Assolutamente spontaneo, e frutto probabilmente solo di sensazioni, è il parallelismo con Jane Austen suscitato dalla lettura di due romanzi in particolare, scritti da Elizabeth Gaskell (1810-1865): Cranford e Nord e Sud.
Quando infatti si inizia a fare la conoscenza delle comari di Cranford, pittoresco paesino inglese in cui il tempo sembra essersi fermato e le usanze fossilizzate in riti solenni e inviolabili, non ci si può impedire di ripensare alla pettegole di Meryton, il villaggio vicino a Longbourn, dove vivono i Bennet di Orgoglio e Pregiudizio.
L’iniziale impressione potrebbe rafforzarsi continuando la lettura e imbattendosi in una singolare coincidenza: le stesse paure immobilizzano le comari di Crawford e le signore del cottage. Se Jane scrive alla sorella Cassandra dei mostri sotto al letto:
Immaginavo che Martha fosse a Barton da sabato scorso […] Dille che ogni sera scaccio i mostri da sotto il suo letto[1];
anche le comari della Gaskell sono alle prese con gli stessi spauracchi notturni:
Vidi Matty che cercava di trovare il coraggio per la sua confessione […] Ammise che fin da quand’era ragazza aveva il terrore di sentirsi afferrare la gamba, che ancora poggiava in terra al momento di infilarsi nel letto, da qualcuno che ci stava nascosto sotto. Disse che quand’era più giovane e agile aveva l’abitudine di saltarci dentro da una certa distanza[…] ora[…] le era venuta un’idea –forse mi ero accorta che aveva mandato Martha a comprarle una pallina da un penny, di quelle con cui giocano i bambini- e adesso la faceva rotolare sotto il letto ogni sera; se sbucava dall’altra parte, tutto bene; se no, era sua cura avere sempre la mano sulla corda del campanello, pronta a chiamare[2].
Tutti gli avvenimenti quotidiani entrano nelle fitte maglie della conversazione delle signore che formano la “società bene” di Cranford e che la Gaskell tratta con bonaria ironia, senza preoccuparsi di togliere quelli più tragici o che potrebbero turbare o togliere il divertimento al lettore. Il registro è quindi altalenante nel passaggio improvviso dai grandi eventi della vita, dai sacrifici umani e gli atti eroici alla paura per i ladri, alle prosaiche debolezze per il copricapo a turbante, al fascino del mago ambulante, alla purga del gatto che ha inghiottito il merletto messo a bagno nel latte.
Ed è lo stesso passaggio a risultare esilarante e a svelare le intime contraddizioni della natura umana che salta repentinamente dal riso al pianto, dalla tristezza alla gioia, in un panorama cangiante di stati d’animo. Un po’ come il beneamato Vicinato delle Lettere di Jane Austen, chiamato a fare da cassa di risonanza agli avvenimenti belli e brutti, allegri o spiacevoli che interessano i vari membri della comunità, più o meno sfortunati. Vicinato che sembra assomigliare (ma si sa: tutto il mondo – reale e letterario a questo punto – è paese!) a quello di Orgoglio e Pregiudizio, molto incuriosito dalla vicenda di Lydia:
La buona notizia si diffuse rapidamente in casa, e con adeguata velocità nel vicinato. In quest’ultimo fu accolta con filosofica rassegnazione. Di certo, sarebbe stato più a vantaggio della conversazione, se Miss Lydia Bennet si fosse data a una vita dissoluta, oppure, nella migliore delle ipotesi, fosse stata segregata in qualche lontana fattoria. Ma c’era comunque molta materia per le chiacchiere, nel suo matrimonio, e i benevoli auspici per il suo bene, che in precedenza si erano susseguiti da parte di tutte le vecchie signore maligne di Meryton, persero ben poco della loro natura al mutare della situazione, poiché con un marito del genere la sua infelicità era data per certa[3].
Se in Cranford è l’ambientazione a rievocare le atmosfere in cui Jane Austen ha avvolto i suoi romanzi (con una predilezione per il Dr. Johnson che accomuna la signorina Jenkyns a Miss Austen), in Nord e Sud è l’intreccio a presentare forti analogie con quello di Orgoglio e Pregiudizio.
In entrambi la protagonista è una ragazza (tant’è che la Gaskell avrebbe voluto intitolarlo Margaret Hale) con una buona dose di pregiudizi (Elizabeth Bennet sulla boria di Mr. Darcy, Margaret sull’industriale Mr. Thornton), entrambe risultano antipatiche inizialmente, ma poi conquistano senza volerlo e ricevono una prima proposta di matrimonio che rifiutano sdegnosamente. La parabola dell’intreccio vede il ravvedimento da parte delle fanciulle sulla risposta troppo precipitosa e il miglioramento del personaggio maschile che aspira a diventare degno di essere ricambiato.
A congiungere i due romanzi sono tante analogie, comprese le fortunate circostanze che favoriscono il ricongiungimento finale dei due personaggi come l’incontro a Pemberley di Lizzie e Darcy e il ritorno a Milton di Margaret, dove rivede Mr. Thornton. Altrettante sono le differenze che ne fanno due opere -e due scrittrici- molto diverse e distanti tra loro, non solo temporalmente. L’attenzione riservata dalla Gaskell alla contrapposizione sociale operai-industriali, la denuncia delle condizioni di sfruttamento, l’utopistica idea di un possibile sodalizio tra capitale e lavoro, costituiscono lo sfondo inquietante e assai poco rassicurante della storia d’amore tra Margaret Hale e Mr. Thornton. Mentre in Jane Austen ci si sforza quasi di rendere tutto piacevole e allegro, di smorzare ogni accenno di tragedia e minimizzare quelle che potrebbero essere situazioni scandalistiche. Il principale intento di Jane Austen non era la denuncia ma il divertimento e il codice linguistico usato -osserva George Steiner-, derivato dalla tradizione Settecentesca, si ripromette di astenersi da commenti e riferimenti alla contemporaneità con giri di frasi, omissioni, parole-chiave generiche che conferiscano al discorso una qualità atemporale[4]. “Omettere” non mi risulta invece fosse nel registro linguistico della signora Gaskell piuttosto chiara e diretta.
Se qualche analogia va colta dunque nelle due scrittrici, essa sta nell’appartenenza ad uno stesso contesto e ad un genere di donne che hanno finalmente impugnato la penna.
Romina Angelici
[1] Jane Austen, Lettere, cit., L. 78 di domenica 24 gennaio 1813, p. 292.
[2] Elizabeth Gaskell, Cranford, Giunti, Firenze, 1995, cap. X, p. 103.
[3] Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio, trad. Giuseppe Ierolli, jausten.it, sez. “romanzi canonici”, cap. 50.
[4] George Steiner, Dopo Babele. Il linguaggio e la tradizione, Sansoni Editore, Firenze, 1984, pp. 9-10.