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L’anima semplice – Suor Giovanna della Croce di Matilde Serao

L’anima semplice. Suor Giovanna della croce

Matilde Serao

13lab_editore

Trama

Dopo trentacinque anni di vita claustrale nel Monastero di Suor Orsola Benincasa, le monache dell’Ordine delle Trentatré si vedono costrette a rompere il giuramento e a far ritorno nel mondo a causa di un provvedimento dello Stato che determina la requisizione dei beni ecclesiastici. Siamo a Napoli e Suor Giovanna della Croce, appena sessantenne, si ritrova spogliata della vita monacale, costretta a soggiornare a casa della sorella e a sopravvivere con una misera pensione passatale dal Governo che la porterà a cercare dei piccoli impieghi, nonostante l’età avanzata, per poter tirare avanti. In questo romanzo, però, non viene solo narrata la storia di Suor Giovanna della Croce, ma la storia di una Napoli povera e di uno Stato che non si preoccupa affatto delle donne sole. In queste pagine vengono tratteggiate le vite di diverse figure femminili: un’adultera scoperta dal marito, una madre impazzita dopo aver dato alla luce il primogenito, un’altra che, invece, si sfianca ogni santo giorno per poter dare al figlio la possibilità di studiare medicina e, infine, una giovane ragazza la quale, nonostante non abbia nulla a che fare con l’Ordine Ecclesiastico, vive una vita da reclusa a causa del fidanzato troppo geloso e violento ma che non vuole assolutamente lasciare, convincendosi che “Il maltrattamento è prova di bene” anziché rischiare di tornare a vivere per strada. Quella della Serao è una narrazione capace di entrare nel cuore di chi legge attraverso una scrittura che possiamo per certi versi definire verista. Il clou del romanzo, però, lo si trova nell’ultimo capitolo dove il contrasto tra povertà e alta società viene maggiormente evidenziato e dove vediamo la nostra protagonista ridotta, ormai, a essere l’ombra di se stessa in attesa di una morte che potrà finalmente liberarla da tutto il male di questo malato mondo.

Recensione

La lettera indirizzata allo scrittore e saggista francese, Paolo Bourget, e messa a prefazione del libro dall’autrice ne costituisce il manifesto poetico. In essa esprime infatti l’intenzione autoriale di non voler raccontare storie d’amore, di gioventù e di bellezza che sono caduche e fallaci ma di quegli uomini e quelle donne attraversati da sentimenti più profondi, più inguaribili, degni di pietà e perdono.

Che grande cosa è il dolore, mio amico e mio Maestro, come è solenne ed ampio, come è uniforme e maestoso, come è semplice e pure svariato, come è alto, sempre, e come afferra tutti i cuori, tutte le anime, in un sol soffio tragico e tragicamente le solleva e alla medesima altezza! Che grande cosa è il dolore, poiché esso solo è comune a tutti gli esseri umani, poiché esso solo li unisce, li affratella, li salda, in una simpatia universale!

A epigrafe del primo capitolo sono stati riportati i versi del III Cantico del Paradiso di Dante riguardanti Piccarda, figlia di Simone Donati e sorella di Forese e Corso, giovinetta pia e religiosissima, che entrò in convento farsi monaca e ne fu poi strappata per essere data in moglie dal fratello Corso a Rossellino della Tosa, un esponente dei Guelfi.

Il ritratto che Matilde Serao tratteggia di Suor Giovanna della Croce è il ritratto dolente di un’anima pia, semplice e ingenua che strappata alla protezione del convento claustrale viene gettata nel mondo a sperimentarne gli orrori e le bassezze.

Ospitata inizialmente dall’avida sorella che crede di sottrarle la dote, viene scacciata e sottoposta a una discesa agli inferi nella miseria e nella povertà più umilianti, senza però perdere la sua dignità e vacillare nella fede.

La chiusura del convento da parte del Governo è una vera e propria violenza perpetrata ai danni di un gruppo di donne che avevano abbandonato la vita secolare e che nel cuore sono rimaste ancora bambine. Con la purezza e l’inesperienza dell’età infantile suor Giovanna viene privata della sua identità e restituita al mondo come Luisa Bevilacqua: un nome in cui non si riconosce più, una famiglia a cui non sente più di appartenere.

Privata quindi di un’identità, di un sostentamento, ridotta alla povertà e agli stenti, la ritroviamo in un dormitorio affaticata e sofferente, impossibilitata anche a riposare, e poi a elemosinare un pasto alla mensa dei poveri nel giorno di Pasqua e a piangere lacrime amare sul suo crudele destino.

Insieme a lei vediamo sfilare tanti altri poveri, derelitti, sfortunati esseri umani che la fortuna “ha gittato all’estremo posto della vita”. Un’umanità di mendicanti, chi timido chi sfacciato, chi orgoglioso e chi disperato, accomunati dall’umiliazione.

L’autrice volge il suo sguardo pietoso verso quelle anime semplici, sfortunate, completamente disfatte dalla vita, con una prosa spoglia, solida ed efficace, senza orpelli e fronzoli e un’immediatezza espressiva che  induce inevitabilmente a riflettere.

Matilde Serao (1856-1927) è una delle più celebri intellettuali italiane, candidata sei volte al premio Nobel per la letteratura ed è stata definita da Heny James la Zola italiana proprio per l’impronta naturalista che imprime ai suoi racconti, spaccato della società medio-borghese e proletaria di Napoli.

Finché il caffè è caldo

Titolo: Finché il caffè è caldo

Autore: Toshikazu Kawaguchi

Editore: Edizioni Garzanti

Pagine: 177

Trama

Un tavolino, un caffè, una scelta. Basta solo questo per essere felici.

ECCO LE 5 REGOLE DA SEGUIRE:

1. Sei in una caffetteria speciale. C’è un unico tavolino e aspetta solo te.

2. Siediti e attendi che il caffè ti venga servito.

3. Tieniti pronto a rivivere un momento importante della tua vita.

4. Mentre lo fai ricordati di gustare il caffè a piccoli sorsi.

5. Non dimenticarti la regola fondamentale: non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.

In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi. Si narra che bevendo il caffè sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Si narra che con un semplice gesto tutto possa cambiare. Ma c’è una regola da rispettare, una regola fondamentale: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Non tutti hanno il coraggio di entrare nella caffetteria, ma qualcuno decide di sfidare il destino e scoprire che cosa può accadere. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kotake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ognuna di loro sente riaffiorare un ricordo doloroso. Ma tutti scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può ancora decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.

Finché il caffè è caldo è diventato un caso editoriale in Giappone, dove ha venduto oltre un milione di copie. Poi ha conquistato tutto il mondo e le classifiche europee a pochi giorni dall’uscita. Un romanzo pieno di fascino e mistero sulle occasioni perdute e sull’importanza di quelle ancora da vivere.

RECENSIONE

Mi immergo nella lettura di Finché il caffè è caldo assaporandone subito la sensazione rilassante che mi trasmette l’atmosfera accogliente della caffetteria e l’aroma del caffè che vi si respira.

Il caffè non ha l’aria condizionata. Ha aperto nel 1874 più di centoquarant’anni fa, e a quei tempi si usavano ancora le lampade a olio. Nel corso del tempo ha subito piccoli lavoretti di ristrutturazione, ma l’interno non è cambiato granché rispetto l’originale…

Il caffè era arrivato in Giappone nel periodo Edo, verso la fine del XVII secolo. All’inizio non soddisfaceva le papille giapponesi, e di sicuro non veniva considerato una bevanda gradevole ma del resto non c’era da stupirsi visto che sapeva di acqua nera e amara.

Il caffè però nasconde un potere magico, un effetto benefico che si diffonde nel corpo, nella mente e nel cuore.

Finché il caffè è caldo è un romanzo nostalgico che parla anche del potere curativo del tempo, unito a quello del caffè, che oltre a instaurare una atmosfera avvolgente, arriva dritto e diretto come un pugno allo stomaco.

Entro la cornice di una speciale caffetteria sono confezionati dei racconti ad incastro che hanno per protagonisti un tavolino, un caffè e una scelta. Attorno a questi semplici, eppure, misteriosi oggetti ruotano tutte le storie che si accavallano nel locale.

La leggenda che aleggia su questa caffetteria del 1874 vuole che attraverso una particolare sedia e finché il caffè rimane caldo, si può viaggiare nel tempo. Tante le regole e le limitazioni, ma perché bisogna essere ben convinti di sovvertire il naturale corso degli eventi e bisogna sentire urgente l’esigenza di rimediare a una scelta sbagliata e placare un rimpianto: come quello di una sorella che non ha voluto incontrare l’altra, una moglie che non ha ascoltato il marito, una fidanzata che non ha trattenuto il fidanzato…

Certo, si aspettava qualche sorpresa del genere: in fondo, viaggiare nel tempo significava violare le leggi della natura e accettare tutti i rischi del caso.

Tante storie e situazioni, tanti punti di vista uniti da quella caratteristica tutta umana di non cogliere l’attimo, di rimandare a un domani che invece è incerto e non sfruttare l’occasione quando si presenta.

Un ammonimento, un invito ad assaporare e a godere di ogni sorso della propria esistenza.

Miss Book a Casa Glicine di Jane Rose Caruso e Lisa Bresciani

Presentazione di Miss Book a Casa Glicine che uscirà il 25 maggio prossimo venturo.

Segnatevi questa data sul calendario! 

Partecipiamo infatti alla presentazione di un nuovo libro firmato da Jane Rose Caruso alla quale va ad unirsi la deliziosa Lisa Bresciani che ritorna con la sua deliziosa Miss Garnette con una nuova avventura.

Cosa succede quando Miss Book incontra Casa Glicine? 

Il cozy mistery incontra la tenerezza e il cooking book

Ecco alcune informazioni 

Scheda Tecnica

Titolo: Miss Book a Casa Glicine

Autrici: Jane Rose Caruso e Lisa Bresciani

Pagine: 202

Genere: Up-Lit

Uscita: 25 Maggio 2023

Trama

L’autunno è arrivato, con il vorticare gioioso delle sue foglie e i caldi tè. Un invito speciale giunge al cottage di Miss Garnette Catharine Book, la detective culinaria di Beltory. Prima di partire però ci sono alcuni piccoli imprevisti da risolvere. Intanto a Casa Glicine, dove Miss Book è attesa da Winter, LilyRose e Pà Bo’

fervono i preparativi. Colori, gioie e nuovi

amori stanno per arrivare.

La stagione impazza e Miss Book sta

arrivando per partecipare al Festival d’autunno. Tra stufati e prelibati manicaretti un incontro speciale sta per compiersi.

Magia, sogni e acquerelli dipingeranno un

nuovo cammino, per due protagonisti davvero speciali.

LE AUTRICI

Chi sono? Sono due penne molto speciali che sanno regalare momenti di tenerezza e conforto unici.

Conosciamole meglio:

Jane Rose Caruso

È autrice della serie “Miss Garnette Catharine

Book Cooking”, composta da quattro volumi

principali, due novelle, un’agenda giornaliera e l’erbario delle emozioni. Serie tradotta in inglese dalla Vintage Editore.

Lisa Bresciani 

Ha scritto il racconto “Piccoli

miracoli a Casa Glicine”, una storia di genere up-lit che sta per “lettura edificante”, e che l’autrice ama definire una favola per adulti. 

Dall’unione di questi due mondi, che elettivamente si sono cercati e scelti, è nato una splendida storia che hanno deciso di regalarci.

Presto quindi torneranno a trovarci e attendiamo con ansia l’uscita del loro nuovo libro: MISS BOOK A CASA GLICINE

I racconti dell’arcolaio di Louisa May Alcott

I racconti dell’arcolaio

Louisa May Alcott

Passigli Editore

Trama:

Il Natale è alle porte, fuori infuria una bufera di neve, il vento sibila… sembra proprio che i ragazzi dovranno rimanersene a casa e rinunciare ai loro giochi, quando ecco che nella soffitta scoprono un arcolaio, l’apparecchio che un tempo si usava per fare gomitoli; ed ecco che, proprio attorno a questo vecchio strumento, con il fuoco scoppiettante, la nonna e la zia cominciano a incantarli con le loro storie dal sapore antico ma dal fascino intramontabile. Ce n’è per tutti i gusti: partendo dal racconto del fidanzamento dei nonni, la narrazione si snoda in tanti altri racconti tra storie di guerra, storie per bambini, storie d’avventura e storie di fantasmi, e tutti avranno un insegnamento per i giovani ascoltatori, che si fanno silenziosi e seguono rapiti… Pubblicati nel 1884 e qui proposti per la prima volta in traduzione italiana, I racconti dell’arcolaio (Spinning-Wheel Stories) ci offrono un altro esempio della grandezza della scrittrice americana Louisa May Alcott, che tutti ricordano come autrice di un successo intramontabile come Piccole donne.

Recensione:

Louisa costruisce una cornice ideale intorno ai racconti di questa raccolta ambientandoli nel periodo natalizio. Una nonna e una zia decidono di intrattenere i nipoti annoiati per via del maltempo che li obbliga a stare in casa e allora escogitano come passatempo quello di raccontare vecchie storie del passato, che narrano dei valori di una volta che non tramontano mai. Il pretesto ruota proprio, e non solo per modo di dire, attorno all’arcolaio:

“Fu la regina Vittoria a lanciare la moda in Inghilterra e noi potremmo farlo qui. Non sarebbe divertente avere una ruota nel salotto di casa e usarla per davvero?” … La nonna emise un sonoro “hem!” e attaccò subito, mentre la piccola ruota accompagnava le parole con un delicato ronzio.  

Storie di ragazze e di ragazzi che hanno proprio loro come protagonisti e come ascoltatori.

Da La tovaglia di Tabby che ha come sfondo la guerra con gli inglesi a L’educazione di Eli che dovrebbe adombrare il racconto della giovinezza del padre Amos Bronson, le storie appartengono a epoche e contesti molto diversi, oltre ad avere temi differenti l’una dall’altra.

Alla fine si risolvono anche in spaccati di vita americana, vita fanciullesca costellata di avventure e incidenti domestici, ma con un occhio sempre all’intento pedagogico che Louisa non abbandona mai e trova il modo di unire al divertimento.

“Care ragazze, promettetemi questo e io sentirò che il nostro inverno non è stato sprecato, e che la nostra primavera è colma di adorabili promesse per un’estate meravigliosa”

Ogni storia diventa depositaria di una morale di cui far tesoro: dall’insegnamento a ricercare il bene nelle piccole cose all’invito a non cadere vittima di gelosie e rivalità, specialmente tra fratelli.

Vi ho messo dentro una morale, proprio come si nascondono le pillole nella gelatina, e spero non le abbiate trovate difficili da ingoiare

È come se parlasse proprio zia Louisa!

Racconti, che sono anche iniezioni di speranza, per gli uomini e le donne di domani.

NORTHANGER’S SECRET DI ANGELA CONTINI

Scheda libro:

Titolo: Northanger’s Secret

Autore: Angela Contini

Collana: Austen Society

Pagine: 429

Trope: Retelling Romance, Holyday romance, Opposite Attraction, Small town/big city, Slow burn

Data d’uscita: 11 aprile 2023

Trama

“Arriverò a fare i conti con la mia coscienza, arriverò a detestare momenti come questo, odierò me stessa per essere chi lui vuole e, allo stesso tempo, chi lui non vuole. Un loop ambiguo dal quale non potrò più fuggire, ma adesso, mentre fisso il mio sguardo nascosto nel suo, privo di artifici, bugie, sul quale vedo l’unica verità che voglio vedere, non posso fare altro che prendermi quello che viene, senza se e senza ma”.

“Non so se si tratta di banalissimo desiderio, o di qualcosa di più profondo, so solo che stare con lei alimenta una parte di me che ha sempre più fame. Quella parte che mi rende sciocco, sentimentale, preda di istinti che ho sempre saputo controllare fino a questo momento”.

Sono Catherine Morland, sono un’avida lettrice, spero di trovare un uomo come quelli nei libri, e vengo da un villaggio della campagna inglese in cui è strano che ci sia l’elettricità. Ok, sto esagerando, ma quando trascorri la vita in un luogo in cui l’attività più trasgressiva è quella di provare nuove ricette con le patate, è naturale accettare l’invito dei tuoi padrini a Londra. Gli Allen contano che mi diverta, e lo faccio. Così tanto che sfioro la trasgressione, soprattutto quando incontro Henry Tilney. Bello e impossibile. E cosa faccio? Gli racconto la balla più epica della storia, ponendo le basi per far andare tutto in malora.

Sono Henry Tilney, accademico, erede di una prestigiosa casata e quanto mai annoiato, almeno fino a che non mi incontro/scontro con Catherine Morland, lingua lunga, sguardo vispo, e con la volontà di dire tutto quello che le passa per la testa. Sarebbe stancante, se non lo trovassi eccitante, ma non fa per me. Catherine è troppo innocente per essere preda dei vergognosi progetti che mi riguardano. Solo che, più passo il tempo con lei, più è difficile mantenere le distanze. Ho paura che, quegli occhi da cerbiatta, verseranno lacrime per colpa mia.

Recensione:

Sin dalle prime pagine l’atmosfera di Northanger Abbey è pienamente rispettata e ricreata da questo retelling che mantiene il proprio alone di mistero anche nel titolo scelto: Northanger’s secret.

La rivisitazione in chiave contemporanea del romanzo di Jane Austen è particolarmente riuscita grazie a delle trovate ben congegnate e particolarmente brillanti. Non solo rispettano il senso originale ma tengono conto anche della diversità della mentalità e contesto moderni. Aver collocato la storia nella cornice londinese non basta, in essa si innesta la scelta di far svolgere gli eventi nel periodo di Halloween per ricreare un contesto pseudo-gotico.

Catherine Morland è molto ben calata nella parte, una giovane ragazza, un po’ ingenua e impulsiva, con il naso sempre in mezzo ai libri che, messa alla prova, dimostra di avere un bel caratterino: famiglia numerosa, idee confuse, futuro incerto, si guarda intorno mentre è ospite degli Allen.

Che ci faccio qui? Sono fuori luogo come lo sarebbe una patata in un campo di girasoli. Ecco, vorrei essere in girasole, alto, bellissimo, colorato, invece sono solo una patata, sformata, povera e nascosta sotto terra. Sorrido dei miei pensieri, ma continuo imperterrita nel pessimo paragone. Sono una patata che si crede un girasole perché sbuca dal buio per guardare verso il sole.

Così, tornando ai personaggi, li ritroviamo tutti rappresentati e trasportati nel XXI secolo in modo coerente: i Thorpe sono rimasti altrettanto viscidi e opportunisti, il generale temibile, Eleanor simpatica e Frederick Tilney un immorale.

Henry Tilney è una vera scoperta: eravamo abituati al personaggio ermetico e riservato che Jane Austen ci aveva lasciato solo immaginare, mentre qui si rivela un uomo affascinante ed esigente prendendosi la scena.

Il controcanto di capitoli che lasciano alternarsi le voci dei due protagonisti rispecchia la battaglia di battute che si scambiano i due quando si incontrano; sia sotto a una maschera, sia a viso aperto quando si affrontano, sono scintille, in un fuoco di fila di botta e risposta molto frizzante e moderno. Nel complesso le situazioni sono state adattate molto bene e sono comprensibili alcune deviazioni dal seminato principale dovute all’adattamento al corso del tempo (mi riferisco per esempio all’eccesso di immaginazione di Catherine).

Se da un lato l’autrice dimostra di avere una sicura padronanza del classico che sta riscrivendo, nell’operazione di retelling, condotta in modo fresco e originale, appone la sua firma speciale e la sua cifra distintiva che ho molto apprezzato, insieme al pudico glissare sulle scene più intime.

Sarebbe tutto più semplice se potessimo decidere noi stessi come far andare la nostra vita, come se stessimo scrivendo un romanzo per cui siamo noi a determinare il destino dei personaggi, come se il libero arbitrio non esistesse, come se fossimo burattinai e allo stesso tempo burattini.

Certo, forse perderemmo l’entusiasmo per le cose belle che non ci aspettiamo, eviteremmo il dolore, i dispiaceri perché chi mai li cercherebbe? Ma può darsi che senza quelli, anzi, per certo senza quelli non capiremmo il valore delle cose belle che ci capitano, perché, ehi, che ci crediate o no, le cose belle accadono eccome…

In definitiva Northanger’s Secret e l’intero progetto Austen Society, attestano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la straordinaria attualità di Jane Austen che a distanza di più di duecento anni sfoggia una forma smagliante e che fa ancora sognare sempre nuove generazioni di lettrici.

Love Tribu

Sono lieta di partecipare all’inaugurazione e alla presentazione di una Nuova Collana Romance.

Booktribu annuncia la nascita di

LOVETRIBU

la nuova collana dedicata al mondo del Romance.

Tanti battiti del cuore, per raccontare quel sentimento che tutto muove.

Inspiegabile, eterno, potente, impetuoso.

Quell’amore che può nascere all’improvviso, capace di sconvolgere due vite e arricchirne altrettante.

LoveTribu si tinge di tante sfumature come sono le storie che vogliamo raccontarti.

CONTEMPORARY per immergerti in atmosfere contemporanee, tra storie proibite, divertenti e pericolose.

HISTORICAL per farti viaggiare attraverso i secoli, tra conflitti indimenticabili e struggenti storie d’amore.

SPICY per essere sedotto dalla passione più sfrenata e perderti in pagine impregnate di erotismo

Contatti:

FB: https://www.facebook.com/CollanaLoveTribu/

IG: https://www.instagram.com/love_tribu/

TIKTOK: https://tiktok.com/@collana_lovetribu

INVIO MANOSCRITTI: manoscritti.lovetribu@gmail.com

In bocca al lupo alla Direttrice Editoriale Linda Bertasi !

Io credo nei Baci. Io credo negli Abbracci. Io credo nel Per Sempre.

Bettina Brentano in von Arnim

Alcune curiosità su Bettina Brentano

Bettina Brentano è nata a Francoforte sul Meno il 4 aprile 1785 dal padre Anton di origini italiane, grande commerciante all’ingrosso, e la madre Maximiliane La Roche, figlia della scrittrice Sophie LA Roche, amica di gioventù di Goethe.

Queste le coordinate socio-culturali.

Poiché perse presto i genitori, Bettina fu affidata alle cure della nonna, scrittrice di professione e appassionata pedagoga, il cui salotto pullulava di giovani artisti e studiosi, anche stranieri.

Oltre alla nonna, altre due donne lasciarono un’impronta sulla sua giovinezza: la poetessa Karoline von Gunderode e la madre di Goethe. Verso l’amica Bettina nutrì un amore appassionato cui la Gunderode rispose ora con timorosa resistenza ora con sincerità; l’incontro con la madre di Goethe è da considerarsi più significativo tanto che lo stesso Goethe nello scrivere un libro di Memorie sulla madre ricorse a Bettina per avere aneddoti significativi da inserire.

Molto più tardi rispetto alle sue coetanee, e cioè a 26 anni, Bettina decise di convolare a nozze con Achim von Arnim, amico di suo fratello.

Anche lui poeta e romanziere del romanticismo tedesco. Apparteneva alla famosa casata dei von Arnim da cui discese il marito della scrittrice Elizabeth von Arnim!

Bettina amava indossare abiti maschili e per lungo tempo si era opposta al legame matrimoniale.

Ebbe sette figli, 4 maschi e tre femmine di cui non sempre condivise idee politiche e inclinazioni.

Ecco una lettera di

ACHIM A BETTINA VON ARNIM, 11 MAGGIO 1827



Wiepersdorf, m. 11 maggio 1827

Cara Bettine!
Il tempo passa veloce nel giardino fiorito e canterino, con così tanto da fare ovunque, quindi scrivo solo oggi. Il mio viaggio di andata e ritorno via Potsdam è stato ampiamente ricompensato, mi dispiace che tu non abbia accettato la mia offerta di venire con me fino ad allora. Innumerevoli usignoli a Sanssouci, un bellissimo nuovo giardino come aggiunta necessaria, e il delicato palazzetto del principe ereditario quasi finito e, per quanto ne so, il disegno di Schinkel.

Ebbero sette figli, 4 maschi e tre femmine di cui non sempre la madre condivise idee politiche e inclinazioni.

I fratelli Grimm pubblicarono le Fiabe dedicandole “alla signora Bettina von Arnim per il piccolo Johannes Freimund”, il primogenito.

Ha fatto della sua corrispondenza privata dei romanzi: quella con Goethe, con il fratello Clemens, con la cara amica Karoline von Gunderode. Rimasta vedova, volle “imbalsamare nell’arte i ricordi della sua vita”. Così nacquero i suoi tre romanzi epistolari: 

Goethes Briefwechsel mit einem Kinde, 1835 (Il carteggio del Goethe con una bimba) in cui rivive il suo gentile idillio col Goethe, e “brillano di immortale luce” le figure del Goethe, della madre di lui e del Beethoven, come pure le minori figure del principe ereditario di Baviera, dei romantici Tieck e Jacobi, di Andrea Hofer, ecc.;

la Günderode (1840), che rievoca in una maliosa cornice di poetici ricordi la giovane poetessa Caroline von Günderode, suicida per amore; 

Frühling-skranz, 1844 (La corona primaverile), dedicata alla memoria di Clemente e ai ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza.

Intanto, in parte sotto l’influenza dello Schleiermacher e dei fratelli Grimm, l’attività instancabile di Bettina si volgeva alla filantropia e alle questioni sociali e religiose. Il suo Das Buch gehört dem König, 1841 (Libro per il Re), tutto pervaso di un caldo spirito umanitario, precorre le concezioni sociologiche dei tempi nuovi.

Dopo aver frequentato e sposato le teorie critiche del primo romanticismo, Bettina giunse ad una sempre maggiore radicalizzazione politica. Il suo impegno attivo a favore di prigionieri politici e gente caduta in miseria, oltre che minoranze razziali come gli ebrei, confluirono in scritti di esplicito contenuto politico a causa dei quali rischiò anche il carcere.

Ella morì nel 1859 a Berlino, ammirata e rimpianta. L’atteggiamento della critica davanti alla sua opera subì quattro fasi diverse: dapprima seguì l’onda dell’universale ammirazione; in un secondo tempo, si preoccupò dell’autenticità degli epistolarî, e, avendola scoperta assai malsicura, tacciò l’autrice di falsaria; poi, intorno al 1880, il Loeper e altri scoprirono che molte lettere (specialmente di B. al Goethe e del Goethe a B.) erano autentiche, e ne intrapresero, con questo criterio, la riabilitazione; ora Bettina vien considerata non più come una pubblicatrice dì epistolarî, ma come una poetessa; e se ne riconosce il valore morale e artistico, la vivace fantasia, la squisita originalità, e la forza nel creare i suoi miti. Le resta, a buon diritto, il titolo che le diedero i contemporanei, di “Sibilla del Romanticismo”.

Una chicca: Louisa e Bettina

Louisa da ragazzina era segretamente innamorata di Emerson, che naturalmente non si era accorto di nulla e quando lei da grande, glielo confessò, ne risero insieme.

Emerson infatti era vicino di casa degli Alcott a Concord e aveva messo a disposizione di Louisa le opere di Platone, Plutarco, Bacone, Carlyle come anche quelle di Shakespeare, Dante, Goethe, Byron, Dickens cui sin da bambina attingeva liberamente entrando presto in familiarità e anche fantasticando con esse.

Così nacque la sua preferenza per Goethe!

Si scoprì allora una novella Bettina in Corrispondenza con una fanciulla di Goethe e se ne lasciò ispirare nel comporre lunghe lettere romantiche all’indirizzo del suo mecenate.

Piccoli miracoli a Casa Glicine di Lisa Bresciani

Titolo: Piccoli miracoli a Casa Glicine – I racconti dell’ora del tè

Autore: Lisa Bresciani

Editore: Self Publishing 

Illustratrice: Elisabetta Trottini

Disponibile con l’abbonamento Kindle Unlimited

Trama

Nel verde e magico Yorkshire, nel piccolo cottage Casa Glicine, vivono due sorelle: Lilyrose, la maggiore, e la piccola Winter. Aspettano il ritorno a casa di Pá Bo, marinaio lontano da alcuni mesi. Tra una passeggiata in aperta campagna e un dolce, crescono e passano le giornate con piccoli gesti d’amore: un dono inaspettato, un sorriso o una tazza di tè caldo. Una storia dai toni dolci e fiabeschi che si alterna a momenti malinconici e riflessivi con la sicurezza che a tutto c’è un rimedio quando si ha l’ingrediente più importante a portata di mano ovvero…un pizzico di amore.

RECENSIONE

Quando si dice che un libro è lo specchio dell’anima, questo in particolare è lo specchio di un’anima bellissima come quella di Lisa Bresciani che con tenerezza e dedizione sa prendersi cura del lettore e operare una vera e propria incantevole magia.

La storia di due sorelle, dei loro teneri affetti, scandita dal ritmo e dai profumi delle stagioni, immersa in paesaggi ameni e aperta all’accoglienza e all’altruismo, viene alla fine giustamente ricompensata come una dolcissima fiaba.

L’atmosfera pittoresca di Casa Glicine circa il lettore in un abbraccio avvolgente e lo coccola con fumanti tazze di tè e manicaretti golosi delle cui ricette il volume è pii arricchito in appendice.

La delicatezza con cui Lisa Bresciani dischiude l’uscio di Casa Glicine e ci lascia entrare nel suo mondo, ci conquista e ci inonda di serenità.

E infine vedere pulsare di vita la pianta di glicine, che tra un freddo inverno e un’afosa estate, continuava tenace ad arrampicarsi e ad abbracciare quelle mura, aveva donato sicurezza e riparo alla piccola casa. La vita è costellata di piccoli miracoli quotidiani come un sorriso, un dono, un fiore o una tazza di tè caldo, basta solo alzare il velo che ci divide dalla felicità e iniziare a vivere davvero, pensò Lilyrose guardando i volti sorridenti di Pà Bo e Winter stretti in un abbraccio.

Personcine di Maria Messina.

Maria Messina nasce a Palermo il 14 marzo 1887 da Gaetano, ispettore scolastico, e da Gaetana Valenza Trajana, esponente di una famiglia baronale, originaria di Prizzi. I continui trasferimenti del padre costringono la famiglia a spostarsi con frequenza, prima a Messina, quindi a Mistretta, poi in Toscana, in Umbria, nella Marche e a Napoli.

Iniziata alla scrittura dal fratello Salvatore, che ne aveva intuito il talento, ottiene la notorietà con la pubblicazione di Pettini-fini (1909) e Piccoli gorghi (1911), raccolte di impronta verista che le valgono la stima di Giovanni Verga, col quale intraprende una fitta corrispondenza.

Idillio verghiano

All’età di ventidue anni, iniziò una fitta corrispondenza con Giovanni Verga, che le riservò parole di apprezzamento e gentile incoraggiamento, e tra il 1909 e il 1921, pubblicò una serie di racconti. E’ soprattutto nelle Novelle che si sente l’impronta Verghiana anche se Maria Messina non mancò di sviluppare uno stile suo personale per distinguersi dal Maestro. La loro corrispondenza è stata raccolta nel volume Un idillio letterario inedito verghiano: lettere inedite di Maria Messina a Giovanni Verga, a cura di Giovanni Garra Agosta, introduzione di Concetta Greco Lanza, Catania, Greco, 1979.

Illustre Signor Verga,

InviandoLe il mio primo libro, speravo che Ella lo leggesse, ma non osavo aspettarmene un giudizio suo. Ho cominciato con tante titubanze, e così sola, che temevo che i miei poveri villani – già studiati con tanto amore – messi nel «libro» e mandati in giro sarebbero stati mal visti, forse appena guardati, e per niente capiti come io avevo voluto rappresentarli.

Gli anni ’20 sono quelli del successo letterario, ma anche quelli del peggioramento di una grave malattia che le toglie gradualmente la possibilità di scrivere. Tornata in Toscana, muore a Pistoia nel 1944, dimenticata da tutti.

Era fuggita da Pistoia nell’inverno 1943 durante i bombardamenti per trovare riparo presso una famiglia di contadini, stremata dalla sclerosi. Prima di morire dettò all’infermiera Vittoria Tagliaferri che la accudiva I doni della vita che racconta l’esperienza di sofferenza fisica e spirituale da lei vissuta in prima persona. La nipote Annie, figlia del fratello Salvatore, unico suo parente rimasto, racconta che alla sterile disperazione dei primi anni era subentrata in lei una rassegnazione cristiana con cui cercò di affrontare l’estrema prova che la vita le aveva riservato.

Il 24 aprile 2009, grazie all’interessamento del comune, le sue spoglie mortali sono ritornate a Mistretta, considerata come una sua seconda patria. Qui le è stato intitolato un premio letterario. Oggi le sue opere, tradotte e apprezzate all’estero, sono tornate argomento di studio e di dibattito.

“La vita è bella! Essere infelice, essere misera, essere l’ultima delle creature, ma vivere, ma potere ascoltare, poter vedere! È bello, vivere senza altro scopo che lo scopo di vivere, come le rose che si schiudono nelle albe estive, come le rondini che passano nel cielo del “baglio” e forse gridano di felicità…

Parola di Leonardo Sciascia

La riscoperta di Maria Messina, avvenuta negli anni Ottanta, a quarant’anni dalla morte, si deve a Leonardo Sciascia che al momento di curare un’antologia avente a tema la migrazione, Partono i bastimenti, volle inserirvi due racconti di Maria Messina (“Nonna Lidda” e “La Merica”) promuovendone poi la riedizione per Sellerio di alcune tra le migliori prove della scrittrice. Fu lui a definirla la “Katherine Mansfield siciliana“, grazie al malinconico realismo della sua prosa impegnata a decifrare i risvolti psicologici e sociali della marginalizzata condizione femminile nelle società rurali e in quelle della piccola borghesia meridionale del proprio tempo.

Le opere

È  sempre riduttivo paragonare uno scrittore ad altri ma credo sia, anche se semplicistico, il modo migliore per dare dei riferimenti che lo possano inquadrare. Maria Messina non può essere semplicemente etichettata come una “alunna” di Verga, perché nella sua opera si possono cogliere molti altri aspetti: l’ironia di Colette, lo sperimentalismo di Virginia Woolf, l’influsso della letteratura russa che amava, il primo Pirandello verista. Il pregio della sua prosa è un’acuta analisi della psicologia femminile presentata con uno stile asciutto e tagliente, spesso con immagini plastiche e similitudini evocative. Questo vale in special modo per i romanzi: Alla deriva, Primavera senza sole, La casa nel vicolo, Un fiore che non fiorì, Le pause della vita, L’amore negato.

Ma c’è anche un’altra produzione di Maria Messina, di ispirazione chiaramente verista e che si traduce nelle Novelle e nella letteratura per l’infanzia.

Personcine

Personcine è una raccolta di racconti, pubblicata nel 1921 che presenta l’infanzia come tema chiave e costituisce uno spaccato delle realtà più umili dell’Italia rurale di inizio Novecento. Oggi possiamo goderne grazie alla Casa Editrice 13 lab di Milano.

Bambini e ragazzi vengono ritratti in scene di vita quotidiana, manifestando la tenerezza e l’innocenza della giovinezza come tesori inestimabili in grado di donare significato profondo agli episodi più semplici e genuini. La sensibilità dell’autrice dialoga in maniera non banale con la letteratura per ragazzi del Primo Dopoguerra: Maria Messina affianca i valori tradizionali del patriottismo e del rispetto dell’autorità a preziosi spaccati di ciò che la naturalezza di un bambino può insegnare alla società sua contemporanea. Altro tema ricorrente tra le righe è il punto di vista femminile nell’Italia dell’epoca e l’importanza dello sguardo profondo e comprensivo della donna di tutte le età.

Quelli immortalati nei racconti di Personcine sono ritratti d’infanzia scattati come fotografie, con la stessa nitidezza e precisione.

Sei un uomo, tu. La vita è dura, e ci vogliono le gambe buone per camminare nelle vie della vita.

Un’infanzia difficilmente serena ma sempre alle prese con difficoltà, tribolazioni, delusioni o anche disillusioni amare.

Povera piccola, venuta in città come un uccellino inebriato di sole!

Sullo sfondo spesso e volentieri la miseria e/o la guerra e un’umanità sofferente, che un narratore comprensivo sa rappresentare con le parole, sa cogliere con l’immediatezza di un’immagine efficace.

…i bambini piccoli restavano presso le madri, turbati dall’attesa che pesava su tutti i cuori.

Il suo non è il realismo spietato e morboso d’oltralpe, ma uno stile affranto e delicato, umanamente solidale con la sofferenza che è sparsa ovunque, sia nelle grandi città, sia nei paesini di provincia, persino negli occhi di un bambino.  

Finché ti sento nell’anima

Titolo: Finché ti sento nell’anima

Autrice: Alice Currrenti

Editore: More Stories

Genere: Historical Romance

Trama

Inghilterra, 1820. Per Georgiana, il lavoro da istitutrice è un modo per conoscere il mondo, affacciarsi nella cerchia dell’alta società inglese senza davvero farne parte. A differenza delle ragazze della sua età non è il matrimonio a occupare tutti i suoi pensieri ma lezioni di storia, di arte e di musica. Il dubbio si insinuerà nel suo cuore quando un presuntuoso Capitano delle milizie di Sua Maestà farà irruzione nella sua vita durante una notte d’inverno piena di sorprese. Thomas, imprevedibile figlio cadetto di un’importante famiglia aristocratica, lotta da tutta la vita per emanciparsi dal padreterno tiranno che pretende di decidere cos’è meglio per lui. Riuscirà un sentimento sincero ad annullare ostacoli come il tempo o le regole dell’alta società?

RECENSIONE

Georgiana è un’istitutrice sui generis, intraprendente, disinibita, dalla battuta pronta, capace di intrigare l’affascinante Capitano, abituato ad altri tipi di donne, più mansuete e insignificanti.

Georgiana ha tante attrattive, non è un’istitutrice comune, ma il suo ruolo sociale la condanna nell’ombra della subordinazione. L’episodio in cui prende le mosse la storia, in cui il Capitano la nota ma per solo per disdegnarla, rivela chiare assonanze con l’analogo comportamento di Mr Darcy e simili sono anche le dichiarazioni dei due uomini che devono capitolare con tutto il loro orgoglio di casta.  

“…sì, potrei anche trovarla graziosa, se non fosse che resta comunque un’istitutrice, con tutte le sue regole severe e il suo modo di vedere tutto grigio. E hai visto poi i vestiti che indossa? Sembrano quelli di…”

La narrazione a due voci è sempre dinamica e crea il giusto contrappunto, Georgiana e Thomas si passano la parola in un susseguirsi d’emozioni. In questo continuo passaggio del testimone il ritmo è serrato e l’attenzione del lettore è mantenuta costante.

Alice Currenti strizza l’occhio al lettore che vuole sentirsi coinvolto ed emozionato dalla storia, in alcuni momenti privati, anche conturbato. Le note moderne della canzone da cui è tratto il titolo si diffondono in tutto il libro. Citazione che diventa dichiarazione d’amore del Capitano perché la utilizza per suggellare tutte le sue lettere: un espediente narrativo dall’effetto ancor più romantico.

Se per la colonna sonora l’autrice attinge alla musica contemporanea, i versi di Wordsworth richiamano il romanticismo inglese:

Il mio cuore sobbalza quando vedo un arcobaleno in cielo.

Il romanzo è ambientato in epoca Regency, le coordinate spaziali vanno dall’Hampshire a Londra per la Stagione e infine a Brighton per l’estate; può definirsi Storico per metà, perché nei dialoghi, nel linguaggio e nelle espressioni colloquiali raggiunge un effetto più immediato e meno affettato; inoltre, comportamenti e iniziative essendo meno legati all’etichetta risultano più avvincenti.

L’autrice nelle sue note finali ammette le licenze e le spiega con l’essere figlia del suo tempo. Complimenti dunque al suo esordio promettente.