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La trovatella di Milano di Carolina Invernizio

Titolo: La trovatella di Milano

Autore: Carolina Invernizio

Editore: Literary Romance

Trama

Maria è una giovane e bella guantaia – allevata da Annetta che la trovò bambina sulla soglia di casa -, che una sera offre rifugio a un affascinante giovanotto in fuga di cui, ahimè, si innamora cadendo nella di lui trappola; egli è un individuo che si dimostrerà tutt’altro che in buona fede, ma che anzi userà Maria per irretire Adriana, una fanciulla di buona famiglia. A causa di questo, la nostra trovatella ne soffre così tanto che, scoperto l’inganno, accantona i buoni sentimenti per vendicarsi.

Maria si dimostra una figura femminile tutt’altro che banale, anzi, una vera eroina del suo tempo, scoprendo, alla fine, persino la verità sulla sua famiglia.

𝑼𝒏 𝒓𝒐𝒎𝒂𝒏𝒛𝒐 𝒊𝒏𝒕𝒓𝒊𝒈𝒂𝒏𝒕𝒆, 𝒓𝒊𝒄𝒄𝒐 𝒅𝒊 𝒑𝒂𝒕𝒉𝒐𝒔, 𝒂𝒎𝒃𝒊𝒆𝒏𝒕𝒂𝒕𝒐 𝒊𝒏 𝒖𝒏𝒂 𝒔𝒖𝒈𝒈𝒆𝒔𝒕𝒊𝒗𝒂 𝑴𝒊𝒍𝒂𝒏𝒐 𝒐𝒕𝒕𝒐𝒄𝒆𝒏𝒕𝒆𝒔𝒄𝒂 𝒐𝒗𝒆 𝒓𝒊𝒆𝒄𝒉𝒆𝒈𝒈𝒊𝒂𝒏𝒐 𝒂𝒏𝒄𝒐𝒓𝒂 𝒍𝒆 𝒆𝒓𝒐𝒊𝒄𝒉𝒆 𝑪𝒊𝒏𝒒𝒖𝒆 𝑮𝒊𝒐𝒓𝒏𝒂𝒕𝒆.

RECENSIONE

La trovatella di Milano riconduce subito al coevo sensational novel inglese che nella versione italiana acquista accenti maggiormente melodrammatici.

Il tema della donna sedotta e abbandonata, oltre a essere sempre attuale, si presta a una narrazione ricca di pathos e riscuote l’interesse del pubblico. In questo caso viene interpretato, pure nell’ambito di un generale fatalismo ineluttabile, con un sentimento di riscossa finale. Le colpe dei genitori non ricadono per forza sui figli; la bellezza non può essere causa di perdizione; la donna caduta non deve essere necessariamente condannata.

La mezzanotte era ribattuta a tutti gli orologi della città, quando Maria, la bella guantaia di Porta Vittoria, si decise a chiudere il suo negozio. Aveva fatto così tardi perché era l’ultimo giorno di Carnevale e gli avventori non erano mancati. Maria appariva stanca, abbattuta. I suoi grandi occhi azzurri, lieti e brillanti, si mostravano leggermente velati; i capelli finissimi, castani, le cadevano in disordine sul collo e sulla fronte; le guance aveva pallide, la piccola bocca sorridente, un po’ scolorita. Tuttavia era sempre affascinante…

La donna tradita che reagisce, in questo caso Maria la guantaia, pur rea confessa, viene assolta mentre quella che ha subito, Adriana, soccombe. Non indifferente l’appartenenza a due classi sociali molto diverse: la prima ha vissuto in mezzo al popolo ed è abituata a provvedere a se stessa, mentre l’altra è cresciuta tra gli agi e l’inesperienza.

La contrapposizione tra il bene e il male è sempre l’impalcatura generale su cui si regge la storia e non sarà un caso che gli uomini rivestano il ruolo di cattivo. L’integrità morale è tutta di parte femminile e se condanna c’è, è tutta rivolta alla corruzione e alla perfidia degli uomini. In questo il romanzo mostra una sensibilità del tutto moderna e se fotografa un’epoca, ne offre anche una lettura in chiave femminista. 

Una ragazza vecchio stampo di Louisa May Alcott

Titolo: Una ragazza vecchio stampo

Autore: Louisa May Alcott

Editore: Flower-ed

Traduzione: Elizabeth Harrowell

Trama

Polly Milton è una dolce e volenterosa ragazza di campagna, cresciuta in una famiglia umile ma colma d’amore. Quando giunge nell’elegante dimora di Fanny Shaw, dove è attesa per un soggiorno in città, i suoi vestiti consumati e la sua genuina semplicità destano qualche perplessità nell’amica, abituata allo sfarzo dell’alta società. Polly si trova immediatamente a dover affrontare un mondo diverso dal suo, fatto di spettacoli teatrali, pettegolezzi e abiti alla moda, ma con energia e altruismo, tra incomprensioni, storie d’amore e rovesci finanziari, mostrerà a tutti che la vera ricchezza risiede altrove.

La prima parte di Una ragazza vecchio stampo fu pubblicata sulla rivista “Merry’s Museum” nel 1869. In vista della sua pubblicazione in forma di libro nel 1870, Alcott scrisse gli altri capitoli, offrendo ancora una volta ai lettori una protagonista autentica, operosa e indipendente. La traduzione di Elizabeth Harrowell, integrale e annotata, è arricchita dall’Introduzione di Romina Angelici intitolata “Forza d’animo e dolcezza”.

RECENSIONE

Non è un caso che per la nuova edizione di An Old-fashioned Girl, la casa editrice Flower-ed abbia scelto il titolo di Una ragazza vecchio stampo: esso appare oltremodo rispettoso delle intenzioni autoriali espresse dall’autrice nella prefazione al romanzo:

La Ragazza vecchio stampo non è intesa come modello della perfezione, piuttosto come una miglioria in confronto alla Ragazza di Oggi che appare tristemente ignorante o vergognosa di quei buoni modi antichi che rendono veramente belle e stimate le donne e tramite i quali la casa diventa ciò che dovrebbe essere, un luogo felice dove genitori e figli, fratelli e sorelle imparano ad amarsi, a conoscersi, ad aiutarsi a vicenda.

Scritto sulla scia del successo ottenuto con Piccole Donne, Una ragazza vecchio stampo prosegue la serie di otto romanzi che lei scrisse per la gioventù avevano proprio la gioventù come protagonista.

Ormai la strada di Louisa come scrittrice di romanzi per la gioventù era tracciata, grazie al suo mentore Thomas Niles, divenuto un amico di famiglia. Arrivando a lavorare fino a quattordici ore al giorno, Louisa diede alle stampe, allungando un racconto già scritto, anche An Old Fashioned girl, salvo poi regalarsi il tanto sospirato viaggio in Europa.

Pubblicato infatti il 2 aprile 1870, l’indomani la sua partenza, Una ragazza vecchio stampo vende più di trentamila copie e verrà pubblicato a stretto giro anche in Inghilterra.

Nel suo diario ricorda di averlo scritto con la mano dolorante, un piede appoggiato su una sedia e l’emicrania, prevedendo che la gente trovando il libro divertente, le avrebbe chiesto se fosse stato un piacere scriverlo: “Quello che è certo è, invece, che io mi guadagno da vivere col sudore della fronte”.

Non solo proseguendo la saga delle Piccole Donne e Piccole donne crescono con Piccoli Uomini e I ragazzi di Jo, ma anche aggiungendo nuove storie, Louisa aveva trovato un terreno fertile e felice, ma sembra finalmente aver individuato, superate le riserve iniziali, con Una ragazza vecchio stampo la sua vocazione vincente e il campo in cui esercitare la sua opera pedagogica.

Se il racconto delle vicende fanciullesche di Polly dovesse dare un consiglio o indicare un insegnamento, allora malgrado i tanti ostacoli potrò sperare di non aver trascurato del tutto il mio dovere nei confronti dei piccoli uomini e delle piccole donne per i quali è un onore e un piacere scrivere, visto che è in loro che ho sempre trovato i miei sostenitori più gentili, i miei critici più miti, i miei amici più calorosi.

In Una ragazza vecchio stampo riconosciamo subito la sua tipica eroina: Polly è una ragazzina di tredici anni quando lascia la sua casa di campagna per andare ospite dalla famiglia Shaw in città. Le differenze si fanno subito sentire con lo stile di vita condotto dalle due ragazze e da Tom ma Polly riesce a farsi benvolere per i suoi principi sani e semplici e per l’influsso benefico che esercita sugli altri. Quando si ritrovano anni più tardi cresciuti, purtroppo la famiglia Shaw ha subito un rovescio di fortuna; prendendo esempio dalla forza di volontà di Polly, i giovani Shaw riusciranno ad apprezzare i veri valori della vita e a goderne.

Come in quella vecchia favola che celebra la genuinità e la semplicità delle abitudini di vita del topo di campagna, Louisa dipinge questa protagonista come una ragazzina tenera e affettuosa ma anche determinata e rigorosa, assolutamente mai disposta a scendere a compromessi o accettare sconti, che solo dopo averlo reso migliore, sarà degna di essere amata dal suo Tom:

«Un donna di valore da amare e che lo assisterà per tutta la vita, come tu farai per me, con l’aiuto di Dio». «Per quanto sia una ragazza vecchio stampo», sussurrò Polly, con occhi felici che brillavano anche per via delle lacrime, fissando quel giovane che, tramite lei, aveva intravisto il successo più genuino e non si vergognava di doverne rendere grazie all’amore e al lavoro, due bellissimi modi di fare risalenti ai tempi della prima coppia nell’Eden.

Una ragazza vecchio stampo di Louisa May Alcott

Polly Milton è una dolce e volenterosa ragazza di campagna, cresciuta in una famiglia umile ma colma d’amore. Quando giunge nell’elegante dimora di Fanny Shaw, dove è attesa per un soggiorno in città, i suoi vestiti consumati e la sua genuina semplicità destano qualche perplessità nell’amica, abituata allo sfarzo dell’alta società. Polly si trova immediatamente a dover affrontare un mondo diverso dal suo, fatto di spettacoli teatrali, pettegolezzi e abiti alla moda, ma con energia e altruismo, tra incomprensioni, storie d’amore e rovesci finanziari, mostrerà a tutti che la vera ricchezza risiede altrove. La prima parte di Una ragazza vecchio stampo fu pubblicata sulla rivista “Merry’s Museum” nel 1869. In vista della sua pubblicazione in forma di libro nel 1870, Alcott scrisse gli altri capitoli, offrendo ancora una volta ai lettori una protagonista autentica, operosa e indipendente.

La traduzione di Elizabeth Harrowell, integrale e annotata,

Introduzione di Romina Angelici intitolata “Forza d’animo e dolcezza” di cui vi lascio un estratto:

Non è un caso che per la nuova edizione di An Old-fashioned Girl, la casa editrice Flower-ed abbia scelto il titolo di Una ragazza vecchio stampo: esso appare oltremodo rispettoso delle intenzioni autoriali espresse dall’autrice nella prefazione al romanzo:

La Ragazza vecchio stampo non è intesa come modello della perfezione, piuttosto come una miglioria in confronto alla Ragazza di Oggi che appare tristemente ignorante o vergognosa di quei buoni modi antichi che rendono veramente belle e stimate le donne e tramite i quali la casa diventa ciò che dovrebbe essere, un luogo felice dove genitori e figli, fratelli e sorelle imparano ad amarsi, a conoscersi, ad aiutarsi a vicenda.

Inoltre, nel concetto di “ragazza vecchio stampo” Louisa intende racchiudere tutte quelle virtù che si ispirano ai saggi e buoni principi di una volta che solo con l’educazione, il rispetto e la gentilezza si possono mantenere e coltivare. Non solo quindi si contrappone alla ragazza moderna o meglio, alla moda, caratterizzata da frivolezza, ignoranza, superficialità, ma costituisce una tipologia che lungi dall’essere antiquata, è la chiave di volta per farsi strada nel futuro con determinazione e rigore.

Personcine di Maria Messina.

Maria Messina nasce a Palermo il 14 marzo 1887 da Gaetano, ispettore scolastico, e da Gaetana Valenza Trajana, esponente di una famiglia baronale, originaria di Prizzi. I continui trasferimenti del padre costringono la famiglia a spostarsi con frequenza, prima a Messina, quindi a Mistretta, poi in Toscana, in Umbria, nella Marche e a Napoli.

Iniziata alla scrittura dal fratello Salvatore, che ne aveva intuito il talento, ottiene la notorietà con la pubblicazione di Pettini-fini (1909) e Piccoli gorghi (1911), raccolte di impronta verista che le valgono la stima di Giovanni Verga, col quale intraprende una fitta corrispondenza.

Idillio verghiano

All’età di ventidue anni, iniziò una fitta corrispondenza con Giovanni Verga, che le riservò parole di apprezzamento e gentile incoraggiamento, e tra il 1909 e il 1921, pubblicò una serie di racconti. E’ soprattutto nelle Novelle che si sente l’impronta Verghiana anche se Maria Messina non mancò di sviluppare uno stile suo personale per distinguersi dal Maestro. La loro corrispondenza è stata raccolta nel volume Un idillio letterario inedito verghiano: lettere inedite di Maria Messina a Giovanni Verga, a cura di Giovanni Garra Agosta, introduzione di Concetta Greco Lanza, Catania, Greco, 1979.

Illustre Signor Verga,

InviandoLe il mio primo libro, speravo che Ella lo leggesse, ma non osavo aspettarmene un giudizio suo. Ho cominciato con tante titubanze, e così sola, che temevo che i miei poveri villani – già studiati con tanto amore – messi nel «libro» e mandati in giro sarebbero stati mal visti, forse appena guardati, e per niente capiti come io avevo voluto rappresentarli.

Gli anni ’20 sono quelli del successo letterario, ma anche quelli del peggioramento di una grave malattia che le toglie gradualmente la possibilità di scrivere. Tornata in Toscana, muore a Pistoia nel 1944, dimenticata da tutti.

Era fuggita da Pistoia nell’inverno 1943 durante i bombardamenti per trovare riparo presso una famiglia di contadini, stremata dalla sclerosi. Prima di morire dettò all’infermiera Vittoria Tagliaferri che la accudiva I doni della vita che racconta l’esperienza di sofferenza fisica e spirituale da lei vissuta in prima persona. La nipote Annie, figlia del fratello Salvatore, unico suo parente rimasto, racconta che alla sterile disperazione dei primi anni era subentrata in lei una rassegnazione cristiana con cui cercò di affrontare l’estrema prova che la vita le aveva riservato.

Il 24 aprile 2009, grazie all’interessamento del comune, le sue spoglie mortali sono ritornate a Mistretta, considerata come una sua seconda patria. Qui le è stato intitolato un premio letterario. Oggi le sue opere, tradotte e apprezzate all’estero, sono tornate argomento di studio e di dibattito.

“La vita è bella! Essere infelice, essere misera, essere l’ultima delle creature, ma vivere, ma potere ascoltare, poter vedere! È bello, vivere senza altro scopo che lo scopo di vivere, come le rose che si schiudono nelle albe estive, come le rondini che passano nel cielo del “baglio” e forse gridano di felicità…

Parola di Leonardo Sciascia

La riscoperta di Maria Messina, avvenuta negli anni Ottanta, a quarant’anni dalla morte, si deve a Leonardo Sciascia che al momento di curare un’antologia avente a tema la migrazione, Partono i bastimenti, volle inserirvi due racconti di Maria Messina (“Nonna Lidda” e “La Merica”) promuovendone poi la riedizione per Sellerio di alcune tra le migliori prove della scrittrice. Fu lui a definirla la “Katherine Mansfield siciliana“, grazie al malinconico realismo della sua prosa impegnata a decifrare i risvolti psicologici e sociali della marginalizzata condizione femminile nelle società rurali e in quelle della piccola borghesia meridionale del proprio tempo.

Le opere

È  sempre riduttivo paragonare uno scrittore ad altri ma credo sia, anche se semplicistico, il modo migliore per dare dei riferimenti che lo possano inquadrare. Maria Messina non può essere semplicemente etichettata come una “alunna” di Verga, perché nella sua opera si possono cogliere molti altri aspetti: l’ironia di Colette, lo sperimentalismo di Virginia Woolf, l’influsso della letteratura russa che amava, il primo Pirandello verista. Il pregio della sua prosa è un’acuta analisi della psicologia femminile presentata con uno stile asciutto e tagliente, spesso con immagini plastiche e similitudini evocative. Questo vale in special modo per i romanzi: Alla deriva, Primavera senza sole, La casa nel vicolo, Un fiore che non fiorì, Le pause della vita, L’amore negato.

Ma c’è anche un’altra produzione di Maria Messina, di ispirazione chiaramente verista e che si traduce nelle Novelle e nella letteratura per l’infanzia.

Personcine

Personcine è una raccolta di racconti, pubblicata nel 1921 che presenta l’infanzia come tema chiave e costituisce uno spaccato delle realtà più umili dell’Italia rurale di inizio Novecento. Oggi possiamo goderne grazie alla Casa Editrice 13 lab di Milano.

Bambini e ragazzi vengono ritratti in scene di vita quotidiana, manifestando la tenerezza e l’innocenza della giovinezza come tesori inestimabili in grado di donare significato profondo agli episodi più semplici e genuini. La sensibilità dell’autrice dialoga in maniera non banale con la letteratura per ragazzi del Primo Dopoguerra: Maria Messina affianca i valori tradizionali del patriottismo e del rispetto dell’autorità a preziosi spaccati di ciò che la naturalezza di un bambino può insegnare alla società sua contemporanea. Altro tema ricorrente tra le righe è il punto di vista femminile nell’Italia dell’epoca e l’importanza dello sguardo profondo e comprensivo della donna di tutte le età.

Quelli immortalati nei racconti di Personcine sono ritratti d’infanzia scattati come fotografie, con la stessa nitidezza e precisione.

Sei un uomo, tu. La vita è dura, e ci vogliono le gambe buone per camminare nelle vie della vita.

Un’infanzia difficilmente serena ma sempre alle prese con difficoltà, tribolazioni, delusioni o anche disillusioni amare.

Povera piccola, venuta in città come un uccellino inebriato di sole!

Sullo sfondo spesso e volentieri la miseria e/o la guerra e un’umanità sofferente, che un narratore comprensivo sa rappresentare con le parole, sa cogliere con l’immediatezza di un’immagine efficace.

…i bambini piccoli restavano presso le madri, turbati dall’attesa che pesava su tutti i cuori.

Il suo non è il realismo spietato e morboso d’oltralpe, ma uno stile affranto e delicato, umanamente solidale con la sofferenza che è sparsa ovunque, sia nelle grandi città, sia nei paesini di provincia, persino negli occhi di un bambino.  

Pollyanna

Titolo: Pollyanna

Autore: Eleanor H. Porter

Traduttore: Enrico De Luca

Illustratore: Massimiliano Modica

Editore: Caravaggio

Pag. 300

Prezzo € 15,90

✦✦✦ EDIZIONE INTEGRALE, ANNOTATA E ILLUSTRATA (In copertina elementi grafici della prima edizione) ✦✦✦

𝐓𝐫𝐚𝐦𝐚

Il libro della felicità – “Pollyanna” (1913) racconta la storia di Pollyanna Whittier, una ragazzina orfana di madre che cerca di condurre una vita gioiosa, sebbene in povertà. Tutto cambia il giorno in cui perde anche l’adorato padre; rimasta sola, Pollyanna viene mandata a vivere con la ricca zia Polly Harrington. Tra nuove scoperte e difficoltà quotidiane, la ragazzina insegnerà a tutti il “gioco della felicità”, che le aveva insegnato suo padre, che consiste nel trovare sempre qualcosa di cui essere contenti a prescindere dalle circostanze. Una storia toccante, capace, con la sua dolcezza, di strappare un sorriso a grandi e piccini. La presente edizione, pubblicata in occasione del centenario dalla morte dell’autrice, offre un testo integrale, annotato e corredato da otto tavole che si rifanno alle illustrazioni della prima edizione. «Come vedi, cara, sei stata tu a farlo. L’intero paese sta giocando al gioco, e l’intero paese è perfettamente felice… e tutto grazie a una ragazzina che ha insegnato alla gente un nuovo gioco, e come giocarci.»

Recensione

Ben presto scopro che Pollyanna è una creaturina irresistibile, incantevole per il suo candore, determinata a trovare il bello in tutte le cose e le situazioni. Per molti versi molto simile alla Anne di Tetti Verdi di Lucy M. Montgomery.

Pollyanna chiama il suo atteggiamento positivo “il gioco della felicità” e a poco a poco scopriamo che è contagioso, sebbene scettici dubitiamo della sua fattibilità. Inevitabilmente la conoscenza di Pollyanna, addentrandosi nelle pagine e nelle sue avventure, diventa un toccasana.

“Sembra che non trovate molto difficile essere contenta di tutto” replicò Nancy sorridendo un po’ al ricordo dei coraggiosi sforzi di Pollyanna di farsi piacere la spoglia stanzetta nell’abbaino.

Pollyanna accennò un sorriso.

“Beh, comunque questo è il gioco, sapete.”

“Il … gioco?”

“Sì; il gioco dell’ ”essere semplicemente felici”.”

Una lettura rilassante, riconciliante con il mondo, che fa bene all’anima. Pur nella sua stucchevole prevedibilità questo libro rappresenta una iniezione endovena di fiducioso ottimismo e sono felice, per dirla con Pollyanna, che sia stata proprio la prima lettura dell’anno!

L’autrice

Eleanor Hodgman Porter (1868 — 1920) scrisse vari racconti e quindici romanzi per ragazzi e per adulti, fra i quali ricordiamo: The Turn of the Tide (1908), The Story of Marco (1911), Miss Billy (1911), Miss Billy’s Decision (1912), Miss Billy Married (1914), Just David (1916), The Road to Understanding (1917), Oh, Money! Money! (1918) e Mary Marie (1920). Pollyanna (1913), insieme al suo seguito Pollyanna cresce (1915), la resero celebre in tutto il mondo.