Se vi capitasse di passare per caso all’interno delle colline maceratesi, poco dopo Tolentino, potrebbe succedervi di venire attirati da una strana malia esercitata dal Castello di Caldarola.
Uno dei pochi castelli privati visitabili, edificato nella seconda metà del IX sec. è stato trasformato in residenza estiva in stile rinascimentale nel ‘500 dal Cardinale Evangelista Pallotta: conserva intatti ambienti e arredi che risalgono ad epoca medievale.
Potreste trovare ad accogliervi addirittura messere Jacopo Pallotta, signore del castello nel ‘400, della cui compagnia avreste l’onore di avvalervi nella visita guidata del Castrum Caldarolae.
In virtù di qualche licenza spazio-temporale (permessa dalla collaborazione tra associazioni culturali dei Comuni limitrofi) vedreste schierati i Tamburini del Serafino (del Castrum Sarnani), e assistereste a duelli di scherma ricreati grazie all’Associazione del Grifone della Scala di S. Severino, lungo i cortili interni, all’ombra delle mura merlate e degli alberi secolari che svettano nello spiazzo antistante il ponte levatoio.
Scalpitano i cavalli ai colpi scanditi dai tamburi, i bimbi si cimentano con rudimentali giochi medievali: fantasia e manualità rubano il posto ai videogiochi. La giornata volge all’imbrunire, si accendono i falò mentre c’è ancora del tempo per visitare le stanze del castello. Si susseguono ambienti arredati sontuosamente, carichi di oggetti che si sono accumulati nei secoli, espressione di potere e ricchezza dei Signori Castello. I locali adibiti a cucina sono piccoli e stretti –dovevano essere molto più bassi prima-; sul piano del caminetto qualche trappola per topi serviva a tenere lontani i malintenzionati roditori a caccia di avanzi e alla faccia dell’igiene, un girarrosto per cuocere carciofi è stato lasciato lì vicino; la lavagnetta in legno aspetta di segnare le quantità di bucato da consegnare alle lavandaie. La vecchia madia custodiva sotto chiave il prezioso pane.
La sala da pranzo è rettangolare, lunga e stretta, conseguenza di una riorganizzazione successiva degli ambienti: è stata modellata attorno al grande tavolo in legno sovrastato da un candeliere in ferro battuto, che rimane apparecchiato solo alle sue estremità per evitare ustionanti colate di cera sugli sfortunati commensali. Il servizio di piatti in porcellana bianca conservatosi intatto fa bella mostra di sé nella credenza di noce scura, e a spolverarlo provvede personalmente la attuale contessa Maria Elena.
Attraversando le sale che si susseguono l’una nell’altra si scopre la storia di questo castello e di coloro che vi hanno legato i loro nomi anche se solo di passaggio: famosi prelati marchigiani che la dinastia Pallotta per generazioni ha offerto alla carriera ecclesiastica, gli sfortunati conti che hanno abitato per ultimi il castello, privati di discendenza come indicano tristemente i due ovali con i ritratti lasciati vuoti nella Sala degli Stemmi.
Accanto ad oggetti sorprendentemente moderni -una cassettiera orientaleggiante che ha fatto pensare a qualche influsso da Macerata dove partirono le spedizioni in Cina di Padre Matteo Ricci, realizzata con la tecnica del decoùpage, la stessa stanza da bagno ed il bidet- altri meravigliano per la sontuosità (il boudoir interamente rivestito di seta) e la fattura di pregio (lampadari di murano, una consolle del 1700, un forziere da viaggio del 1400, una stufa di maiolica).
La sala d’armi e la sala delle carrozze rivelano i passatempi preferiti dei padroni di casa e si scopre che i modelli di quegli antiquati mezzi di trasporto (coupè, berlina, spyder) hanno prestato i loro nomi alle moderne automobili superaccessoriate.
Un percorso suggestivo per gli amanti della storia, istruttivo per i ragazzi, fiabesco per i bambini e gli adulti sensibili al fascino da storie di cavalieri e principesse senza tempo.