Archivio | aprile 2019

Del mestiere di istitutrice

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Le eroine di Jane Austen non hanno una professione per quanto non siano sempre ricche ereditiere. Anche se non navigano nell’oro e si trovano in ristrettezze economiche (vedi le sorelle Dashwood) quello che la scrittrice non perdona loro è non essere abbastanza accorte da questo punto di vista. Non assegna loro una professione, non le manda nel mondo a guadagnarsi da vivere, Jane, ma non accetta esse siano sconsiderate e imprevidenti per quanto riguarda la fonte del loro mantenimento che sarebbe il matrimonio e quindi la questione della loro sistemazione.

L’unica eroina a non avere problemi economici e a essere padrona di se stessa è:

Emma Woodhouse, bella, intelligente e ricca, con una casa confortevole e un buon carattere, sembrava riunire in sé alcune delle migliori benedizioni dell’esistenza, ed era al mondo da quasi ventun anni con pochissimo ad affliggerla o contrariarla. (Emma, cap. 1,jausten.it, trad. Giuseppe Ierolli). 

 

Proprio nel romanzo Emma si allarga lo sguardo ad altre figure della scala sociale e scartati i Martin perché troppo in basso in quanto agricoltori, temporaneamente considerata Harriet in quanto amica o vittima di Emma, si parla della governante in modi diversi: in termini idealizzati per Miss Taylor che ha vissuto tanti anni accanto alla giovane Emma assumendo le veci della defunta madre:

Per sedici anni Miss Taylor era stata con la famiglia Woodhouse, più come amica che come istitutrice, molto affezionata a entrambe le figlie, ma in particolare a Emma. Tra loro c’era più di un’intimità tra sorelle. Anche prima che Miss Taylor cessasse di ricoprire l’incarico ufficiale di istitutrice, la mitezza del suo carattere non gli aveva permesso di imporre alcuna restrizione, e ora che anche l’ombra dell’autorità era da tempo svanita, vivevano insieme come amiche, amiche con un forte affetto reciproco, ed Emma faceva solo ciò che voleva; aveva un’alta stima del giudizio di Miss Taylor, ma agiva principalmente a modo suo. (Emma, cap. 1,jausten.it, trad. Giuseppe Ierolli. 

Diversamente, quando per Jane Fairfax si prospetta la possibilità di andare a fare l’istitutrice in qualche famiglia perbene, questa occupazione viene paragonata alla tratta degli schiavi:

“Scusatemi, signora, ma non è affatto questa la mia intenzione; non mi sto informando, e mi dispiacerebbe se lo facessero i miei amici. Quando avrò deciso il momento in modo definitivo, non ho alcun timore di restare disoccupata. Ci sono posti a Londra, uffici, dove le richieste producono subito qualcosa. Uffici dove è in vendita… non proprio la carne umana… ma l’intelletto umano.”

“Oh! mia cara, carne umana! Mi sbalordite; se è un’allusione alla tratta degli schiavi, vi assicuro che Mr. Suckling è stato sempre un sostenitore dell’abolizionismo.”

“Non intendevo… non stavo pensando alla tratta degli schiavi”, replicò Jane; “la tratta delle istitutrici, ve l’assicuro, è tutto quello che avevo in mente; sicuramente molto diversa, quanto a colpe di coloro che la praticano, ma quanto all’estrema infelicità delle vittime non vedo dove sia la differenza (Emma, cap. 35, jausten.it, trad. Giuseppe Ierolli.)

Sebbene per lei non se ne prospettò mai l’eventualità, anche Jane Austen guardava al mestiere di istitutrice con parecchia diffidenza:

La tua opinione su Miss Allen mi piace più di quanto mi aspettassi, e adesso nutro la speranza che resti un intero anno. – In questo momento immagino che per lei sia difficile, imporre delle regole – poverina! La compatisco, anche se sono le mie nipoti. (lettera 72, jausten.it, trad. Giuseppe Ierolli).Immagine correlata

E sapendo quanto si divertisse a giocare e inventare storie per e con i suoi nipoti, c’è da pensare che fosse proprio il ruolo a suscitare questi sentimenti in Jane.

Tutt’altro stato d’animo viene fatto dichiarare da Anne Bronte alla sua Agnes Grey che dopo un rovescio di fortuna del padre per un investimento sbagliato, propone alla sua famiglia di impiegarsi come governante, esperienza descritta come l’inizio di una nuova vita:

Che bello essere una governante! Uscire nel mondo; iniziare una nuova vita; agire per mio conto; esercitare facoltà mai impiegate prima; mettere alla prova capacità sconosciute; guadagnarmi da vivere e anche di più, per dar conforto e aiuto a padre, madre, sorella, oltre a esonerarli dall’onere di sfamarmi e vestirmi; mostrare a papà di cos’era capace la sua piccola Agnes; convincere mamma e Mary che non ero l’inerme sconsiderata creatura che credevano. 
E poi che splendida cosa esser responsabili della cura, dell’istruzione di bambini!
Dilettoso compito! Guidare la nascente idea a divenir germoglio! (Edizioni Albatros, Roma 1989, p. 11).

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Le rosee aspettative della giovane Agnes si dovranno scontrare presto con la solitudine, la freddezza, la pesantezza del lavoro e l’iniziale entusiasmo si raffredderà presto, facendole considerare con maggior piacere le attenzioni del curato Weston.

Anche per le sorelle Bronte, costrette presto a fare di necessità virtù, il mestiere della governante era un passaggio purgatoriale da dover affrontare prima di giungere alle gioie del paradiso: e la meta poteva essere rappresentata non solo dal matrimonio, ma anche dalla possibilità di riuscire ad aprire una scuola tutta loro, di cui essere insegnanti e direttrici. Questo sogno percorre tutto l’epistolario di Charlotte, che se ne fa voce e artefice, e con armi e bagagli si imbarca nella ardimentosa avventura di andare a Bruxelles a imparare il francese per poterlo poi insegnare. Emily che l’accompagnava, sappiamo, resisterà poco ma l’altra, tenace, porterà a termine almeno questa parte del suo progetto, anche grazie alla piccola eredità della zia. La vicenda viene trasposta in Villette (prima ancora in The Professor) e Lucy Snowe incarna l’alter-ego della scrittrice che si trasferisce dall’Inghilterra nella città fittizia ricalcata su Bruxelles, per insegnare in un collegio femminile, dove conosce il professore di letteratura, Monsieur Paul Emanuel, dal carattere deciso e irascibile. Se l’angelo della tempesta non avesse spazzato via la nave di Paul negli abissi dell’oceano, avrebbero potuto coronare il loro duplice sogno di sposarsi e dirigere una scuola insieme.

Nella realtà quindi non c’era sempre il lieto fine e le cose andavano invece molto diversamente;  Charlotte sembra saperlo bene quando descrive l’imbarazzo e l’umiliante isolamento in cui viene relegata Jane Eyre costretta ad assistere al ricevimento che si tiene a Thornfield Hall, seduta in un angolo, a farsi oltretutto schermire e criticare: Blance Ingram le lancia più di una frecciata velenosa, ricordando la mezza dozzina di governanti avute da piccola (con scarsi risultati potremmo osservare) e definendole detestabili e ridicole, e la madre di lei la elegge a paradigma di “tutti i difetti della sua classe”. Contro tutte loro Jane potrà proclamare la sua rivincita finale: “Lettore mio, l’ho sposato!”.

Seduta in un angolo Becky Sharp difficilmente sarebbe riuscita a rimanerci più di qualche minuto, per la sua effervescenza innata e la determinazione a farsi largo nella vita: la sua scalata sociale parte proprio dall’unica professione che una buona istruzione e la mancanza di mezzi le possono offrire.  Figlia di un pittore e di una ballerina francese, la protagonista de La Fiera della Vanità di Thackeray inizia così il proprio viaggio all’interno degli ambienti aristocratici inglesi. Orfana e senza soldi, Becky viene mandata dalla direttrice della scuola per ragazze di buona famiglia nell’Hampshire, per svolgere la mansione di «istitutrice» delle figlie di Sir Pitt Crawley. E possiamo stare certi che non starà con le mani in mano visto che, senza una madre che lo faccia per lei, Becky deve procurarsi un matrimonio rispettabile da sola.

 

Del resto dobbiamo convenire che il buon Sir Pitt non sarà Lord Orville di Cecilia, ma non si dimostra particolarmente esigente. Diversamente, lo è il curriculum richiesto a un’istitutrice di tutto rispetto che viene ricapitolato nel romanzo The Governess, del 1840, della contessa di Blessington:

“Deve essere di un aspetto gradevole, di modi raffinati e una perfetta musicista. È tenuta a istruire i suoi alunni in francese, italiano e inglese, la geografia e l’uso dei globi, con musica, disegno e danza; in tutte le sue branche di insegnamento, si suppone che sia una professionista. Equanimità di temperamento e allegria di disposizione, unita a una salute di ferro, sono requisiti indispensabili. Deve inoltre essere capace di tagliare e realizzare i vestiti dei bambini. Stipendio venticinque ghinee all’anno…”.

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Sappiamo bene che nell’Ottocento, difficilmente l’istitutrice poteva essere un partito appetibile e il suo destino era incondizionatamente legato alla necessità di procurarsi da vivere, essendo ancora più improbabile ricevere un’insperata eredità. Se non avevi una famiglia benestante a proteggerti o peggio ancora la malattia, la morte, i rovesci finanziari te ne privavano, le cose potevano complicarsi parecchio e insegnare ai bambini, garantendosi un piatto caldo e un tetto sulla testa, non era una prospettiva da disdegnare.

Che poi al di là dell’Oceano, nel cosiddetto Nuovo Mondo, la prospettiva di guadagnarsi da vivere o quella dell’insegnamento non fossero considerate disgrazie ma occasioni positive di realizzazione personale non è stato solo un escamotage narrativo di Louisa May Alcott o Lucy Maud Montgomery.

A parte qualche piccola e comunque sfortunata disavventura, il lavoro per Louisa non è mai disdicevole e accetterà di tutto, anche i mestieri più degradanti, pur di riuscire a mantenere se stessa e a mandare qualcosa anche a casa. Anche Lucy Maud affronterà una seria gavetta prima di diventare una scrittrice di successo ma l’insegnamento è considerato un bene prezioso e un’occasione di crescita sia per chi lo dà sia per chi lo riceve e la sua Anne può essere orgogliosa di dichiarare:

Sono ben felice di essere Anne Shirley, maestra di scuola ad Avonlea (Anne di Avonlea, a cura di Enrico De Luca, edizioni Lettere Animate).

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XI – IL PASSERO SOLITARIO

 

D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.

 

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XII – L’INFINITO

 

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

 

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XIV – ALLA LUNA

 

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.

Souvenir

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Fonte testi sul web: http://www.leopardi.it/home.php

Foto mie

Tradizionali festeggiamenti pasquali

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Le usanze

L’albero di Pasqua: L’influenza tedesca da parte del principe Albert non ha portato solo il Tannenbaum nel periodo natalizio, ma anche l’ albero di Pasqua in primavera. Le uova dipinte pendono dai rami fioriti o altre decorazioni fatte prevalentemente di carta. Nessuna descrizione della foto disponibile.

Il primo uovo pasquale: Sulle origini del primo uovo pasquale non c’è accordo: alcune fonti lo datano 1875 e lo attribuiscono  all’uomo del cioccolato, John Cadbury, colui che nel 1824 aprì il suo primo negozio al 93 di Bull Street nel centro di Birmingham, vendendo tè, caffè, cacao e cioccolata. Altrove danno Fry,  in anticipo di due anni: 1873, a Bristol, bandiera inglese quindi. Le prime uova comunque tutte rigorosamente fondenti. Per il cioccolato al latte ci sarebbe voluto qualche anno in più. I suoi antenati erano le uova di zucchero.

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La caccia alle uova
Da bambina la futura regina Vittoria si godeva la caccia alle uova a Kensington Palace. Questa usanza è stata introdotta da sua madre, la duchessa di Kent, nata in Germania. Domenica 7 aprile 1833, la quattordicenne Principessa Vittoria scriveva nel suo diario: “La mamma ha fatto delle uova graziosamente dipinte e decorate, e le abbiamo cercate”.
Da sposati Victoria e Albert hanno continuato questa tradizione tedesca, nascondendo le uova per i loro bambini da trovare il giovedì santo. Albert era responsabile di nascondere le uova, in “piccoli cesti di muschio” e lasciati intorno al palazzo. Victoria fece numerosi riferimenti a queste cacce all’uovo nei suoi diari, per esempio nel 1869 quando scrisse: “Dopo colazione, i bambini, come al solito in questo giorno, hanno cercato le uova di Pasqua”.

Il Royal Maundy. E’ un evento che si tiene il giovedì precedente la Pasqua e la regina Vittoria decise che si sarebbe tenuto nell’Abbazia di Westminster. È lì che si rivolse alla congregazione e sostenne la tradizione di distribuire qualcosa di molto più prezioso delle caramelle. . . Una busta di monete uguali all’età del monarca regnante, purtroppo in base allo stesso numero si stabilisce anche il numero dei beneficiari.

Easter”scrapbooking”.  La passione per la carta dei vittoriani si estende in varie direzioni: le cartoline di auguri dai soggetti più strampalati (animali antropomorfi, vignette, paesaggi primaverili, o allegorie pasquali,  i pendagli per l’albero pasquale fatti prevalentemente di carta lavorata o dipinta, e la passione per le immagini. A quest’ultima si riferisce un termine che si incontra spesso nelle ricerche tematiche sul web e che si riferisce ai ritagli a tema che poi potrebbero essere raccolti in un album, lo scrapbooking, appunto, che non è solo un diario ma un libro in cui va a finire di tutto: cimeli, ricordi, cartoline o altre immagini.
La pratica dello Scrapbooking, iniziata nel Regno Unito, nel diciannovesimo secolo, è un metodo di conservazione e presentazione della storia personale e familiare sotto forma di libro o scatola, di carta. Gli album di scrapbook sono spesso decorati ma contengono anche parti scritte: resoconti e/o descrizioni. Una sorta di album tematici, tra cui a soggetto pasquale anche, in cui si esprime al meglio lo spirito collezionista e conservativo vittoriano. 

Il nome Easter ha origini pagane: era un’antica divinità protettrice della fertilità , il cui culto, tutto al femminile, era sicuramente frutto di culture e tradizioni antiche diverse, anche di origini tedesche, ed era officiato da sacerdotesse che imbastivano festeggiamenti in onore della divinità per la durata di un mese.

Dolci pasquali

La Torta Simnel è una tradizione pasquale britannica.  Si tratta di una torta alla frutta, leggera, con uno strato di marzapane cotto al centro, poi guarnito con una decorazione  in marzapane.
La torta Simnel ha una lunga storia che risale al Medioevo. È anche conosciuta come la torta delle giovani donne che erano in servizio nelle case di campagna e nelle case padronali delle classi superiori, che si sarebbero portate a casa la domenica del Mothering, che capitava la domenica centrale di Quaresima.

Le 11 sfere di marzapane simboleggiano gli 11 Apostoli di Gesù, con Giuda, il traditore, che viene lasciato fuori dalla torta. In epoca vittoriana, i fiori primaverili commestibili zuccherati sono diventati di moda e preferiti per sostituire le palline di marzapane.Foto fine del dolce di Simnel di Pasqua della torta non tagliata.

Gli Hot Cross Buns sono dei tipici panini dolci all’uvetta che vengono preparati nel periodo di Pasqua in Inghilterra. Questi sofficissimi panini, aromatizzati dal mix di spezie cannella-noce moscata, ed arricchiti dall’uvetta, sono aspettati dai bambini britannici come simbolo pasquale. A rafforzare la simbolicità pasquale di questi panini è la croce decorativa che viene incisa su ognuno di loro, a volte arricchita da una decorazione di glassa, che viene fatta scorrere lungo la croce.

In Inghilterra si è soliti preparare questi panini il venerdì Santo, preferibilmente facendosi aiutare proprio dai bambini, che durante l’attesa della fase di lievitazione raccontano poesie e filastrocche. La più antica, nonchè la più nota è questa:

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Può essere considerata la tradizione pasquale preferita dei Vittoriani.

Secondo alcuni resoconti, si deve a un monaco inglese, nel XII secolo, il primato di aver apposto il segno cristiano della croce su una serie di rotoli di pasta dolce in onore del Venerdì Santo. La superstizione popolare del tempo suggeriva che lasciare un panino caldo con la croce da appendere al soffitto della cucina per tutto l’anno scongiurasse gli spiriti maligni e fosse destinato a una casa felice.

Fu persino emesso un decreto regio riguardante gli hot cross buns. Poiché la regina Elisabetta I credeva che il panino fosse troppo speciale per essere cotto in ogni giorno, ne vietò la vendita in ogni occasione diversa dal Venerdì Santo, Natale o una sepoltura cristiana.

Simboli pasquali

I gigli: sono diventati uno dei simboli pasquali, visto che il loro bulbo cresce, fiorisce, muore e cresce ancora una volta durante l’anno successivo.

Per molti, i bellissimi fiori bianchi a forma di tromba simboleggiano la purezza, la virtù, l’innocenza, la speranza e la vita-l’essenza spirituale della Pasqua.

In alcune storie i gigli sono chiamati ” Apostoli di speranza,” in riferimento ai gigli che sono stati trovati nell’orto del Getsemani dopo l’agonia di Cristo. La tradizione vuole che  dei bellissimi gigli bianchi fossero spuntati là dove le gocce di sudore di Cristo sono cadute a terra nelle sue ultime ore di dolore e di profonda angoscia.

La lepre, non il coniglio:  era un motivo popolare nell’arte della Chiesa medievale. In tempi antichi si credeva  che la lepre fosse un ermafrodita e che quindi potesse riprodursi senza perdita di verginità, questo ha portato ad un’associazione con la Vergine Maria. Le lepri femminili possono concepire una seconda cucciolata di prole mentre è ancora incinta del primo. Quindi, conigli e lepri diventano simboli della fertilità, e il loro accoppiamento primaverile è entrato nel folklore di Pasqua grazie alle loro numerose cucciolate.

Le uova: sono simboli di fertilità; l’usanza di tingerle ha origini sconosciute. I cristiani appartenenti alla Chiesa Ortodossa colorano le uova di rosso, il colore del sangue, in riconoscimento del sangue del Cristo sacrificato. Alcuni usano anche il colore verde, in onore del nuovo fogliame che emerge dopo il lungo tempo morto dell’inverno oppure altri colori che richiamano sempre le tinte primaverili. Ottenevano il rosso facendo bollire bucce di cipolla e barbabietola rossa, il color oro dal fiore di calendula, il viola dal fiore di malva e il verde dalle foglie di pervinca.

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Eventi mondani:

La Stagione iniziava subito dopo Pasqua per terminare con l’apertura della caccia al fagiano che incominciava il 12 di agosto, quando tutti si trasferivano in campagna.

 

 

Fonti:

Victorian Trading Co.

Ricette dal mondo

Rock Recipes. com

Everything Victorian

Il Salotto di Miss Darcy

Five minute history

 

 

 

Pasqua a Rosings

Elizabeth ha superato la sua avversione per Mr Collins e ha approfittato del viaggio di sir Lucas per andare a trovare la sua cara amica nell’Hertfordshire. Le stesse buone maniere che facevano accettare a Elizabeth l’ospitalità di Mr Collins andando a convivere sotto lo stesso tetto dopo quanto successo tra loro, scavavano una forte differenza sociale tra il ruolo di nubile e coniugata delle due amiche che anche se felici di ritrovarsi, sentono che qualcosa nel rapporto tra loro è per sempre cambiato e non potrà più tornare a essere come prima.

La monotonia di quella modesta canonica è rotta soltanto dai pranzi fastosi che la patronessa Lady Catherine de Bourgh decide di offrire ai suoi fortunati vicini. E con tutti questi svaghi le settimane passano velocemente e arriva la Pasqua. A Pasqua, si sa, è tempo di visita ai parenti e la zia Catherine aspetta i suoi nipoti.

 

In questa atmosfera tranquilla trascorsero le prime due settimane della sua visita. Si stava avvicinando la Pasqua, e la settimana che la precedeva avrebbe portato un’aggiunta alla famiglia di Rosings, cosa che, in una cerchia così ristretta, aveva la sua importanza. Elizabeth aveva saputo, subito dopo il suo arrivo, che Mr. Darcy era atteso nel giro di qualche settimana, e sebbene non fossero molti i conoscenti che avrebbe gradito di meno, il suo arrivo avrebbe fornito una relativa novità a cui guardare a Rosings, e le avrebbe dato modo di capire quali speranze ci fossero per Miss Bingley, osservando il suo comportamento nei confronti della cugina, evidentemente destinata a lui da Lady Catherine, che parlava della sua venuta con estrema soddisfazione, e sembrò quasi irritata nello scoprire che Miss Lucas ed Elizabeth lo avessero già frequentato spesso.
(Orgoglio e pregiudizio, trad. G. Ierolli, jausten.it, cap. 30).

Per i primi giorni gli estranei sono tenuti lontano dalla riunione di famiglia; la funzione domenicale, per di più pasquale, offre l’occasione migliore sia per appurare quelle che fino ad allora erano solo voci, sia per usufruire di un invito a una serata più interessante:

fu solo il giorno di Pasqua, quasi una settimana dopo l’arrivo dei signori, che ebbero l’onore di una tale attenzione, e comunque, all’uscita dalla chiesa, fu chiesto loro solo di andare in serata. 
(Orgoglio e pregiudizio, trad. G. Ierolli, jausten.it, cap. 31).

Lady Catherine non brilla per l’affabilità delle sue doti ospitali:

L’invito fu ovviamente accettato, e a un’ora appropriata si unirono agli altri nel salotto di Lady Catherine. Sua signoria li accolse in modo garbato, ma era evidente come la loro compagnia non fosse certo ben accetta come quando lei non poteva contare su nessun altro; era infatti quasi completamente assorbita dai nipoti, e parlava con loro, specialmente con Darcy, molto di più che con qualsiasi altra persona presente.
(Orgoglio e pregiudizio, trad. G. Ierolli, jausten.it, cap. 31).

Elizabeth ancora non sa che proprio lei diventerà oggetto di interesse e galanteria dei due gentiluomini.
 Mr Darcy, forse stimolato dall’evidente ammirazione del colonnello Fitzwilliam, inizia a guardarla con occhi diversi e si fa scappare più di un complimento:
Darcy sorrise e disse, “Avete perfettamente ragione. Avete impiegato molto meglio il vostro tempo. Nessuno che abbia avuto il privilegio di ascoltarvi può pensare che ci sia qualche manchevolezza. Nessuno di noi due si esibisce per gli estranei.”
(Orgoglio e pregiudizio, trad. G. Ierolli, jausten.it, cap. 31).
La serata finisce senz’altro fatto degno di nota ma se fossi stata Elizabeth avrei trascritto le parole di Darcy sul mio diario sotto al titolo “Una Pasqua da ricordare!”.

Rum & Segreti di Jane Rose Caruso

Siete pronti a tornare a Beltory? Sì, le vacanze sono finite e Miss Garnette Catharine Book deve urgentemente fare ritorno a casa perché è arrivato un telegramma con una richiesta di aiuto.

Mai però affrontare un problema se non dopo aver soppesato tutte le circostanze e le implicazioni e meno che mai, dopo aver sorbito una bella tazza di tè forte, aromatico, corroborante, pensato per l’occasione apposta da Miss Book.

Miss Book ha un fiuto infallibile non solo per risolvere i misteri e capire le persone, ma anche per indovinare la miscela di tè giusta e la pietanza ideale per uno stato d’animo preoccupato o nostalgico, per ravvivare la memoria o consolare la solitudine.

In questo nuovo episodio delle avventure di Miss Book, l’autrice, Jane Rose Caruso, ci porta tra le strade, le botteghe e le abitazioni di Beltory, a fare la conoscenza con i suoi curiosi e simpatici abitanti che ci presenta con grande piacere. C’è un mistero da risolvere stavolta, una questione seria che riguarda una ragazza maltrattata dal padre, un omicidio di cui trovare il colpevole, una comunità da riunire per la grande Festa d’Inverno.

Se i precedenti racconti sono serviti a introdurci nell’incantevole atmosfera di Beltory, questo romanzo per storia e personaggi, acquista un carattere maturo e strutturato, impreziosito dalle note originali dell’autrice che dispensa insieme a Miss Book consigli e segreti interessanti, senza dimenticare il tocco delizioso della grafica.

Mi è stato chiesto di curare l’introduzione di questo terzo volume ed è stato per me un vero piacere, oltre che onore. La bellezza di un libro nel suo risultato finale riflette la bellezza delle persone che vi hanno riversato il loro impegno e il loro amore. Questo è senza dubbio il caso di Rum & Segreti.

 

Libro : Rum & Segreti
Serie : Miss Garnette Catharine Book
Disponibile: Cartaceo e Ebook su Amazon 
Pagine: 268
Uscita: 15 Aprile 2019
Prezzo: € 9,99 (in offerta fino al 30 Aprile) poi passerà a € 12,00

TRAMA
Tutto sembra andare per il meglio, quando Miss Book riceve una terribile notizia, che la costringe a rientrare a Beltory prima del previsto. Mr Bell, il padre di Mary, la sarta, è morto e la ragazza è stata incolpata dell’omicidio. La poveretta si trova in guai seri e chiede l’aiuto di Miss Book, per dimostrare la sua innocenza. Un altro segreto da svelare per Miss Book, ma non il solo: anche il cuore di sua nipote Prudence è confuso, ma forse, grazie proprio a questa vicenda, anche la ragazza riscoprirà l’amore. Gli abitanti sono decisi, nel frattempo, a organizzare una grande festa per festeggiare l’amore in tutte le sue forme. Quale sarà l’ingrediente che stavolta servirà?

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Trollope e le sue donne

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L’infanzia e l’adolescenza di Anthony Trollope non furono delle più serene, del resto i genitori non erano soggetti in grado di garantirle. Il padre era un avvocato che non ebbe successo nella carriera forense e anzi creò gravi problemi economici alla famiglia; la madre -Frances Trollope- emigrò in America per partecipare prima alla comunità utopica di Nashoba, fondata dalla femminista scozzese Frances Wright, e per aprire poi con le sue tre sorelle minori un bazar a Cincinnati che però si rivelò un fallimento. I tre figli -Anthony e i suoi due fratelli maggiori- erano rimasti a studiare al college. Tornati in patria i genitori, lei divenne scrittrice e abbastanza famosa per questo, lui rischiò l’arresto per bancarotta fraudolenta e dovette fuggire con tutta la famiglia in Belgio.
Dopo la morte del padre, la famiglia rientra in Inghilterra e Anthony si arrangia con dei lavoretti; la svolta per la sua vita -professionale- arriva quando entra come impiegato -pare grazie alle conoscenze di sua madre- nelle poste britanniche e con il trasferimento in Irlanda inizia finalmente il periodo più fortunato: incontra Rose e la sposa nel 1844; in quanto ispettore delle poste potè viaggiare in tutto il mondo (in Egitto, in Palestina, poi a Malta, a Gibilterra e in Spagna, fino agli Stati Uniti). Ma il suo momento decisivo arrivò nel 1852, quando, camminando nella città cattedrale di Salisbury, ebbe un’idea per una storia centrata sul mondo ecclesiastico. Aveva già scritto un paio di mediocri romanzi ambientati in Irlanda e aveva ottenuto una piccola, non eccezionale reputazione, ma l’idea di un romanzo clericale era nuova per lui, e arrivò senza molta conoscenza speciale della Chiesa inglese. I sei romanzi di Barsetshire appartengono a un mondo interamente inventato, in cui Trollope è entrato trasponendo la sua più ampia conoscenza sul funzionamento interno di una città cattedrale e allo stesso tempo riuscendo a illustrare la crisi del suo tempo.

Trollope deve sicuramente molto a sua madre che divenne anche lei, appunto, una scrittrice.
Dopo aver fatto ritorno in Inghilterra, ella si dedicò alla pubblicazione del suo scritto Domestic Manners of the Americans (1832), nel quale imbastì una critica alquanto impietosa della società americana. Venne tacciata di riflettere il punto di vista alquanto distorto in voga nelle classi elevate della società vittoriana. La Trollope dal canto suo, professò sempre di essere stata una semplice testimone delle follie a cui aveva assistito durante il suo soggiorno negli Stati Uniti senza nascondersi dietro false retoriche: 

«Da quello che io ho scritto desumerete che io non amo l’America. Io non amo gli americani, non amo i loro principi ed i loro costumi e non mi piacciono le loro opinioni»

Sulla falsariga di questo libro di viaggi, ripeté l’esperienza con Belgium and Western Germany, pubblicando in successione altre opere sulla cultura europea sulla stessa falsariga, come Paris and the Parisians e Vienna and the Austrians.
Frances Trollope scrisse più di cento opere sugli argomenti più disparati, dimostrando un acuto senso d’osservazione e una forte grinta di toni. Trascorse i suoi ultimi venti anni di vita a Firenze, al Villino Trollope, insieme al figlio e alla nuora, dove morì nel 1863.
La sua opera più celebre fu la trilogia di romanzi della vedova Barnaby, e forse dobbiamo indovinare da chi suo figlio ereditò l’abitudine di scrivere romanzi concatenati in serie.

 

Il Villino Trollope fu un salotto letterario frequentato da tutta la comunità inglese fiorentina dove inizialmente si erano stabiliti la madre e il fratello maggiore di Trollope, Thomas. Quando Theodosia Gawonn si recò in viaggio con il padre fu ospite loro ed ebbe così modo di conoscere e poi sposare proprio Thomas rimanendo a vivere nella ville di Piazza Indipendenza a Firenze e presiedendo attivamente al forte impegno degli inglesi in favore del movimento risorgimentale italiano anche attraverso molti articoli di sostegno politico pubblicati sulla rivista inglese Atheneum (nonostante la sua vocazione fosse per la poesia).

Il sodalizio suocera e nuora prosegue anche nel riposo eterno perché furono sepolte l’una accanto all’altra nel Cimitero detto ‘degli Inglesi’ in Piazzale Donatello.  Dopo la morte della moglie, Thomas sposò la governante di sua figlia, Fanny Ternan, che era la sorella dell’amante di Dickens. Ecco che, nonostante fossero circostanze abbastanza comuni all’epoca, spunti da romanzo ve n’erano anche nella realtà.

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Il Villino Trollope non fu solo crocevia artistico perché frequentato da artisti come Charles Dickens e George Eliot, ma favorì anche un altro incontro sentimentale; qui  nel 1860 (quando aveva 45 anni) Anthony Trollope conobbe Kate Field, una ventunenne americana di Boston. Tra loro ci fu subito un’intesa profonda, ravvivata quando due anni dopo  si reincontrarono perché i Trollope andarono in America, e tollerata da Rose Trollope, che capiva la natura di quell’affetto sublimato tra suo marito e quella donna che forse cercava una figura paterna. Fu un amore non consumato, rimasto una spina nel fianco dello scrittore come per il protagonista di Troppo tardi per amare.

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Dove Trollope con le sue 250 parole al giorno e tanto di servitore pagato appositamente per svegliarlo all’alba con una tazza di caffè, trovasse il tempo anche per seguire le proprie vicende sentimentali, non so. Di fatto la moglie Rose fu per lui una moglie modello, che gli fu vicina tutta la vita, l’unica persona che potesse leggere i suoi scritti prima che diventassero dei libri.

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Eppure Trollope è il romanziere maschio del periodo vittoriano che dà ai suoi personaggi femminili i pensieri e le ambizioni più convincenti.

Le sue donne sono generalmente intelligenti e spesso ben informate come gli uomini. Non si potrebbe dire lo stesso di Dickens, Thackeray o Collins. Ma naturalmente per essere socialmente accettabili i romanzi di Trollope dovevano essere scritti in modo tale che, come direbbero i vittoriani, una madre potesse permettere a sua figlia di leggerli. La principessa reale, scrivendo a sua madre, la regina Vittoria, nel 1858, disse:

Mi piace molto il Barchester Towers, fa ridere fino a far venire le lacrime, è così vero; ma penso che sia malizioso e piuttosto malvagio.

E il Cardinale Newman, a quanto si dice, si svegliò di notte ridendo di ciò che aveva letto.

Trollope per primo ha capito  e riso della sua età, senza riserve, sapendo benissimo quanto fosse difficile condurre una vita onesta e soddisfacente in un mondo imperfetto.

 

 

 

Il resoconto della permanenza di Frances Trollope a Cincinnati lo trovate qui, è molto divertente non solo per le osservazioni scontate sulle grandi dimensioni dell’America (del porto, del mercato, etc) ma anche per l’incontro con cibi esotici, come ad esempio il cocomero, definito “un frutto acquoso abbastanza vile”.  https://www.cincinnatilibrary.org/tallstacks/voices/trollope01.html

Lord Byron alle Fonti del Clitunno

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A parte l’annotazione di passaggio che se c’è un turista che ha visitato l’Italia in lungo e largo questi è Lord Byron, egli va nel caso delle fonti del Clitunno, ad aggiungere il suo nome tra gli scrittori famosi, come Virgilio, Properzio, Plinio il Giovane e Carducci,  che in ogni epoca hanno ammirato ed esaltato questo luogo incantevole, angolo di eccezionale bellezza e di pace.

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Ma tu, o Clitunno! dalla tua dolcissima onda del più lucente cristallo che mai abbia offerto rifugio a ninfa fluviale, per guardarvi dentro e bagnare le sue membra ove nulla le nascondeva, tu innalzi le tue rive erbose lungo le quali pascola il giovenco bianco come il latte; o tu –  il più puro Dio di acque miti, e il più sereno d’aspetto, e il più limpido, invero la tua corrente non fu profanata da carneficine – specchio e vasca per le più giovani figlie della Bellezza!

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E sulla tua felice sponda un Tempio, di minuta e delicata struttura, mantiene ancora, sul mite declivio di una collina, il ricordo di te; sotto ad esso scorre la tua placida corrente; spesso guizza fuori da essa il dardeggiante pesce dalle lucenti scaglie, che dimora e giuoca nella tua cristallina profondità; mentre forse qualche sperduto fiore di ninfea passa galleggiando ove il flutto meno profondo ripete ancora le sue gorgoglianti novelle.