazione a dedicare la raccolta di sermoni di Mr Watson al Principe Reggente, che non era quel che si dice esattamente un esempio di virtù.
Ho apprezzato la ricostruzione storica e i dettagli dei nuovi inserti, ma non posso che dissentire da alcune scelte che considero arbitrarie nella misura in cui divergono completamente dall’impianto originale. Trovo inutile il sacrificio di Mrs Blake e incoerente il finale. Potrebbe considerarsi il tocco personale dell’autrice se non fosse che, come capitano di Marina, ricorda tanto il Wentworth di Persuasione.
Il matrimonio di interesse di Penelope, la fuga improvvisa di Margaret, la virtù ricompensata di Sam: li considero logici e plausibili nell’intreccio, mentre è più difficile capacitarsi del rientro in scena della zia O’Brien, dello sbandamento di Tom Musgrove, i natali di Mary Edwards.