Appena chiudo il libro di Mogli e figlie, una farfalla bianca attraversa furtiva il mio giardino e la associo immediatamente a Molly Gibson che immagino girovagare tra i fiori di Hamley Hall.
Quando ho iniziato a leggere le prime pagine di questo romanzo ho sentito subito che era così nelle mie corde da farmi istintivamente trattenere dal divorarlo assumendone invece a piccole dosi come fosse un prezioso elisir, un elisir di bellezza e piacere.
Nonostante la mole immensa (penso all’altrettanto lavoro che ha comportato sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo), sorseggiando giorno dopo giorno ho centellinato le pagine perché non finissero troppo presto.
Sin dal primo istante mi sono piaciuti Molly e il dr. Gibson, che dopo un po’ ho cominciato a capire, ho preso a frequentare gli Hamley e passo dopo passo sono entrata nella vita di società della piccola cittadina di Hollingford che mi riporta tanto all’atmosfera di Cranford. Proseguendo la lettura ho incontrato poi gli altri personaggi che il più delle volte si sono fatti conoscere presentandosi da sé, con le loro chiacchiere e i loro comportamenti. A parte la diretta riproposizione della coppia di sorelle nubili, le signorine Browning, anche in questo contesto c’è il contorno di comari pronte a farsi percorrere da qualsiasi ansia o falso sgomento e a spettegolare di qualunque avvenimento, passatempo che non risparmia nemmeno i Lord.
Non avverto affatto la difficoltà dell’inglese che mi dicono possedeva la Gaskell perché la resa linguistica è scorrevole, lineare, fluida in modo ammaliante. Tutto merito di Mara Barbuni, la traduttrice. La scelta lessicale è quanto mai riuscita, non risulta mai inopportuna o stonata, adoro il linguaggio forbito e allo stesso tempo comprensibile, pieno di citazioni e riferimenti ma anche preservato intatto così come è stata mantenuta la vocazione narrativa che sgorga con naturalezza.
Quello che si percepisce con chiarezza è il modo suadente di raccontare la storia di queste mogli e figlie e nel vuoto lasciato dall’accostamento tra i due ruoli, si inserisce perfettamente il tono materno della Gaskell. E’ con tenerezza che la vediamo accompagnare Molly nelle sue difficili prove e con condiscendenza guardare alla vanesia Mrs. Kirkpatrick, alla pettegola Mrs. Goodenough, glissando sugli avventati scrupoli del dr. Gibson e sull’orgoglio di Squire Hamley. Sembra aver accettato in pieno il consiglio suggerito da Jane Austen alla nipote: “prendi tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna” e costituiranno il materiale perfetto per imbastire una bella storia. E la Gaskell non solo si è sempre attenuta a scrivere di ciò che meglio conosceva ma qui è tornata alle origini, in quell’ambientazione quasi arcadica di un villaggio collocato in un tempo e in uno spazio in-definito che fungesse da scenario ideale a “Una storia di tutti i giorni”, come recita il sottotitolo, e proprio per questo destinata a rimanere eterna.
Alcuni temi trattati, come quelli del corteggiamento, del fidanzamento segreto pregresso, della preparazione delle nozze, la preoccupazione per gli abiti e la modisteria nonché scene intere quali quelle del ballo di beneficenza o anche i soggiorni di Molly presso i conoscenti più ricchi, mi hanno fatto sentire a casa di Jane Austen così come dalla sua penna sembrano usciti l’ironia mascherata dai luoghi comuni e certi modi di tratteggiare i personaggi solo lasciandoli parlare liberamente. Ottenendo così di definirli a tutto tondo e di dotarli di vita propria: ho adorato per questo anche i personaggi minori come l’anticonformista Lady Harriet (non me ne voglia per il “minore”!). Poche parole infatti sono state dedicate a descrivere la nuova Mrs. Gibson perché è stata lei stessa che ha proclamato in ogni occasione la sua generosità, il suo amore disinteressato, il suo affetto materno. E anche quando la scena cambia o si svolge altrove, è facile immaginare il seguito della sua conversazione-monologo o indovinarne i commenti.
Al contempo l’ultimo romanzo di Elizabeth Gaskell si discosta dai novel di Jane Austen per dimensioni, arco temporale e soggetti coinvolti risultando maggiormente orchestrato e complesso. Non mancano nemmeno quelle note stonate venate di malinconia, dal retrogusto amaro, e comunque addolcite, secondo una superiore ottica di reductio ad unum, in un’armonia generale che coincide con uno stato d’animo nella scrittrice evidentemente pacificato in una quasi utopistica visione per cui la bontà d’animo viene alfine premiata.
Mancando un ultimo capitolo non dubito che la stessa volesse calare pudicamente il sipario su tutte le speranze che si stanno compiendo per Molly, magari tergiversando su aspetti secondari come la scappata di Cinthya su Roger Hamley “il famoso scienziato”. Se infatti il finale non solo era facilmente intuibile ma era stato anche quasi completamente preannunciato, la sua assenza ci priva comunque di quel piacere naturale che deriva dal coronamento di una bella storia e ci ha privato purtroppo anche della preziosa possibilità di beneficiare di altre ancora.
Ripongo il volume sulla mia libreria sperando di poter ripetere il gesto e l’esperienza edificante grazie alle oculate scelte e alle validissime collaborazioni dell’Agenzia Letteraria Jo March.
13-24 agosto 2015
Romina Angelici