Uno dei rari derivati di Piccole Donne basato su un’operazione di finzione molto spinta dall’autrice Gabrielle Donnelly, solita pubblicare anche con lo pseudonimo di Julia Barrett.
Dobbiamo compiere un gran salto di ben tre generazioni per ritrovare la famiglia Atwater discendente nientepopodimeno della grande Jo Bhaer.
La storia delle tre sorelle è apparentemente senza legame e scopo con Piccole Donne se non fosse per la predominante componente familiare femminile. Nel proseguo del libro la scena si anima di molti altri personaggi fino a diventare troppo affollata. La confusione è dietro l’angolo per gestire nomi, sovrapposizioni temporali, realtà e finzione. Sophie, Emma, e Lulu sembrano uscite da una sit-com televisiva, sono ragazze spigliate, vivaci, indipendenti, alla ricerca della propria strada nella vita. Incappano anche loro in situazioni analoghe a quelle che hanno visto protagoniste le sorelle March ma naturalmente la trasposizione è molto libera e tiene conto della distanza temporale.
Il passato era sicuro e non riservava sorprese, il passato, sapeva, aveva un lieto fine. Era moto più facile, per esempio, concentrarsi sulle lettere e notare quanto poco Jo sembrava aver scritto a Meg nel 1868 rispetto a quanto avesse invece scritto a Amy nello stesso anno. Però aveva senso, pensò immergendosi con sollievo nel mondo ormai familiare della vita della trisnonna.
Le lettere della trisnonna Jo rinvenute in soffitta, durante la ricerca di un vecchio ricettario, dischiudono a Lulu un mondo che diventa la sua realtà parallela, un porto sicuro in cui rifugiarsi e dove non è necessario prendere decisioni e fare scelte.
Considerato nella sua autonomia il romanzo è carino e divertente, tenero per quanto riguarda i legami familiari, sia nei rapporti tra sorelle che tra genitori e figlie, senza dimenticare l’amicizia e l’amore. Trovano infatti spazio molti tempi e tanti personaggi che potrebbero confondere un po’. Resta comunque una piacevole storia tutta al femminile.
1869, Concord, Massachusetts. Dopo la pubblicazione del suo primo romanzo, Jo March è esterrefatta nel rendersi conto che la sua storia scritta tanto per guadagnare qualche soldo gode di una fama inaspettata e il suo editore e i suoi lettori chiedono a gran voce un seguito, ma non un seguito qualsiasi: il seguito giusto in cui tutte le piccole donne sono appagate, innamorate e felici..
Per questo Jo è sotto pressione per scrivere il suo finale e Laurie la porta a New York per una settimana alla ricerca dell’ispirazione: musei, opere e persino una lettura pubblica di Charles Dickens in persona!
Ma mentre Jo pensa a quello che sarà il destino dei suoi personaggi, Laurie ha in mente un finale ben preciso per sé e per la donna che ha scoperto di amare: una donna con un tale desiderio di indipendenza da non rendersi conto che la vera indipendenza viene da un cuore appagato.
RECENSIONE
Tutti quelli che leggono Piccole Donne vorrebbero che Jo sposasse Laurie e questo non solo ancora oggi ma accade sin dalla prima uscita del libro. Louisa May Alcott riceveva tantissime lettere delle lettrici che reclamavano a gran voce quel finale per il secondo volume.
Il libro di Margaret Stohl e Melissa de la Cruz non è un sequel di Piccole Donne crescono ma si inserisce temporalmente, quanto ai fatti narrati, tra il primo e il secondo volume. Ma non solo; attraverso un’operazione un po’ ardita questo libro si basa su una circostanza assai immaginaria della completa identificazione di Jo March con Louisa May Alcott. A sua volta Jo e le sorelle March si sdoppiano tra i personaggi della vita quotidiana e la loro versione che va a finire nel seguito che l’editore Niles commissiona a Jo.
Operazione ardua e ardita.
Ecco quindi che entrare nel punto di vista della storia può risultare abbastanza difficile perché presuppone di dimenticare sia il dato autorale che la trama originaria. Ci aiutano però i personaggi rimasti inalterati e che ritroviamo intatti, nella loro caratterizzazione
Il risultato è un vero mash-up in cui le vicende biografiche di Louisa sono rimescolate tra realtà e finzione letteraria e incontri ed esperienze sono asserviti all’enorme sforzo creativo da parte di Jo che non perde occasione di ribadire il suo bisogno di libertà e indipendenza prendendo le distanze da una storia che l’editore vorrebbe farle intitolare “Brave mogli”.
Come Jo deve fare ordine tra i personaggi del suo libro, così nella vita reale deve sistemare le sue priorità.
Sulla pagina, Jo poteva essere spiritosa, premurosa, romantica. E se non ci riusciva poteva sempre rivedere e ricominciare da capo. Di persona, però, era fortunata se riusciva a mettere insieme due parole correttamente e Laurie lo sapeva.
Ben presto ci rendiamo conto, e Jo con noi, che la ricerca dell’amore è ancora più complicata della ricerca del finale giusto per il seguito tanto atteso di Piccole Donne. Quel seguito che non solo l’editore vuole, ma anche le tante lettrici reclamano con le lettere che piovono in grande quantità a Orchard House. Quel finale che noi che abbiamo letto e amato il classico di Louisa May Alcott abbiamo sempre desiderato che si avverasse.
Con sensibilità tutta moderna Margaret Stohl e Melissa de la Cruz scandagliano l’animo inquieto di Jo, perennemente in lotta con gli altri, con il mondo, con la vita, e fondamentalmente con se stessa.
Con la fortuna di avere una famiglia allargata come quella dei March, Jo scoprirà che la libertà può essere anche quella di amare e le due cose non sono necessariamente incompatibili.
Era quello il motivo per cui aveva scritto il suo primo libro, vero? Essere libera? La libertà, dopotutto, era il punto centrale, non è vero? Essere libera? La libertà di creare, di fare ciò che le piaceva. Libertà dalla povertà e dalla servitù. Libertà dai debiti di guerra, dalla preoccupazione di chi avrebbe pagato il carbonaio e il macellaio. Libertà dal dover essere il tipo di ragazza cresciuta per scrivere solo liste della spesa.
Nata a Parigi nel 1766 da un banchiere svizzero Jacques Necker e la brillante Suzanne Curchod, Anne-Louise Germaine ricevette un’ottima educazione e istruzione non solo mondana, ma anche intellettuale. All’età di 13 anni aveva già letto Montesquieu, Shakespeare e Dante frequentando il salotto letterario animato da sua madre aveva assorbito i principi liberali del filosofo Jean-Jacque Rousseau. A lui dedicò la sua prima opera: nel 1788 pubblicò le Lettere sulle opere e sul carattere di J.J. Rousseau.
A vent’anni assunse il cognome del barone svedese Magnus Staël von Holstein diventando così la Madame de Staël che è passata alla Storia.
Tutti noi, infatti, la ricordiamo sui libri di scuola indicata come il motore propulsore alla diffusione del Romanticismo in Italia, in virtù del suo cosmopolitismo e del suo sostegno allo Sturm und Drang nato in Germania.
L’incarico diplomatico del marito e il ruolo del padre direttore delle finanze di re Luigi XVI la coinvolsero molto più di quanto si aspettasse nelle vicende politiche di quegli anni prima con gli Stati Generali e poi con il tragico epilogo della Rivoluzione francese.
Gli avvenimenti che la riguardarono anche in prima persona (fu arrestata e interrogata da Robespierre e fortunatamente liberata) e l’incontro con Bonaparte la portarono a mettere le sue Considerazione sui principali avvenimenti della Rivoluzione francese per iscritto attirandosi però così da parte del Corso sospetti di cospirazione. Di questo periodo è il romanzo epistolare di matrice autobiografica, Delphine nel quale Madame de Staël dichiarava di voler lasciare la politica per riflettere sulla condizione femminile, rivolgendosi alla “Francia silenziosa” e cioè alle donne del suo tempo.
Fu difatti condannata all’esilio e iniziò a viaggiare per l’Europa, iniziando dalla Germania dove entrò nel vivo della temperie culturale romantica sollevata da Goethe e Schiller: il primo la definì una “donna straordinaria”, mentre l’altro si complimentò per la sua intelligenza ed eloquenza.
I viaggi in Italia le fornirono materia per il suo romanzo Corinne ou l’Italie la cui protagonista incarna il mito della donna indipendente, poetessa e amante dell’arte, che si innamora di un lord scozzese che invece la vorrebbe conformare all’ideale femminile del tempo, sullo sfondo di un’Italia descritta a tinte vive e vivaci. Nonostante la polemica letteraria imbastita con gli intellettuali italiani, Madame de Staël aveva rivisto il proprio giudizio sul nostro Paese superandone la concezione stereotipata di luogo delle antichità. “L’Italia è un mistero che non si penetra il primo giorno” aveva scritto nei suoi diari e Corinne ou l’Italie fu la sua dichiarazione d’amore.
Accanto a trattati filosofici e politici e ai romanzi maggiori, La Storia di Pauline è assai più modesta benché affronti ugualmente la questione femminile in modo romantico.
Le protagoniste di Madame de Staël sono infatti tutte donne di forti passioni e amori, eppure utilizzano l’arte del ragionamento e spesso vanno incontro a destini sfortunati, soccombendo alle convenzioni del tempo.
Questo è il caso di Pauline che orfana viene data giovanissima in moglie a un uomo molto più anziano e priva di protezione e riferimenti viene facilmente raggirata da un lord senza scrupoli. Il peso degli sbagli del passato rischierà di compromettere anche la serenità successivamente raggiunta e l’amore finalmente trovato.
Come se la donna portasse insita in sé già la sua condanna a un destino di sofferenza e inevitabili errori in cui incorre per inesperienza o è fatta incorrere per ingenuità. L’ineluttabilità percorre infatti le pagine di questa storia
Gli accenti della storia sono intensi e appassionati come se Madame de Staël esigesse dalle sue eroine solo emozioni forti e totalizzanti, vissute in completa solitudine e potendosi affidare solo ad altre donne. Di certo le mette al centro della storia e pretenderà per loro il riconoscimento di forza propulsiva del racconto, come poi faranno tante altre scrittrici da lì a venire.
Pauline non ha la forza ribelle di Corinne né incarna l’ideale della donna-genio ma possiede la fierezza dell’onestà morale circa le sue colpe passate che la inchiodano a un destino già segnato.
Il racconto La Storia di Pauline colpisce quindi in quanto concentrato dell’ideale romantico del sentimento dalla carica dirompente.
Non per niente Byron la definì la più grande scrittrice vivente d’Europa, “con la penna dietro le orecchie e la bocca piena d’inchiostro”, che “a volte aveva ragione e spesso torto sull’Italia e sull’Inghilterra, ma era quasi sempre veritiera nel delineare il cuore, che appartiene a una sola nazione di nessun Paese, o meglio, di tutti”.
Sinossi:
Ne “La Storia di Pauline”, Madame de Staël offre un toccante spaccato della donna del suo tempo, raccontando la tragica vicenda della giovane Pauline e l’evoluzione della sua vita emotiva tra Santo Domingo e La Havre, in Francia. Incontriamo Pauline ad appena tredici anni quando, orfana, viene data in sposa a un mercante molto abbiente che la trascurerà, spingendola in una storia clandestina con Théodore. Le manipolazioni del signor Meltin la getteranno poi nelle sue braccia, facendo leva sul suo senso di insufficienza dopo la morte accidentale del marito e dell’amante. Verrà salvata solamente dalla signora de Verseuil che, suo malgrado, le farà incontrare il suo secondo marito, il conte Édouard, da cui avrà un figlio e una vita matrimoniale solo apparentemente serafica, adombrata dal peso del suo passato e dai suoi segreti.
Si ringrazia la Casa Editrice per la copia omaggio
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Titolo: L’angelo dei bassifondi (Natale- Christmas novel)
Autore: AnneMarie Brear
Editore: PubMe (29 novembre 2021)
Collana: Literary Romance
Genere: Romance breve – novella natalizia
Tradizione a cura di Mara Marinucci
Disponibile su Amazon e con Kindle Unlimited
Sinossi
York, Inghilterra 1881
Dieci anni prima, Victoria, insieme al marito, il dottor Joseph Ashton, inaugura la Ashton Home for Women and Children, un luogo dove donne indigenti che cercano rifugio dalla povertà, dagli abusi, dall’abbandono possano trovare sollievo dalle privazioni della vita. Portano con sé i loro bambini malati e malnutriti. Cercano di nascondersi da un mondo duro che le costringe a leccarsi le ferite. Assieme a Victoria, e al sostegno delle sue aiutanti, queste donne possono ricominciare. Georgiana Carter, senza un soldo e da poco vedova, è alla disperata ricerca di un posto dove stare; ha bisogno di un tetto per i suoi figli e un pasto caldo. Inseguire quella sciocca idea di scappare con un barcaiolo finisce in un disastro, allontanandola dal suo ricco padre; egli la rivorrà mai nel suo cuore? Ruthie Benson deve scappare. In difficoltà e sofferente ai continui maltrattamenti del fratello, ha bisogno di aiuto prima che il suo segreto sia scoperto… Ma dove può rifugiarsi? Queste sono solo alcune delle donne di cui Victoria si prende cura e a cui dà asilo mentre lavora nei bassifondi di York. Ma a quale prezzo? Sta forse dimenticando i bisogni della sua, di famiglia? Victoria salverà Georgiana e Ruthie, o è troppo tardi? Mentre le campane di Natale risuonano sulla città e l’atmosfera natalizia permea le strade di York, il lieto fine è dietro l’angolo, basta crederci e non perdere mai la speranza.
Il seguito natalizio del romanzo bestseller di Amazon “L’Angelo dei bassifondi” (Recensione qui)
RECENSIONE
Mrs Ashton è riuscita nel suo intento cioè quello di realizzare una casa di accoglienza per donne abbandonate e in difficoltà. Decisa a dare loro una nuova possibilità e una nuova vita Victoria accoglie nella sua struttura quelle che trova nei quartieri dei bassifondi dove ogni tanto ritorna in visita o quelle che si presentano direttamente al suo cancello.
Tra le sue amiche, le persone fidate di sempre, infermiere e collaboratrici e i suoi stessi figli, lei e Joseph hanno creato una famiglia nella famiglia e si prodigano ogni giorno, non solo a Natale, per fare del bene.
In questo Natale particolare conosciamo la storia di due ragazze.
Georgiana Carter è stata ripudiata dalla famiglia per aver sposato un barcaiolo ed essere fuggita con lui; rimasta vedova e con due bambini da sfamare viene letteralmente salvata dall’angelo Victoria.
Ruthie nutriva tante speranze per il suo futuro, specialmente quella di sottrarsi alle angherie di suo fratello alcolizzato e violento e sistemarsi con il suo Micky. Scopre però che questi l’ha abbandonata dopo averla sedotta e rischia la vita nel tentativo di disfarsi di quella che porta in grembo. Victoria la sente urlare sotto le percosse del fratello e senza pensarci due volte corre a salvarla.
Queste sono solo due delle tante storie e delle tante vite che i coniugi Ashton incrociano sul loro cammino.
Se il crudo spettacolo delle bassezze a cui conduce la miseria umana può rattristare, il messaggio di questa novella è davvero rincuorante perché pieno di positività e di speranza.
La mattina della Vigilia di Natale sorse luminosa. La luce brillante del sole invernale attraversava le fessure delle tende nel dormitorio, accecando le donne e i bambini svegli.
AnneMarie Brear non ci delude nemmeno in questa breve ma intensa novella natalizia.
Orfana, Victoria Carlton viene educata dallo zio, un banchiere, a essere una signora e a contrarre un buon matrimonio. Ma la sua indole è un’altra: vorrebbe dedicarsi ai poveri nei bassifondi, suscitando così il disgusto della famiglia. Quando lo zio muore improvvisamente, i cugini la incolpano e viene messa alla porta. Victoria si ritrova nella parte povera di York per ricominciare in un luogo pieno di pericoli. Per combattere la solitudine, fa amicizia con donne e bambini indigenti, ma ciò comporta anche il pericolo di contrarre delle malattie; non solo, la minaccia di un uomo brutale potrebbe costarle tutto.
Riuscirà Victoria a ritrovare la sicurezza che ha perso? Sarà un certo dottore, l’uomo a cui potrà concedere il proprio cuore? O i fantasmi del passato torneranno per portarle di nuovo via, tutto ciò per cui ha lavorato così duramente?
L’autrice
La pluripremiata e best seller di Amazon, nata in Australia, AnneMarie Brear scrive romanzi storici e romanzi moderni e talvolta anche racconti strani. Le sue passioni, oltre alla scrittura, sono viaggiare, leggere, mangiare il cibo delizioso di suo marito, leggere, fare ricerche e trascinare il marito in giro per siti storici in cerca di ispirazione per il suo prossimo libro. AnneMarie Brear sul web:
La storia di Victoria che come tante bambine di quell’epoca devono il nome alla loro Regina, è particolare e insolita.
Siamo abituati a seguire le giovani ragazze in età da marito nelle vicende relative al loro debutto in società, tra ricevimenti e acquisti, pettegolezzi e chiacchiere sulla moda e sulle rispettive conoscenze.
Il titolo non ha nulla di fantasy ma è tristemente calato nella realtà più torbida dei quartieri malfamati della città (in questo caso York), di cui spesso ci dimentichiamo perché preferiamo conoscerne gli aspetti più brillanti e patinati. E rassicuranti.
Anche Victoria all’inizio conduce una vita rassicurante, a casa dello zio, nonostante sia rimasta orfana di entrambi i genitori e priva quindi di mezzi.
L’incontro con il dottor Ashton le fa conoscere un’altra realtà, molto diversa da quella dei salotti dei ricchi, una realtà fatta di stenti, di soprusi e di bisogni elementari negati ai quali Victoria si sente chiamata a rispondere.
“…ascoltare coloro che hanno bisogno del nostro aiuto è doveroso”.
Non ti aspetteresti mai di trovare una fanciulla ben vestita a fare visita a una povera donna indigente con i suoi bambini affamati. Eppure da qui inizia la svolta nella vita di Victoria.
“Stretta in una nebbia di stanchezza, Victoria si mise al lavoro. Portò tutto fuori, trascinando il suo baule che era molto più leggero sa quando aveva venduto la maggior parte delle cose; tutto ciò che non era fissato a un muro fu spostato, mentre all’esterno il sole sorgeva e iniziava ad ardere un nuovo giorno”
La trama è coinvolgente, lo stile convincente, il finale tutt’altro che scontato. L’ambientazione dal sapore dickensiano nei bassifondi di York è cruda e realistica e i dettagli di epoca vittoriana molto ben curati.
Titolo: Dreaming of a pink Christmas (Natale in rosa)
Autore: Sara P. Grey
Genere: Romance, rosa contemporaneo, romantic comedy
Disponibile su Amazon e con Kindle Unlimited
Novella natalizia autoconclusiva. Derivata dal romanzo: “Non cercavo l’amore…è stato lui a trovarmi!”
Sinossi
Ma facciamo un passo indietro, e cominciamo dalle presentazioni: mi chiamo Adelasia Malsavora Castelli e, nonostante il nome da principessa, alle fiabe ho smesso di credere già da un po’. Così come alla fata madrina, a Babbo Natale, agli elfi mangiacalzini, e alla popolazione di creature magiche, generose e dispettose in egual misura, che a quanto pare non ha smesso di credere in me, invece. Chi altri si inventerebbe, infatti, di farmi assegnare l’ingrato compito di organizzare una festa della Vigilia avendo a disposizione un mese di tempo, un budget risicato e un’unica linea-guida: che sia tutto… rosa!? «Perché se non te la concedi a Natale qualche follia, allora quando?»
Spoiler alert: preparatevi a incontrare vecchi e nuovi amici, a sperimentare la vera magia del Natale, a riempirvi le narici del profumo del pan di zenzero appena sfornato e a ricoprirvi di glitter e tanto, tanto rosa
RECENSIONE
Avevo voglia di leggere la prima novella natalizia ed è stato come mi aspettavo: ritemprante!
Una storia natalizia moderna, frizzante, intrisa di sentimenti, non necessariamente commovente perché si sa, i fenicotteri rosa e la signora Olimpia Brambilla non avrebbero ammesso nemmeno di versare una lacrima.
Divertente il piglio con cui Sara P. Grey affronta e sviluppa il filone secondario del suo romanzo Non cercavo l’amore… è stato lui a trovarmi!. Se in quel caso i protagonisti erano lo scontroso Ruggero e l’intraprendente Isabella, in questo Natale in rosa la protagonista è Adele, no Adelaide, no anzi… Adelasia!
Lo dice anche lei: un nome da principessa, da nobile, che decide di lasciare Catania e il palazzo di famiglia per iniziare la sua carriera come ricercatrice di beni culturali mettendosi a servizio della signora Olimpia Brambilla che gestisce l’omonima fondazione.
Il Natale in rosa è la sfida che le viene proposta e che con i beni culturali c’entra poco o niente, ma che gusto ci sarebbe a cimentarsi in un’impresa facile?
Ci immergiamo per le vie di Milano dove tutte le vetrine e le strade pullulano di addobbi natalizi colorati: rosso, verde, oro, argento, sì… ma di rosa ci sono solo i fenicotteri di un giardino semi abbandonato.
Inutile dire che Adelasia non troverà solo gli stangoni pennuti ma anche un esemplare umano molto premuroso e gentile, uscito dal nulla… o dalla Magia del Natale?!
«Nessuno dovrebbe essere triste nel periodo di Natale, è contro la Legge!» «No che non lo è!» protesto. «Dovrebbe» insiste. «Di solito non attacco bottone con le sconosciute per strada, ma con te non lo so… mi è sembrato che ne avessi bisogno.
Natale è calore umano, è aiuto reciproco, la molla giusta per ritrovare fiducia negli altri e in se stessi e perché no, anche l’Amore!
«Hai fatto come ti ho detto e chiesto a Babbo Natale, eh? Ben fatto, hai ascoltato tutti i miei insegnamenti, e hai imparato il più importante.» «Eh? Quale?» la fisso sconcertata. «Hai capito che il Natale non è fatto di cose, ma di persone. Guarda questo posto, non è mai stato così animato, così vivo, da quando ci sei tu. Era tutto ciò che volevo fin dall’inizio.» Ha gli occhi lucidi e le guance rosse come mele mature, è commossa.
Mi fermo qui, non voglio rovinarvi il piacere di leggere un Natale in rosa.
Consiglio la versione cartacea assolutissimamente: piena di contenuti extra, fidatevi!!!!
Inghilterra, 1815 Phédre Hale, Marchesa di Northampton, ha solo vent’anni, quando si trova in balia della sorte avversa: Waterloo le ha strappato l’amato marito e la spensierata fanciullezza. La lady Northampton che amava trascorrere le giornate nella lussureggiante serra è ormai solo un ricordo. Phédre, però, sa che non può soccombere agli eventi e che l’unico modo per sopravvivere è assecondare la propria condizione. Intelligente e caparbia, non si tirerà indietro di fronte a niente per riacquistare sicurezza, anche se ciò significa sposare Edward Hale, l’irlandese dagli occhi di ghiaccio, erede del casato e cugino dell’amato marito disperso. Tuttavia, la vita spesso riserva risvolti inaspettati, fino a sgretolare anche la più solida certezza. Le grandi tenute di campagna e i dolci pendii della brughiera fanno da sfondo a una storia d’amore e morte, rinascita e assoluzione, intrisa del profumo delle peonie e cullata dal ronzio delle api.
RECENSIONE
Le api di Waterloo di Giulia De Martin ti avvolgono in un turbinio di emozioni.
Il romanzo è pregno sia di eventi sia di riferimenti come spiegato dalla stessa autrice in fondo al libro, in una nota esplicativa che ho molto apprezzato.
Dimenticate subito l’ambientazione Regency da salotto o romanzo di costume perché oltre all’epoca storica e al genere letterario è stato introdotto un intreccio che lascerà il lettore senza fiato, pagina dopo pagina.
Pur muovendosi e rispettando le coordinate dell’epoca che non sono date solo dal grande fatto drammatico delle guerre napoleoniche, Le api di Waterloo ne presentano, proprio come la singolarità stessa del titolo potrebbe suggerire, risvolti diversi. Per tutto il romanzo infatti, si rincorrono nomi e figure simboliche che arricchiscono la storia di significati e spessore.
Come la protagonista, Phedre dal nome e dal carattere del tutto particolari e originali, è una protagonista fuori dal comune e fuori dagli schemi, che ama coltivare il suo giardino e le sue api, così quest’ultime diventano il filo conduttore di tutto il libro aprendo e chiudendo il cerchio della narrazione.
Phedre sorprende ancora di più perché la sua originalità e la sua veracità si affermano in un mondo rigidamente regolato da una ferrea etichetta e una rigida tradizione maschilista che tende a dare importanza solo all’etica dell’opportunismo.
Credo che la trama del libro non gli renda giustizia appieno perché ci si rende conto della complessità del personaggio solo una volta che ha affrontato la incredibile successione di eventi che il destino ha preparato per lei.
Ho molto apprezzato che anche gli altri personaggi solitamente che fanno da contorno, siano stati tratteggiati in modo peculiare, uscendo dagli schemi e stereotipi, restituendo loro una specifica personalità e importanza. L’amicizia con Noah nonostante le differenze sociali, lady Portia una suocera fuori dal comune, Richard e il suo essere un vero gentiluomo, Edward e la scoperta di un amore travolgente. In mezzo a loro Phedre dovrà prima ritrovare e riconoscere se stessa per poi abbandonarsi alla sua favola d’amore tra le dolci colline della brughiera e le meraviglie fiorite del suo giardino.
Mi è parsa emblematica ed estremamente significativa la chiusa dell’ultimo capitolo:
“Basta una piccola ape per scuotere il mondo ronzando di fiore in fiore.”
Credo che questa frase rappresenti la decisiva chiave di lettura del libro e lasciatemi dire che la cover è un semplicemente incantevole.
Dall’autrice del bestseller Matrimonio di Convenienza
Belvedere in Chianti, piccolo borgo sulle colline toscane, dove abbondano ulivi e vigne ma di scapoli nemmeno l’ombra, è in fermento: Charles Bingley, nipote del defunto conte Ricasoli, sta arrivando dall’Inghilterra per prendere possesso dell’eredità, la tenuta Le Giuggiole. La notizia ha scatenato le potenziali suocere, disposte a tutto pur di sistemare le figlie con Charles o con il suo altrettanto affascinante, ricco e single amico Michael D’Arcy. A chi, invece, questa caccia al marito non interessa, è Elisa, amica d’infanzia di entrambi i giovani, con i quali passava tutte le estati alla tenuta, dove ora vive e si occupa con passione della vigna e della produzione del vino. Mentre tutte le ragazze di Belvedere si contendono i due appetitosi single, Elisa cerca di capire cosa ne sarà della tenuta, dato che Charles e Michael sembrano arrivati in Toscana con intenzioni poco chiare. Sono passati molti anni da quando lei e Michael erano compagni di giochi, la vita li ha cambiati e molti segreti si sono annidati tra le pieghe del tempo, che però sono sempre più difficili da nascondere. Possibile che due amici affiatati come loro possano ritrovarsi nemici? E se tra bicchieri di Chianti, scorpacciate di pappardelle e molti malintesi Elisa e Michael finissero a fare i conti con sentimenti tanto forti quanto imprevisti e forse impossibili da reprimere? A Belvedere, terra di pettegolezzi, tutti vogliono sapere…
RECENSIONE
Simpatica rivisitazione di Orgoglio e pregiudizio ambientato nel Chianti.
Tra tutte le versioni e gli adattamenti questa è decisamente la più nostrana e la più divertente che ho letto!
E’ stato molto spassoso andare a curiosare come i personaggi del classico di Jane Austen fossero stati calati nei corrispettivi ruoli moderni.
Accanto allo spocchioso Michael Darcy, il bonaccione Carletto Bingley & co., ritroviamo persino Mr Collins declinato in chiave senese: Elmo Colli, spilungone panciuto, che gestisce un’allettante impresa di pompe funebri.
L’incipit dice tutto:
Una credenza universalmente condivisa è quella per cui un uomo scapolo in possesso di un’ampia fortuna debba essere in cerca di una moglie.
Non siamo nell’Hertfordshire e non è il 1812: Belvedere in Chianti è un paesino di tremiladuecento abitanti al confine tra le province di Firenze e Siena ed è il XXI secolo.
In base a un arrangiamento decisamente moderno, il romanzo di Felicia Kingsley contiene un concentrato di toscanità, a volte anche piccante, e nel contempo offre un tour enogastronomico di tutto rispetto delle eccellenze e prelibatezze del Chianti: vino di riserva, pici al ragù di verdure, formaggi e affettati succulenti da far venire l’acquolina in bocca!
Irresistibili i dialoghi che rendono ancora più realistico il contorno di personaggi e di vita di paese dove la Wi-fi non prende e la palestra è surclassata dalle corse per i campi dissodata. Una Meryton decisamente più vivace, via!
Accattivante lo stile allegro ma non troppo, che sa arrestarsi davanti a un tema un po’ più serio: Elisa Benetti è una ragazza madre alle prese con tante decisioni difficili che ha dovuto prendere da sola per sé e per la sua bambina, sotto l’occhio giudicante dell’ambiente sociale in cui è immersa fino al collo.
Reattiva e combattiva la nuova Elisa-Lizzie, che non pensa di doversi arrendere a ciò che gli altri hanno stabilito per lei né tantomeno di doversi vendere per scendere a compromessi; no, a Elisa, così come alla nostra Lizzie, i compromessi non sono mai piaciuti e con nessun pelo sulla lingua si premura di dirlo appena possibile.
Michael è il nuovo dandy, passa da una donna all’altra così come cambia i fondi di investimento e se all’inizio ha giudicato Elisa niente di che, poi dovrà rimangiarsi le parole con tutto il piatto! Demi Moore e Patrick Swayze dovranno cedere il loro primato per la scena erotica a Michael ed Elisa che impastano i pici!
Entrambi quindi non sono affatto interessati al matrimonio e all’amore, quello serio e impegnativo.
Le priorità sono rappresentate dalla realizzazione professionale e il matrimonio è un affare da comari, difficile anche da riconoscere presi come sono dal proprio orgoglio e pregiudizi vari.
Il libro è un tributo a Jane Austen nelle intenzioni dell’autrice e un omaggio al nonno e alla sua passione per il vino e la sua vigna che arriva a destinazione in modo immediato e tenero.
La passeggiata tra le viti nell’alba novembrina ne è un piccolo e prezioso esempio:
Passeggiare tra le viti all’alba è il mio momento privato. E’ metà novembre, da terra si alza una nebbia bassa e sottile, è il velo da sposa della vigna, illuminata dalla luce lattiginosa dell’autunno.
Ambientato tra le dolci colline del Chianti e la frenetica e affascinante Londra, è un piccolo e confortevole vascello per viaggiare con la fantasia, il romanticismo e il buonumore.
Citazione da ricordare:
Perché la cioccolata è la miglior colla per riattaccare i cuori infranti
Era il 1803 quando Jane Austen mise mano alla stesura di un romanzo che non avrebbe mai trovato compimento e sarebbe stato pubblicato per la prima volta solo nel 1871, a cura del nipote dell’autrice, James-Edward Austen-Leigh, il quale lo intitolò “I Watson”. Un’opera che gli amanti della grande scrittrice avrebbero sempre desiderato leggere per intero, avendo tutte le caratteristiche delle sue opere più mature (infatti fu scritta dopo la stesura di “Ragione e sentimento” e “Orgoglio e pregiudizio”). Finora, quindi, le avventure di Emma, l’eroina del romanzo, si interrompevano bruscamente lasciando nei lettori un misto di delusione e di curiosità insoddisfatta. Finora. Adesso, grazie alla straordinaria e felice creatività di Joan Aiken, famosa e apprezzata autrice di sequel austeniani, quelle vicende trovano compimento in un romanzo che riprende esattamente da dove la vicenda si era interrotta, intrecciando le vicende di nuovi e vecchi personaggi. E così sapremo finalmente cosa succede a Emma quando, dopo quattordici anni di assenza, fa ritorno nella sua famiglia d’origine e si ritrova a dover assistere il padre, ormai vecchio e molto malato, e farsi accettare dai fratelli, tra i quali i rapporti sono inquinati da piccole gelosie e invidie meschine. Ma la giovane Emma è all’altezza delle grandi eroine austeniane e affronterà con coraggio e determinazione le difficili prove che la vita ha in serbo per lei.
Recensione
Questo derivato austeniano si dichiara il seguito dell’incompiuto The Watson e per una considerevole parte lo sviluppo e la caratterizzazione dei personaggi sono coerenti e convincenti con quelli del filone originario. Vengono rispettate le premesse poste nel manoscritto con evidenti richiami e precise citazioni.
All’improvviso però gli eventi precipitano verso il dramma e il naturale tramonto di Mr Watson (motivo per cui forse Jane Austen si era arrestata dal narrare) viene aggravata dalla accidentale morte di Mrs Blake e figlioletto Charles: un accanimento di cui non si vede la ragione né si sentiva il bisogno, un accanimento perpetrato ai danni di personaggi compresi nel cast originario e inspiegabilmente soppressi senza motivo.
Trovandosi senza padre, Emma ed Elizabeth sono costrette a vagare di fratello in fratello in cerca di ospitalità (replicando in un certo senso la sorte di Jane e Cassandra alla morte di Mr Austen). Questo sfogo la dice lunga anche perché riecheggia quello di un’eroina austeniana, Anne Elliot:
Vengono qui a compiere le loro opere buone, ma non sono loro a essere in procinto di perdere la casa. Non sono loro a essere in balia dei capricci di mariti che sperperano il loro denaro e si comportano sgarbatamente. Non sono loro a essere arbitrariamente privati della loro sicurezza e del loro futuro.
Il personaggio di Emma sembra intraprendere un percorso di affrancamento dalla condizione femminile di dipendenza quando decise di provvedere al proprio mantenimento attraverso le lezioni di musica, destino a cui Jane Fairfax non guardava con cuore troppo leggero.
In questo caso Emma con sensibilità e slancio di un’eroina brontiana, sembra coglierne le potenzialità:
Vivere in casa per una donna, anzi, per chiunque, è troppo tranquillo. Ci si sente rinchiusi, si ha soltanto la compagnia dei propri sentimenti, che tendono a diventare ossessivi e tormentosi. Per me le lezioni di musica sono un modo per tenere spalancata una finestra sul mondo. Talvolta le lezioni sono difficili, fastidiose e la prospettiva che la finestra rivela non è gradevole, eppure è pur sempre una prospettiva, e io ne traggo uno stimolo vigoroso ad ampliare la coscienza. Apprendo qualcosa di nuovo.
Nel loro insieme eterogeneo le sorelle Watson ricordano un po’ le colleghe Bennet mentre il fratello Robert adombra similarmente John Dashwood
I riferimenti a Jane Austen sono così precisi e specifici da creare un patchwork un po’ contaminato con gli episodi biografici dell’autrice. Penso alla lettera del bibliotecario di Carlton House ricevuta da Emma con l’espressa autorizzazione a dedicare la raccolta di sermoni di Mr Watson al Principe Reggente, che non era quel che si dice esattamente un esempio di virtù.
Ho apprezzato la ricostruzione storica e i dettagli dei nuovi inserti, ma non posso che dissentire da alcune scelte che considero arbitrarie nella misura in cui divergono completamente dall’impianto originale. Trovo inutile il sacrificio di Mrs Blake e incoerente il finale. Potrebbe considerarsi il tocco personale dell’autrice se non fosse che, come capitano di Marina, ricorda tanto il Wentworth di Persuasione.
Il matrimonio di interesse di Penelope, la fuga improvvisa di Margaret, la virtù ricompensata di Sam: li considero logici e plausibili nell’intreccio, mentre è più difficile capacitarsi del rientro in scena della zia O’Brien, dello sbandamento di Tom Musgrove, i natali di Mary Edwards.
Chi ha fondato la Confraternita dei Leoni e chi sono quei giovani valorosi? Chi tra loro perderà, e chi vincerà la partita più difficile? Saranno loro stessi a raccontarvi quella storia e ad accompagnarvi al ballo della duchessa di Richmond. E non è che l’inizio.
RECENSIONE
Questo è infatti solo l’antefatto, l’overture di un romanzo corale che si preannuncia articolato e avventuroso.
Possiamo vederli sfilare all’entrata al ballo della contessa di Richmond, circondati di fascino e di mistero, giovani e aitanti conti, duchi, marchesi, espressione del fior fiore della nobiltà inglese in una tregua imposta dal prestigioso invito.
Come ci insegna la Storia, la sfavillante serata, rilucente di sete, gioielli sfoggiati e medaglie lucidate, viene interrotta sul più bello dall’arrivo del dispaccio militare che avverte dell’imminente avanzata di Napoleone. Wellington riunisce i suoi in privato per approntare una strategia che incastri i francesi mangia-rane e richiama tutti per la battaglia. Un’ansia febbrile percorre la sala e anche il nostro gruppo di giovani valorosi deve smettere gli abiti da ballo, salutare le persone più care senza sapere se sarà un addio o un arrivederci.
Seguiremo le loro gesta, avremo modo di conoscere meglio i fautori della confraternita e i depositari dell’ardimentoso giuramento di mutua solidarietà scegliendo il nostro personale paladino.
Articolati in una programmazione seriale, i romanzi che si irradieranno dal presente antefatto, rispondono a un progetto ambizioso. Intorno a loro spira un’aura di sapore antico e cavalleresco, che rimanda al poema epico bretone, rivisitato in epoca Regency.